The Messenger: Slaying the Dragon

Il mercato indie è saturo.

Aprendo oggi Steam c’è l’imbarazzo della scelta tra platformer, visual novel, roguelite e chi più ne ha ne metta. Con cotanto potenziale tra cui scegliere viene anche il problema di dover distinguere i giochi belli da quelli brutti. Il risultato è, banalmente quanto comprensibilmente, che la grafica e l’originalità prendono il sopravvento come fattori determinanti. Ronin non ha niente da invidiare a un Katana Zero, ma il secondo è innegabilmente più bello da vedere, con animazioni spettacolari ed effetti galvanizzanti. Il risultato è visibile agli occhi di tutti: il secondo gioco ha più di sedicimila recensioni positive, mentre il primo, a più di quattro anni dall’uscita, ha a malapena superato le mille.
Non è colpa di nessuno, davvero. Nel mare di infiniti titoli mediocri che si appellano alla nostalgia degli acquirenti, l’occhio esperto cerca qualcosa di fresco, appagante, diverso.

Qual è il problema? Beh, è semplice: il platformer più fresco, appagante e diverso che abbia giocato negli ultimi anni si presenta come un modesto omaggio ai platformer 8-bit (o, per usare un termine più schietto, un “nostalgia grab”). E l’ho quasi ignorato esattamente per la sua presentazione. Oggi scrivo questa recensione per invitarvi a non fare lo stesso errore che ho fatto io.

Parliamo di The Messenger.

The Messenger si presenta come un tradizionale platformer 2D dalla trama semplice: quando il villaggio ninja a cui appartiene il protagonista viene attaccato dall’armata dei demoni, un’eroe dall’ovest salva la situazione e lascia un’importante pergamena al nostro eroe, ordinandogli di consegnarla a tre saggi in cima a una montagna. Data questa basilare giustificazione agli eventi del gioco la parola passa al giocatore, che inizia a muoversi in ambientazioni 8-bit vagamente ispirate a Ninja Gaiden, feeling evocato ulteriormente dall’aspetto del protagonista (fortemente simile all’abito originale di Ryu Hayabusa) e dalle splendide musiche chiptune che accompagnano l’avventura.
Le similarità si fermano all’aspetto estetico, però, dato che il movimento in The Messenger si basa su una meccanica unica chiamata “cloudstep” — in parole povere, colpendo a mezz’aria un oggetto è possibile ottenere un altro salto. Questi oggetti vanno da elementi di sfondo come le (numerose) lanterne ad altre entità più “dinamiche”, come i proiettili sparati dai nemici. La varietà di avversari da affrontare è piuttosto elevata, ma spesso e volentieri la sfida non è il nemico stesso, visto che la maggior parte di essi muore in un colpo solo. La vera difficoltà del gioco sta nel navigare attraverso la varietà di ostacoli che bloccheranno la strada del nostro ninja, siano essi proiettili nemici (di varie angolazioni e velocità, perché non vogliamo rendere la vita troppo facile), i classici spuntoni, lame rotanti — insomma, tutto quello che ci si aspetterebbe dalla presentazione che ci ha offerto il gioco.

Qui c’è l’unica debolezza rilevante di The Messenger: mentre le meccaniche sono istantaneamente appaganti, i primi livelli non fanno molto per sfruttarle. L’avventura si presenta in maniera molto ortodossa all’inizio, con sfide di platforming basilari e alcuni nemici lungo la strada da eliminare, e mentre il tutto scorre in maniera liscia non c’è niente di particolarmente intrigante nel gameplay dei primi due livelli. Fortunatamente a mantenere l’attenzione in questo inizio lento, che poi si rivelerà essere un mero tutorial, ci pensa l’inaspettatamente superbo writing, offerto nella forma di un singolo personaggio — lo “Shopkeeper”, proprietario di un negozio che appare più volte durante la storia permettendo al giocatore di acquistare vari potenziamenti. Nel frattempo lo Shopkeeper ci delizierà con varie storie opzionali, e la relazione che si viene a formare tra lui e il protagonista strappa più di qualche risata, spesso rompendo la quarta parete ma senza mai esagerare. La gag ricorrente dell’armadio, che il negoziante impedisce a tutti i costi di aprire con un lungo discorso filosofico non saltabile, ricorda vagamente le gemme comiche di Anachronox, e mentre cercare di far ridere è uno degli obiettivi (e sicuramente uno dei più riusciti) delle interazioni con lo Shopkeeper, gli scrittori non si risparmiano di toccare qualche punto più profondo, indicando apertamente le morali dietro le storie e offrendo spunti di riflessione attraverso punti di vista particolari.

The Messenger

Andando avanti comunque il level design comincia a brillare. Oltre a offrire sfide di platforming più elaborate, il cloudstep comincia a essere una meccanica davvero significativa: sezioni complicate dove saltare di piattaforma in piattaforma schivando proiettili può sembrare un po’ troppo difficile, acquisiscono una nuova dimensione quando ci si rende conto che quei proiettili sono a loro volta piattaforme utilizzabili. Tagliando lanterne, nemici e attacchi, il platforming acquisisce una forma nuova e dinamica, libera dai limiti tradizionali. Il level design fa di tutto per accentuare la cosa, creando livelli progressivamente più verticali, lasciando spazio ai giocatori più abili di crearsi la loro strada in salita grazie al cloudjump, ma senza lasciare indietro quelli meno propizi a correre rischi, lasciando comunque a disposizione vie tradizionali disposte intelligentemente.

Il risultato di questo è un platforming incredibilmente appagante, a cui si aggiungono andando avanti varie abilità come il rampino, che permette di afferrare nemici e oggetti di sfondo trascinando il giocatore verso di loro, e la tuta alare, che permette sia di planare (naturalmente) che di attaccare verticalmente, abilità che risulterà sorprendentemente utile permettendo al protagonista di volare sopra a proiettili e nemici aerei per raggiungere altezze altrimenti impossibili. Padroneggiare queste meccaniche è perfettamente opzionale per l’avventura principale, ma viene richiesta una certa maestria nelle stanze opzionali con gli inevitabili collezionabili, che sono quindi relegati a sfide per i giocatori più esperti. Morire non è comunque troppo grave — i checkpoint sono frequenti, e il diavoletto che assorbe i soldi raccolti come pagamento per averci tenuti in vita non è troppo esoso, visto che tende ad andare via dopo una stanza o poco più.
A questo si aggiungono i boss, che oltre a essere unici e variegati brillano anche per personalità, spaziando dal nanetto che parla con il suo bastone al maggiordomo robotico dotato di multipli cannoni da evitare in stile shmup. Dall’inizio alla fine The Messenger è un’avventura piena di personalità e stile che accompagnano il brillante gameplay.

The Messenger

A questo punto è obbligatorio parlare della sorpresa del gioco. Se avete letto recensioni in giro è probabile che l’abbiate già scoperta, visto che è un punto abbastanza importante del gioco, ma vi faccio comunque un’umile richiesta: se quello che avete letto finora vi ha in qualche modo convinto a provare il gioco, chiudete questa recensione e tornate a leggerla dopo averlo finito. Ovviamente non posso fermarvi dal leggere il resto, ma giocare a The Messenger senza sapere praticamente nulla è stata un’esperienza incredibile per me, e raccomando a tutti gli interessati di fare lo stesso.

State ancora leggendo?

Molto bene.

Arrivati a metà gioco, The Messenger cambia registro introducendo una nuova meccanica nella forma di viaggio nel tempo. Passando attraverso appositi portali posti in giro per i livelli il gioco passa da 8-bit a 16-bit, dove il nostro ninja indossa nuovi abiti simili a quelli di Raiden da Mortal Kombat e la musica a sua volta passa da simil-NES a simil-Genesis. Mentre il cambiamento grafico e musicale è innegabilmente piacevole, con tanti piccoli dettagli extra ad arricchire i fondali, quello che conta davvero è il modo in cui i livelli cambiano passando alla dimensione alternativa: appaiono nuove piattaforme, scompaiono mura aprendo nuove strade, nuovi nemici rimpiazzano i vecchi e così via. Una simpatica meccanica che riempie gli ultimi livelli in maniera creativa.
O almeno così sembra, perché qui entra in gioco il secondo, grande twist di The Messenger. La pergamena che il protagonista porta con sé dall’inizio dell’avventura si rivela essere una mappa, trasformando il genere da platformer a metroidvania. Le aree completate acquisiscono nuovo significato grazie ai gadget acquisiti, la capacità di cambiare linea temporale e l’abilità ottenuta dal giocatore durante il corso dell’avventura. Seguendo le indicazioni di una profezia vaga (che lo Shopkeeper è più che contento di spiegare in termini più pratici in cambio di denari), il giocatore attraversa le zone già completate in una nuova luce, scoprendo altre aree inizialmente nascoste perché inaccessibili.

Questo semplice colpo di scena è un brillante nuovo modo di intendere i metroidvania. Mentre l’esplorazione è sempre stata un punto chiave del genere, The Messenger propone un approccio alternativo: anziché dover esplorare ogni area punto per punto il gioco ci fa scoprire la mappa in maniera naturale, sotto le mentite spoglie di un classico platformer, e ci fa tornare a visitarle una volta acquisite le adeguate abilità, sia nel gioco sia come giocatori. Dove giochi comunque eccezionali come Hollow Knight possono risultare pesanti per la grossa quantità di strade esplorabili, The Messenger si assicura di preparare il giocatore a dovere per la fase più aperta, risultando in due sezioni ugualmente brillanti. Mentre per la prima metà offre un platformer di alta qualità, nella seconda parte ci delizia con il gusto esplorativo di un genere molto in voga ultimamente ma raramente affrontato da questa prospettiva. Mischiate insieme, le due parti creano un’avventura che non perde mai di ritmo e offre i picchi di due generi diversi senza toccarne mai i punti bassi. E, mentre il finale del gioco può risultare leggermente deludente dopo un’avventura così entusiasmante, il DLC (gratuito!) rimedia offrendo una boss fight finale che… beh, non avrebbe senso rovinare la sorpresa, no?

The Messenger

The Messenger è un gioco che non avrei mai giocato se non fosse stato pubblicato da Devolver Digital e incluso nel Game Pass. Ed è un peccato, perché se l’avessi giocato l’anno scorso si sarebbe tranquillamente piazzato nella mia top 10. È un modo fresco di intendere due generi che hanno saturato il mercato indie, e lo fa omaggiando comunque l’epoca classica che ha ispirato tutto. Questo potrebbe essergli costato in popolarità, visto che tuttora il gioco è fermo a tremila recensioni — ben lontano dalla popolarità di giochi come Shovel Knight e Hollow Knight. Se avete letto fin qui avete probabilmente ignorato la mia richiesta sopra, ma come direbbe lo Shopkeeper questo dimostra una certa curiosità da parte vostra. Mettetela a buon uso e date un’occasione al gioco, soprattutto se l’avete ottenuto gratis via Epic o se avete l’Xbox Game Pass. O, semplicemente, spendete quei 16,79€ che il gioco chiede di listino.

Vi assicuro che non ve ne pentirete.

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  • Lorenzo "Dyni" Sarno

    Non so scrivere e passo tre quarti del mio (illimitato) tempo libero giocando ai picchiaduro. Non sono capace neanche a quelli.

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