No, quella che state per leggere non è una recensione di Hogwarts Legacy. Mi verrebbe piuttosto difficile dal momento che non ho il gioco e non ho intenzione di comprarlo. Perlomeno non ne acquisterò una copia nuova, e in ogni caso non lo farò in tempi brevi perché vorrei spendere il meno possibile. Non nascondo che mi piacerebbe giocare a Hogwarts Legacy. Mi piacerebbe giocarci perché sarebbe interessante fare un’analisi politica del videogioco edito da WB Games e sviluppato da Avalanche Software (da non confondere con Avalance Studios, la compagnia di Just Cause). Sarebbe bello analizzarne i contenuti per capire davvero se e quanto le idee di J.K. Rowling si siano riversate in questa opera collaterale alla saga di Harry Potter, anche se sia il publisher che gli sviluppatori hanno più volte precisato che l’autrice dei romanzi non è stata coinvolta direttamente nei lavori.
“J.K. Rowling non è coinvolta nella creazione del gioco, ma come creatrice del mondo magico ed essendo una tra le più grandi narratrici del mondo, i suoi straordinari scritti sono alla base di tutti i progetti del Wizarding World. Questa non è una nuova storia creata da J.K. Rowling, tuttavia abbiamo collaborato con il suo team in tutti gli aspetti del gioco per assicurarci che rimanesse in linea con l’esperienza magica che i fan si aspettano.”
Domande frequenti (Hogwarts Legacy)
Eppure, come peraltro precisato dal team, Hogwarts Legacy si inserisce nell’ambientazione del Wizarding World ed è per forza di cose collegato alle opere create direttamente dalla scrittrice britannica. Cosa significa? Significa che, nonostante Warner Bros. e Avalance Software abbiano provato a dissociarsi dalla figura di J.K. Rowling, è praticamente impossibile considerare e valutare Hogwarts Legacy come un qualsiasi altro videogioco. A questo punto voglio fare una puntualizzazione: sicuramente l’avrete già intuito, ma l’articolo che state leggendo non è un pezzo imparziale. Chi scrive ritiene aberranti le posizioni di J.K. Rowling in tema di diritti delle persone transessuali. Le sue opinioni apertamente transfobiche sono sotto gli occhi di tutti, tant’è che l’autrice di Harry Potter non perde mai l’occasione per renderle pubbliche. Di conseguenza, mi viene davvero difficile considerare qualsiasi opera del Wizarding World solamente un videogioco, un film o un romanzo come tanti altri. Ogni opera di questo franchise va a finanziare – direttamente o indirettamente – la Rowling e non fa altro che darle ulteriore potere mediatico, lo stesso potere che l’autrice utilizza per vomitare odio nei confronti delle persone transessuali.
Avviso ai lettori
Detto questo, come può la critica videoludica valutare un’opera come Hogwarts Legacy? Nelle scorse settimane abbiamo assistito a vari tipi di approcci che rispecchiano quelli che di fatto sono i sentimenti di una buona parte del pubblico. C’è chi, come per esempio IGN US, ha deciso di pubblicare una recensione di quelle classiche, ma a mio avviso ha commesso un errore madornale. All’interno dell’articolo, infatti, è stato inserito un disclaimer che affronta il proverbiale elefante nella stanza, ossia il legame tra il videogioco e la Rowling.

Il passaggio di questo box che vorrei analizzare è quello relativo al secondo paragrafo. La redazione statunitense di IGN ha tenuto a precisare che “in quanto critici, il nostro lavoro è quello di rispondere alla domanda che chiede se Hogwarts Legacy sia divertente da giocare e perché”. Già qui bisognerebbe aprire una parentesi enorme sul ruolo della critica, che a mio avviso non è quello di valutare se un gioco sia o meno divertente. Anche perché cosa faremmo nel caso in cui ci trovassimo di fronte a dei titoli che, a volte per stessa ammissione dei suoi creatori (per esempio The Last of Us: Parte II), non vogliono essere divertenti? Come si fa a valutare il divertimento di un’opera non divertente? C’è però un altro passaggio altrettanto importante nello stesso paragrafo: “se sia etico giocarci è una domanda diversa ma comunque molto importante. Come avvenuto in altri casi, abbiamo deciso di affrontare le idee della creatrice del franchise in maniera separata dalle nostre considerazioni relative al lavoro di centinaia di sviluppatori valutando Hogwarts Legacy così com’è, lasciando che il contesto e il dietro le quinte vengano analizzati in aggiunta a quest’altra valutazione, invece che al suo posto, così che questi possano essere pesati in base ai vostri valori.”
Questo passaggio è problematico per almeno un paio di ragioni. La prima, quella che risalta immediatamente, riguarda la volontà di separare il videogioco dal suo contesto. Si tratta di un’operazione di fatto impossibile perché il contesto si riversa in qualsiasi opera: non esistono giochi che vengono creati in laboratorio, in un ambiente sterile avulso da qualsiasi sostrato sociale, economico e politico. Nel caso di specie, non è possibile separare Hogwarts Legacy da J.K. Rowling non soltanto perché il Wizarding World l’ha creato lei, ma anche perché – come precisato più su – l’autrice ha un ritorno economico e mediatico da questo videogioco. Come si fa a ignorare tutto questo in un’analisi critica? La risposta è una sola: non si può.

Il secondo motivo, invece, è più subdolo perché ho avuto l’impressione che la redazione di IGN US abbia provato a colpevolizzare chi non ha acquistato il gioco poiché in disaccordo con le opinioni della Rowling. Come? Cercando di far empatizzare lǝ lettorǝ con lɜ sviluppatorɜ di Hogwarts Legacy. È un collegamento pericoloso dal momento che seguendo questo ragionamento bisognerebbe evitare di dare una valutazione negativa a qualsiasi videogioco. Perché il lavoro di chi ha sviluppato un videogioco brutto ma etico, passatemi il termine, vale meno di quello delle persone che hanno sviluppato un videogioco magari anche bello, ma eticamente discutibile? Siamo di fronte a un cortocircuito logico non indifferente, non credete?
Al di là di tutto, però, la redazione a stelle e strisce di IGN ha optato per un approccio vecchio stampo. Dare le informazioni allɜ lettorɜ in più sedi affinché siano essɜ stessɜ a trarre le dovute valutazioni è un approccio che non condivido, ma è comunque legittimo. IGN US ha deciso di non prendere una posizione rimanendo neutrale, astenendosi dallo scegliere da che parte stare.
Il mondo brucia
Chi invece si è schierata apertamente è la redazione di Wired che, nel giorno di lancio di Hogwarts Legacy, ha fatto uscire una recensione estremamente negativa nei confronti dell’opera di WB Games e Avalanche Software. L’articolo è firmato da Jaina Grey, una donna transessuale che si dichiara profondamente delusa e tradita da J.K. Rowling, ossia l’autrice dei romanzi che hanno contraddistinto la sua adolescenza. Un’adolescenza difficile per una ragazza come Jaina, quotidianamente vessata per ciò che era ed è tutt’oggi.
“When I was a kid, every word that flowed from J. K. Rowling’s pen wrote magic into my world, but now every word she puts out just hurts my heart. Every homophobic or transphobic thing queer kids hear growing up becomes a voice that follows them for a long time. We hear relatives, friends, and parents say awful things about us and to us. For a lot of us, we fight those voices every day. When one of those voices comes from the author who taught you about accepting yourself, a person you thought truly saw you and kids like you, it hurts in a way I honestly hope she never understands. I wouldn’t wish it on anyone.”
Review: There Is No Magic in Hogwarts Legacy – Jaina Grey (Wired)
Da queste parole si intuisce immediatamente il senso di delusione e smarrimento dovuto alla svolta transfobica della Rowling. Un’autrice che ha fatto sognare milioni di persone in giro per il mondo, in buona parte pre-adolescenti e teenager, a un tratto ha deciso di esternare un odio profondo e viscerale nei confronti di un’intera categoria di persone. Peraltro delle persone che ogni singolo giorno della loro vita devono sentirsi emarginate, subiscono offese terribili e altri comportamenti infamanti che la maggior parte della popolazione mondiale non riesce nemmeno a immaginare. È da qui, da questo sentimento di profonda disillusione e amarezza, che nasce la recensione di Hogwarts Legacy firmata da Jaina Grey.

Ed è una recensione, badate bene. C’è chi nei giorni scorsi si è chiesto se possa essere considerata tale dal momento che di Hogwarts Legacy parla poco o nulla: sì, è vero, delle caratteristiche dell’opera non viene detto granché, ma l’articolo si inserisce comunque in quel filone del cosiddetto New Game Journalism. Si tratta di una corrente nata quasi venti anni fa, all’inizio degli anni Duemila, che punta a spostare il focus della critica dal prodotto all’esperienza dell’utente/autorǝ durante la fruizione dell’opera, la quale diventa centrale nell’analisi di un videogioco.
“New Games Journalism exists to try and explain and transfer the sensations allowed by videogaming to anyone who’s willing to sit and take time to read it.”
The New Game Journalism – Kieron Gillen
Il fatto che quella di Wired sia una recensione, però, non la trasforma automaticamente in una buona recensione. L’articolo di Jaina Grey presenta infatti alcuni passaggi piuttosto problematici, come il paragrafo in cui l’autrice afferma che i migliori videogiochi del mondo sono realizzati da artisti queer: “siamo [noi queer] la linfa vitale, il battito cardiaco, e la magia dei migliori videogiochi.” Nell’articolo sono presenti anche altre dichiarazioni molto discutibili, ma praticamente nessunǝ di chi si è scagliatǝ contro questa recensione si è presǝ la briga di entrare nel merito e dibattere i contenuti del pezzo. Si è invece preferito provare a delegittimare e invalidare l’articolo operando su tre fronti, spesso contemporaneamente: si è detto che non è una recensione perché non parla di Hogwarts Legacy; si è cercato di screditare l’autrice attaccando la sua identità di genere e i suoi lavori precedenti (in passato ha recensito sex toys); si è puntato il dito verso il voto (1 su 10) affermando che quello fosse un giudizio politico.
Ebbene, vi svelo un segreto: sì, quel voto è un atto politico. È palese che sia così. È uno sfogo che esprime un disagio profondo, una sofferenza inimmaginabile. Un urlo che purtroppo è caduto nel vuoto perché non solo non siamo statɜ in grado di ascoltarlo, ma è stato distorto e piegato in favore della narrazione di chi – scusatemi il francesismo – se ne sbatte il cazzo delle angherie che questa minoranza della popolazione deve sopportare ogni santissimo giorno. È anche un mezzo per fatturare? Certamente. Sono sicuro che Wired grazie a questa provocazione abbia macinato un bel po’ di click, ma questo non invalida il messaggio che quell’articolo porta in dote.

Oggi però mi sento magnanimo: ve ne svelo un altro, di segreto. Anche il 9 su 10 di IGN US è un atto politico, così come lo sono tutti gli altri giudizi che le decine di redazioni in giro per il mondo hanno dato a Hogwarts Legacy separando l’opera dal contesto. È un atto politico che sta a significare che chi ha prodotto quella determinata recensione ha deciso di sua spontanea volontà di girarsi dall’altra parte.
Un punto di equilibrio
C’è poi chi ha scelto di non pubblicare una recensione di Hogwarts Legacy alla scadenza dell’embargo, ma al suo posto ha fatto uscire due articoli molto importanti che affrontano la questione in maniera trasversale. GameSpot, testata del gruppo editoriale che gestisce Metacritic, si è presentata all’appuntamento con un pezzo della giornalista e attivista Jessie Earl (conosciuta anche come Jessie Gender) che spiega per filo e per segno le posizioni della Rowling. È un articolo molto lungo e dettagliato che si pone sì in diretto contrasto con le idee portate avanti dall’autrice di Harry Potter, ma lo fa in maniera pacata, senza mai alzare i toni della discussione ed entrando nel merito della questione. Jessie Earl ne approfitta per riflettere sull’impossibilità di separare l’opera dall’autrice ribadendo ciò che ho già provato a spiegare qualche paragrafo più in alto.
“The more relevant Harry Potter remains, the more platform Rowling is given to perpetuate anti-transgender language. Further, while the books have finished, Rowling still works on Harry Potter, penning the scripts for the continuing Fantastic Beasts franchise. Harry Potter is not only intrinsically linked with but supports the platform of a woman that used to inspire love who now uses her words to inspire hate. On top of that, Rowling herself has used the continued popularity of the franchise as evidence that people support her views, despite this not being the case.”
JK Rowling’s Anti-Transgender Stance And Hogwarts Legacy – Jessie Earl (GameSpot)
È un articolo molto lungo che accanto ai fatti incontrovertibili (la Rowling è una persona transfobica, da qui non si scappa) aggiunge anche delle opinioni personali con cui sono in completo accordo. In particolare mi preme sottolineare un passaggio in cui Jessie Earl scrive che “non siete delle persone malvagie se volete giocare a Hogwarts Legacy. È importante che non si condanni il videogioco o che non si rinunci al proprio amore per Harry Potter, ma che si combatta con la complessità della questione e si decida in autonomia”.
Ed è effettivamente così: acquistare Hogwarts Legacy non vi rende in automatico delle persone transfobiche, lo siete se affermate di volerne comprare cinque copie per sfregio nei confronti delle persone transgender o se dichiarate esplicitamente di essere d’accordo con ciò che pensa la Rowling. Un fan di Harry Potter che pur conoscendo i fatti e condannando i comportamenti della Rowling decide di comprare il videogioco non è da mettere in croce. Semmai, e qui vi rimando al video Hogwarts: A Legacy of Hate perché userò le parole di Stephanie Sterling, nel momento in cui non riuscite a rinunciare a un videogioco non potete essere più consideratɜ alleatɜ alla causa dei diritti per le persone trans.
Tra i diritti delle persone trans e un videogioco avete scelto il videogioco.
È per questo motivo che il secondo articolo di GameSpot pubblicato alla scadenza dell’embargo è un invito a donare qualche spicciolo alle organizzazioni che si battono per il riconoscimento e la difesa dei diritti delle persone transessuali. Anche questa è una presa di posizione importante, soprattutto perché entrambi gli articoli, questo e l’editoriale di Jessie Earl, sono rimasti ben in vista nella home page del sito per diversi giorni.

Non solo: la testata ha inserito un disclaimer con i link ai due pezzi in ogni singolo articolo a tema Hogwarts Legacy pubblicato sul sito web. In questo modo tutte le persone interessate al videogioco ottengono sì le informazioni che cercano, ma vengono invitate ad approfondire la questione. È un modo molto discreto di sensibilizzare l’opinione pubblica che magari sposta pochissimo in quanto a persone che rinunciano al videogioco, ma se anche un singolo lettore su diecimila dovesse evitare di comprare il gioco e finanziare la Rowling sarebbe comunque una piccolissima vittoria. Tutto questo senza attaccare e dunque alienare le persone poco informate. GameSpot ha pubblicato una recensione, ma questa è arrivata solo il 17 febbraio, dunque molti giorni dopo l’uscita del gioco, e non è firmata. I commenti, inoltre, sono chiusi.
Hogwarts Legacy in Italia
Potrei continuare a scrivere ancora a lungo di come si è comportata la stampa anglosassone, per esempio citando lo squallido editoriale in difesa di J.K. Rowling uscito pochi giorni fa sul New York Times e firmato da una persona che la pensa esattamente come l’autrice di Harry Potter (sfociando addirittura in improbabili teorie del complotto). Invece vorrei utilizzare quest’ultima parte dell’articolo per parlare di come si sono mosse le principali testate specializzate del nostro Bel Paese.
Impossibile non iniziare con il pezzo che di fatto ha dato il via alle danze in Italia: quello firmato da Giulia Martino su Multiplayer. In questo caso siamo più o meno sulla stessa linea dell’editoriale pubblicato su GameSpot: è un articolo schierato, ed è anche normale che sia così, ma si pone l’obiettivo di spiegare allɜ lettorɜ perché si parla tanto delle posizioni di J.K. Rowling e del boicottaggio di Hogwarts Legacy. Giulia Martino seleziona alcune dichiarazioni dell’autrice di Harry Potter e le confronta con le indicazioni ufficiali in materia di identità di genere dell’Istituto Superiore di Sanità. Anche in questo caso l’articolo è molto lungo ed esaustivo, pertanto vi invito a leggerlo dal momento che è estremamente interessante. Peccato che l’autrice sia stata lasciata in balia di una folla inferocita. Dando uno sguardo ai commenti si intuisce che il sentimento comune di chi si è sentito in dovere di commentare – legittimamente intendiamoci – è di rigetto della posizione dell’autrice dell’articolo. In alcuni casi questa posizione è stata espressa anche in maniera violenta senza che la moderazione si sia mossa per riportare la discussione nel recinto della civiltà e del rispetto per gli interlocutori.
È un problema grave, questo, perché di fatto Giulia Martino è stata lasciata da sola persino dai suoi stessi colleghi, che invece avrebbero dovuto fare quadrato attorno a lei. Tant’è vero che dopo qualche giorno a rincarare la dose è arrivato un giornalista che scrive sul progetto editoriale di CasaPound, dunque un giornale dichiaratamente di estrema destra. Un articolo aberrante pubblicato su Il Primato Nazionale (non lo linkerò perché non voglio fare un piacere a chi vede il mondo a testa in giù) che attacca direttamente Multiplayer e dunque Giulia Martino, accusando il sito di fare “propaganda Lgbt con la scusa dello spiegato bene”. Il pezzo, come potete immaginare, è un coacervo di slogan senza né capo né coda: “dittatura del pensiero dominante”, “pippone” di “millemila caratteri” per squalificare in partenza tutto l’articolo, “uomini che qualcuno chiama donne”, e via così. D’altronde stiamo pur sempre parlando del giornale di CasaPound.

Quello che invece si può (e si deve) pretendere è che almeno altre testate affrontino l’argomento con serietà. Perlomeno quelle lontane dagli ideali neo-fascisti. Stiamo parlando di diritti e non è ammissibile parlare a sproposito, come invece ha fatto Everyeye su TikTok. In un brevissimo video caricato all’indomani della pubblicazione della controversa recensione di Wired, la persona che ha creato il video parla dell’articolo di Jaina Grey utilizzando un filtro da clown per deridere sia l’autrice che la testata. Non solo: lǝ tiktoker di Everyeye prova prima a squalificare tutto il discorso fatto da Jaina Grey concentrandosi su un solo aspetto che nella recensione sotto accusa è citato in una singola frase, ma arriva addirittura a dire che la recensione è stata scritta – testuali parole – “da una donna transgender che odia la Rowling”, seguita da una chiosa da mani nei capelli che si appella all’obiettività della critica.
Allora. Qui devo fermarmi un attimo a riflettere perché anche dopo diversi giorni le uniche parole che mi vengono in mente sono bestemmie.
Ok, continuiamo.
Quel video su TikTok è sbagliato, su tutta la linea. Non ho altri termini per definirlo. È sbagliato. C’è poco da aggiungere. Come fa una testata che parla di videogiochi, una delle più importanti in Italia per traffico generato, a parlare di un’altra realtà dando dei pagliacci a quelli di Wired. Ma cosa vi salta in testa? Al diavolo l’obiettività della critica, che non esiste e non esisterà mai: qua da parte di Everyeye sono mancati rispetto e professionalità. Aggiungo che attaccare direttamente l’autrice in quanto “donna transgender che odia la Rowling” implica da un lato che l’articolo non è stato letto, perché Jaina Grey non solo non odia l’autrice di Harry Potter, ma le augura di non provare mai sulla sua pelle ciò che provano ogni santo giorno le persone transessuali; dall’altro mi sembra che si stia implicitamente dichiarando che una donna transessuale non abbia il diritto di esprimere la sua opinione, a maggior ragione se quell’opinione riguarda direttamente la minoranza di cui fa parte. Questa esternazione è pericolosissima, soprattutto se fatta su un canale social ufficiale di una tra le principali testate italiane che parlano (anche) di videogiochi. Sono questi comportamenti del tutto fuori luogo che poi vanno ad alimentare quella tossicità che polarizza le discussioni e impedisce il dialogo. È anche per colpa di chi usa il filtro da clown e parla con leggerezza di tematiche complesse che non può esserci confronto.
Ma non voglio continuare a parlare di Everyeye, anche se ci sarebbe molto altro da aggiungere sulla copertura imbarazzante che hanno riservato a Hogwarts Legacy, più o meno tutta sul tenore di quel video su TikTok. Vorrei parlare anche di altre testate che hanno pubblicato articoli sul tema. Tra queste cito SpazioGames e GameDivision, entrambe facenti parte dello stesso gruppo editoriale.
Nel primo caso, Stefania Sperandio ha scritto un articolo che, come quello di Giulia Martino su Multiplayer, prova a spiegare il perché delle polemiche attorno alla figura di J.K. Rowling. Il pezzo della caporedattrice di SpazioGames non è approfondito come quello della Martino, ma questo non significa che sia meno valido, anche perché affronta l’argomento da un’altra angolazione: quello dell’esasperazione dei toni sui social, sia da una parte che dall’altra.
“Chi si sentiva in qualche modo legittimato nel proprio odio, in seguito alle esternazioni di J.K. Rowling, oggi lo pensa ancora e probabilmente pure di più. È quell’esasperazione social che dicevo: permette ai messaggi di circolare e prendere forma molto rapidamente, ma paradossalmente toglie punti di contatto. A volte, non lascia niente di costruttivo.”
Hogwarts Legacy è assurto a bilancia morale di un dialogo impossibile ai tempi dei social – Stefania Sperandio (SpazioGames)
Si tratta di un articolo con cui in linea di massima sono piuttosto d’accordo, non fosse altro che è davvero difficile negare che sia andata proprio così. Nel momento esatto in cui le opinioni hanno iniziato a diventare polarizzate e polarizzanti è svanita ogni minima possibilità di dialogo. E in questo hanno sbagliato entrambe le parti della barricata, sia chi ha difeso la Rowling che chi ha avvelenato il pozzo attaccando chi non ha voluto boicottare Hogwarts Legacy.
Nel secondo caso, l’articolo firmato da Alessandro Adinolfi comparso sulle pagine di Game Division parla quasi esclusivamente del tentativo di boicottaggio intervistando alcune delle persone direttamente coinvolte nell’azione contro Hogwarts Legacy. Adinolfi ha anche provato a contattare lɜ sviluppatorɜ ancora impegnatɜ nello sviluppo del videogioco, con esiti negativi, ma è riuscito a mettersi in contatto con Troy Leavitt. Chi è Troy Leavitt? È un ex lead designer di Hogwarts Legacy che in passato si è scagliato pubblicamente contro lɜ cosiddettɜ Social Justice Warrior, dunque una persona molto vicina all’alt-right americana, tant’è che il suo canale YouTube è pieno zeppo di video propagandistici che non sfigurerebbero su un eventuale canale de Il Primato Nazionale. Leavitt si è dimesso da Avalance Software in seguito alle polemiche derivanti da questa scoperta.

Insomma, non è proprio la persona a cui personalmente andrei a chiedere come fosse il clima in Avalanche Software quando c’era lui. Questo per dire che l’articolo prova a fare il punto della situazione in maniera imparziale, ignorando però alcuni elementi fondamentali. Chi sia Troy Leavitt, nell’articolo, non è mai specificato. Non metto però in dubbio che il pezzo di Alessandro Adinolfi nasca con tutte le buone intenzioni, tant’è che ne ho avuto conferma da uno scambio sui social avuto proprio con l’autore.
“Per ora, di Hogwarts Legacy, resta sicuramente un prodotto sviluppato con tutta l’attenzione del caso in un’industria tripla A. C’è però l’altro lato, che non possiamo sottovalutare, soprattutto nel momento in cui ha delle ripercussioni nella vita reale. E l’odio, anche nel mondo dei videogiochi, è uno di questi lati oscuri che dovremmo abbattere e non rinforzare.”
Hogwarts Legacy: minacce, odio, razzismo e il silenzio degli innocenti – Alessandro Adinolfi (Game Division)
Ciò che mi dispiace, però, è che questi articoli siano caduti un po’ nel vuoto. Mi ha fatto piacere notare che, forse per la prima volta in assoluto, le varie testate italiane si siano citate esplicitamente a vicenda rompendo quella regola non scritta per cui non si linka mai la concorrenza, ma al di là di questo non è seguita nessun’altra iniziativa di sensibilizzazione. Lo dico con amarezza facendo personalmente mea culpa perché questa è la prima volta che parlo dell’argomento e lo faccio qui su Frequenza Critica, non su The Games Machine, dove scrivo da quasi dieci anni. Su TGM, infatti, non ne ha parlato davvero nessuno e questo mi intristisce non poco.
Sia come sia, voglio chiudere questo lungo articolo linkandovi una bella iniziativa dellɜ nostrɜ amicɜ di Gameromancer. Qui trovate un elenco di content creator e attivistɜ appartenenti alla community LGBTIQA+, nonché videogiochi indipendenti che affrontano le tematiche di genere. Buttateci un occhio.
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