L’articolo è quasi completamente senza spoiler, dove “quasi” indica alcuni dettagli dei primi minuti del gioco. È possibile procedere alla lettura senza paura.
Non spenderò il paragrafo introduttivo a descrivere la premessa di Twelve Minutes allo stesso modo delle altre tremila recensioni uscite in questi giorni: siete su Frequenza Critica e, prima di giungere qui, avrete già avuto modo di informarvi sul titolo di Luis Antonio pubblicato da Annapurna Interactive. Si, Twelve Minutes è un’avventura grafica che utilizza il loop temporale come espediente narrativo, un’idea che abbiamo già avuto modo di vedere in diverse salse nel corso degli anni: a popolarizzarla fu il film Groundhog Day con Bill Murray (da noi tradotto con Ricomincio da Capo), seguito negli anni da esempi come Edge of Tomorrow, La Ragazza che Saltava nel Tempo, o più recentemente Russian Doll di Netflix.
Dal lato dei videogiochi abbiamo già avuto modo di parlare di Outer Wilds, così come Returnal utilizza il loop temporale per giustificare la sua natura roguelite e, naturalmente, non è possibile dimenticare Majora’s Mask come esempio più prominente nell’implementazione di questo tipo di meccanica nel nostro settore. Se quindi l’idea di incastrare il protagonista in un ciclo temporale non è esattamente una delle più innovative sul mercato, l’esecuzione ha il compito di rendere l’espediente interessante, un aspetto che Twelve Minutes non sempre riesce a tenere sotto controllo.

Il protagonista torna a casa in un giorno come tanti per trovare la moglie in preparazione per una serata speciale: il dolce è pronto in frigo e c’è un importante annuncio da fare, sicuramente non correlato a gravidanze inaspettate. La serata scorre tranquilla quando, a pochi minuti dall’inizio della cena, un poliziotto bussa alla porta, arrestando moglie e protagonista nella retata più irregolare dai tempi di Andrew Finch. A nulla valgono i tentativi di ragionare o di liberarsi dalle manette: tutto ciò che il protagonista è in grado di ottenere è un gancio sulla mandibola così forte in grado di mandarlo indietro nel tempo di dieci minuti, all’inizio della serata. Superato lo smarrimento iniziale, iniziano i tentativi da parte del marito di risolvere la situazione per uscire dal ciclo in cui si ritrova suo malgrado bloccato, i quali lo porteranno a scoprire inquietanti segreti e situazioni che non sfigurerebbero in una convoluta fiction per casalinghe, mentre io sono finito a descrivere la premessa allo stesso modo delle altre tremila recensioni.
Sostanzialmente ci si ritrova a giocare la parte centrale di Groundhog Day, in cui a suon di trial & error si cerca un modo per risolvere la situazione acquisendo di volta in volta le informazioni necessarie a scucire qualche dettaglio in più ai personaggi. Notevole l’interazione con gli oggetti nella casa, i quali nella maggior parte dei casi hanno un ruolo nella storia e il gioco riesce a costruire reazioni verosimili alle varie combinazioni che è possibile eseguire. L’attenzione per i minimi dettagli consente a Twelve Minutes di indirizzare il giocatore senza fornire degli aiuti troppo espliciti, così come di tirar fuori dei risultati a volte inaspettati, ma comunque in linea col contesto: come convinciamo la moglie del fatto che siamo bloccati in un loop temporale? Beh, in casa c’è una radio ed è ragionevole pensare che prevedere quale canzone passerà a momenti sia una prova sufficiente, ma lei puntualizzerà che la programmazione del palinsesto è pubblicamente disponibile. La soluzione viaggia comunque su un binario simile ed è notando alcuni commenti di passaggio che possiamo avvicinarci a risolvere l’enigma.

Allo stesso modo non possiamo ragionare col poliziotto — non inizialmente almeno — , ma in cucina c’è un coltellaccio dall’aspetto minaccioso: no, uno scontro diretto ci rimanda all’inizio del loop, ma se provassimo a nasconderci e approfittare di un momento di distrazione per attaccarlo alle spalle? E se invece provassimo a non uscire del tutto dal nascondiglio e ad assistere a come si svolge la scena? E se quel coltello lo usassimo su di lei? Twelve Minutes cerca di coprire quasi tutti i casi in cui un giocatore può tentare di approcciare razionalmente la situazione ragionando sulle varie possibilità a disposizione, ma ci sono frangenti in cui il titolo richiede di ragionare da psicopatici come solo le più note avventure grafiche degli anni ’90 riuscivano a fare.

Se quindi l’aspetto esplorativo del titolo impernia sui vari utilizzi che possono avere gli oggetti e le interazioni tra i personaggi, le risposte ai dialoghi e le variazioni agli scenari, quando inevitabilmente si iniziano a esaurire le opzioni a disposizione entra in gioco la componente prettamente “da avventura grafica”. È nel momento in cui si ha una idea generale delle diramazioni nella linea temporale che Twelve Minutes richiede di saltare da un loop all’altro, carpendo indizi attraverso i dialoghi ed eseguendo le azioni corrette per influenzare il corso degli eventi, ma il sistema abbandona l’impostazione alla film interattivo per preferire un gameplay non dissimile da un Syberia qualsiasi: non è tanto capire cosa fare, ma come riuscire a portarlo a termine, aspetto che mostra tutti i limiti delle avventure grafiche vecchio stile.
Il gioco richiede una sequenza più o meno precisa per influenzare in determinati modi lo svolgersi del loop e, superata metà della trama, il trial & error diventa molto rilevante per colpa di tutta una serie di linee di dialogo e interazioni che potrebbero sembrare corrette, ma che conducono in un vicolo cieco. Nulla che un giocatore attento ai dettagli e armato di un po’ di pazienza per ripetere decine di loop non possa superare, ma la curiosità dello scoprire le numerose interazioni cede il posto alla necessità di far proseguire la trama, richiedendo al giocatore di imparare una sequenza specifica di oggetti da utilizzare e linee di dialogo appropriate per raggiungere uno dei diversi finali. Non manca in alcuni casi il pixel hunting: la telecamera sul soffitto è appropriata allo stile del titolo, ma individuare alcuni elementi interagibili potrebbe essere più ostico del previsto.

La mia esperienza è stata quindi minata non solo da alcuni degli aspetti più rognosi delle vecchie avventure grafiche, ma anche da alcuni ulteriori grattacapi sul fronte dello sviluppo. Il titolo vanta Daisy Ridley, Willem Dafoe e James McAvoy in sala di doppiaggio, ma l’interpretazione non è che sia esattamente stellare. Verrebbe quasi da pensare che quei soldi sarebbero stati meglio investiti in un set di animazioni che non sembra preso da The Sims: i movimenti sono legnosi e bisogna attendere che l’animazione venga completata prima di eseguire il comando successivo o si rischia di rompere lo svolgersi del loop di turno.
Inoltre, al di fuori degli aspetti tecnici, Twelve Minutes ha finito per mettermi tristezza. Sarà che l’inquadratura da un senso di claustrofobia, sarà perché Willem Dafoe piagnucola con una certa convinzione quando riusciamo a mettere sotto controllo il poliziotto, sarà perché conoscendo i tre personaggi diventano via via sempre meno empatici, ma le sessioni prolungate sono state più pesanti di quanto da me auspicato. Non posso neanche dire di avere particolarmente gradito il twist — di cui ovviamente non farò spoiler — verso il finale: se l’intento era di invocare il pomeriggio per casalinghe di Canale 5 direi che ci sono riusciti alla grande, io personalmente giurerei di aver sentito questo nelle mie orecchie. Però fa ridere e quindi lo lascio passare.

D’altro canto, non posso nemmeno dire di avere sprecato il mio tempo con Twelve Minutes. Messi da parte i risvolti fin troppo ridicoli della trama e lati più frustranti da avventura grafica, la componente librogame (dove possiamo interagire con le varie possibilità del loop spinti dalla curiosità piuttosto che dalla necessità di dover risolvere un enigma) è stimolante abbastanza da convincere il giocatore a completare il titolo nella sua breve durata, che ritengo corretta per il genere a cui appartiene. Allungare il brodo avrebbe aumentato notevolmente l’effetto soap opera e reso inutilmente più intricati i passaggi richiesti a ogni loop per arrivare a un risultato. Per me Twelve Minutes è un’opera che fa abbastanza per incuriosire al punto da voler vedere come va a finire, seppur con diversi scivoloni durante il percorso e un capitombolo sregolato durante il finale. Ci sono le buone idee, c’è l’impegno di fare qualcosa di diverso dal solito polpettone commerciale, manca solo una visione in grande stile per fronteggiare le alte produzioni, a cui auguro Luis Antonio davvero buona fortuna.
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