Tutte le donne di Sam Lake

Eccezion fatta per Death Rally, opera prima di Remedy Entertainment oggetto di un recente remake, c’è una costante nei videogiochi scritti da Sam Lake, al secolo Sami Järvi: vertono tutti, chi più e chi meno, su una figura femminile.

Le disavventure di Max Payne nascono proprio dalla morte della moglie, nonché della loro figlia neonata. Un evento, quello del terribile assassinio di Michelle, che scatena una spirale di violenza e vendetta in un’ambientazione neo-noir del tutto inedita all’inizio del terzo millennio. Laddove gli action dell’epoca portavano spesso in dote trame banali utilizzate perlopiù come mero pretesto per menare le mani o far volare i proiettili, Sam Lake e i suoi compari finlandesi riescono a fondere tecniche utilizzate nei fumetti e nella cinematografia hard boiled per dare il via a un’epopea di piombo, bullet time e depressione opprimente. E lo fanno proprio partendo da una donna, puntando sui rapporti affettivi che legano Max alla defunta consorte, a quei sentimenti che si provano quando il mondo si accartoccia su se stesso.

Intendiamoci, il primo Max Payne non è un’opera perfetta dal punto di vista narrativo, tutt’altro, eppure pone le basi per la Remedy e il Sam Lake che saranno. Anche la stessa Michelle appare come una figura quasi eterea, laddove da lì in avanti le figure femminili saranno molto più presenti nei lavori successivi della software house nordica.

sam lake

Difatti già nel videogioco successivo si assiste a un cambio di passo. Mona Sax in Max Payne 2: The Fall of Max Payne è l’esatto contrario di Michelle: già incontrata nel diretto predecessore, Mona qui diventa una presenza costante, una comprimaria stabile sia sul piano ludico che narrativo. In tal senso si assiste a una maturazione di Sam Lake, questo perché nel frattempo il buon Sami ha frequentato attivamente un corso di sceneggiatura, imparando diverse tecniche che da lì in poi avrebbe sfoggiato in tutte le sue opere. Nel secondo Max Payne, per esempio, sfrutta il trucchetto dell’attrazione sessuale tra i due personaggi principali. Mona diventa così un mezzo tramite il quale far proseguire le vicende particolarmente attivo durante tutto il corso del gioco. Uno spirito affine diametralmente opposto rispetto alla figura di Michelle. Si viene così a formare un’alchimia palpabile tra i due, anche se questo loro rapporto spesso scade in più di qualche scontatissimo cliché.

La maturazione di Sam Lake è in divenire, sta ancora prendendo bene le misure mettendo a frutto le competenze acquisite nel frattempo. Ci metterà un po’ per aggiustare il tiro, anche a causa di alcune battute di arresto e imprevisti incontrati durante lo sviluppo del successivo progetto di Remedy, ma il processo proseguirà dopo quasi sette anni dall’uscita di Max Payne 2, quando Sami avrà finalmente trovato la sua cifra stilistica distintiva dando vita ad Alice.

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Alice è un personaggio diverso sia da Michelle che da Mona, eppure possiamo considerarlo come equidistante da entrambe. Non è di certo una donna d’azione, ma non è una Mary Sue, una figura intangibile e idolizzata come la defunta moglie di Max Payne. Il suo ruolo nelle vicende di Alan Wake è attivo: è lei stessa che fa partire gli eventi portando Alan a Bright Falls; è sempre lei che vorrebbe curare il marito dal blocco dello scrittore con la scusa di una vacanza fuori città; ed è sempre Alice, o meglio la sua scomparsa, a far scivolare suo marito in una spirale apparentemente senza via d’uscita.

Ovviamente chi ha giocato ad Alan Wake sa che i fatti sono un po’ più complessi di così, ma è innegabile il ruolo di Alice all’interno della sceneggiatura. Il suo è, per così dire, un personaggio catalizzatore: anche quando non viene citata esplicitamente, la sua presenza nell’intreccio narrativo viene data per scontata. Il suo salvataggio è il fine ultimo che sprona Alan durante tutta l’avventura. Ciò detto, anche in questo caso Sam inciampa in qualche cliché, trasformando Alice in una moderna damigella in pericolo incapace di badare a sé stessa. Un tropo di cui si libererà soltanto nel 2016, con la pubblicazione di Quantum Break.

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Mentre sperimenta la commistione tra medium differenti, Remedy Entertainment sforna un titolo decisamente intrigante e a suo modo innovativo, primo (e fin’ora unico) tentativo di fondere videogiochi e serie TV.

Qui Sam Lake fornisce al protagonista Jack Joyce una comprimaria molto più vicina all’estremità Sax della linea Michelle-Mona. Una donna sì forte ma particolarmente provata dalla spirale temporale scaturita dagli eventi messi in moto dagli esperimenti di Paul Serene. Il rapporto che viene a crearsi tra Jack e Beth Wilder, guardia di sicurezza della Monarch Solutions, è un’altalena di emozioni, un sali-scendi che si sviluppa su più linee temporali e narrative. Come avvenuto tra Max e Mona, anche tra Jack e Beth l’alchimia è tangibile (al netto delle scarsissime doti recitative di Shawn Ashmore). Viene a crearsi un rapporto di intesa spesso conflittuale, che tuttavia cementifica la relazione tra i due, fino a sfociare in una scena finale a dir poco fantastica.

Libero dai cliché che hanno caratterizzato i suoi lavori precedenti, la maturazione di Sam Lake appare finalmente completa, perlomeno nella scrittura dei personaggi.

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È però in Control che Sami riversa tutta la sua esperienza offrendoci per la prima volta in assoluto una protagonista femminile. Per dare forma a Jesse Faden fa tesoro di tutti gli elementi principali presenti nelle precedenti opere targate Remedy Entertainment.

Caratterialmente, Jesse è una donna disposta a tutto pur di arrivare alla verità. In apparenza una persona qualunque, come Alan Wake, dotata di una forza d’animo tutt’altro che infallibile e segnata profondamente dalla sua infanzia, strizzando così l’occhio a Beth Wilder (peraltro interpretata dalla stessa Courtney Hope). In Jesse coesistono quasi tutte le diverse anime dei personaggi di Sam Lake, a prescindere dal genere. Una protagonista che il giocatore impara a scoprire passo dopo passo, ascoltando i suoi monologhi e raccogliendo i vari indizi disseminati nella Oldest House. Jesse è un enigma complesso e dalle mille sfaccettature, un rompicapo da risolvere, un mosaico da ricostruire i cui tasselli sono sparpagliati lungo tutto il gioco, alcuni in piena vista, altri ben nascosti.

È anche grazie alla sua protagonista che Control dimostra di essere un videogioco così affascinante. Si ha come l’impressione che l’intero percorso di maturazione di Lake, un processo durato quasi venti anni, fosse destinato proprio alla creazione di Jesse Faden. Una lenta sublimazione di tutto ciò che ha caratterizzato i videogiochi sviluppati da Remedy da Max Payne in poi. L’ovvia speranza è che tale procedimento non si interrompa mai, portando il buon Sami a dar vita a personaggi sempre più complessi da innestare all’interno di scenari narrativi altrettanto articolati.

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  • Daniele “Alteridan" Dolce

    Mi piace scrivere di ciò che mi passa per la testa, prevalentemente di videogiochi. Ho una vera e propria passione per la fotografia virtuale.

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