The Final Station, odissea postapocalittica in pixel art

The Final Station è uno di quei giochi che mi sono capitati addosso per caso. Uscito senza che ne sapessi niente, mai visto un trailer, mai suggerito tra i consigli per gli acquisti. Era il Summer Games Fest appena trascorso quello che mi sono tenuto in sottofondo mentre facevo altre cose al PC. Sapevo in linea di massima quali conferenze mi interessavano più di altre, ma ciònonostante, per sete di informazione, ho perlomeno ascoltato con la coda dell’orecchio praticamente tutto. Ed ecco che cattura la mia attenzione un trailer ambientato in una specie di cattedrale, con un personaggio dalle movenze furtive, ibrido tra umano e carta, intento a trafugare un oggetto da un altare. Lo stile è stravagante quanto basta da interessarmi, ma non trovavo altre informazioni sul gioco al di là di un altro trailer precedente che mostrava un segmento di gameplay e della pagina promozionale “coming soon” nei vari store. Mentre scrivo queste righe il gioco è uscito, ma qualche settimana fa mi dovevo arrangiare con queste poche informazioni. C’è una sola cosa sensata da fare quindi, per farsi un’idea migliore del progetto in arrivo: controllare cos’altro hanno fatto gli sviluppatori.

Una breve ricerca ed ecco che conosco Do my Best, un piccolo studio indipendente russo già autore di The Final Station. Pochi click per l’installazione e mi ritrovo in questa esperienza che è sia post che pre-apocalittica, il tutto in uno stile pixel art minimalista in grado di girare anche su un tostapane, ma ciònonostante non certo priva di gusto e contenuti. La storia comincia in una insolita fase di mezzo dove il mondo è stato invaso qualche anno prima da una specie aliena ostile che ne ha cambiato la morfologia e lo stile di vita. A caro prezzo, gli alieni vennero respinti, ma rimase la consapevolezza che un giorno sarebbero tornati. Tutti gli sforzi dell’umanità vengono quindi rivolti alla preparazione per loro ritorno. Viene fatta ingegneria inversa della tecnologia che si lasciarono alle spalle e preparato un piano di difesa, tra enormi guardiani robotici e città fortificate.

The Final Station-treno-città fortificata-megalopoli-retro sci fi
Quando una città è così palesemente divisa in settori, è sempre distopia.

Biglietti, prego…

Ma lo sventurato giorno X arriva prima del previsto. Bisogna organizzare un trasporto d’urgenza per gli ultimi componenti necessari per attivare il Guardiano, enorme mech in grado, si spera, di contrastare gli alieni. Il governo di Metropole, la più avanzata cittadella umana, arriva alla conclusione che il mezzo di trasporto più efficace è il treno. Un treno in particolare, che si trova proprio nella stazione giusta per fare una breve deviazione a raccogliere gli ultimi due componenti in laboratori diversi e portarli alla capitale. Il setup perfetto per dare responsabilità inumane a un mister nessuno con una vita e un lavoro normali. Assegnatogli treno, porto d’armi e licenza di accogliere o ignorare i superstiti incontrati lungo la strada come meglio crede, ecco che quindi parte il viaggio della speranza. Ma l’escalation della guerra avviene più rapidamente del previsto e pian piano si perdono i contatti con molti degli altri villaggi. Per diretta conseguenza, i treni regolari vengono soppressi e le persone bloccate nelle stazioni. I viaggiatori imploreranno e corromperanno in cambio di un passaggio e starà a noi decidere quanti accoglierne. Perché il paese è molto grande, i viaggi molto lunghi e i rifornimenti di cibo sono stati interrotti. Starà a noi quindi concludere se sul treno avremo abbastanza razioni per badare ai passeggeri fino alla prima stazione sicura o se invece riteniamo possano avere migliori possibilità a cercare altrove la loro salvezza. I feriti saranno invece un altro discorso: sempre a noi il dilemma di raccoglierli o meno, ma l’interpretare un funzionario pubblico ci pone in una posizione di obbligo professionale di soccorso. Tuttavia le limitate competenze mediche nel nostro macchinista e i medikit che troveremo in giro non sono certamente sufficienti a badare a ferite gravi, senza contare che potrebbero pure servire al nostro beniamino.

Arrivati alla prima stazione di checkpoint apprendiamo subito quanto la situazione sia grave. Il responsabile preposto a consegnarci il codice per alzare la sbarra non c’è. In realtà pare non esserci proprio nessuno. Non resta che cercarlo da soli. Lasciati i passeggeri sul treno ci inoltriamo quindi negli uffici della stazione solo per trovare corpi senza vita. La catastrofe accaduta anni prima sta succedendo di nuovo. Gli alieni stanno trasformando gli umani in creature fameliche in stile zombi e gli avamposti civili non hanno avuto speranze. La situazione cambia e messe le mani su una modesta pistola, solo tre cose diventano importanti: il codice, il cibo e i kit di pronto soccorso. Ogni persona ancora viva che incroceremo ci potrà chiedere un passaggio e a noi decidere se concederlo alle condizioni di cui sopra.

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I dettagli atmosferici nel contesto della pixel art creano un contrasto particolare.

Il gameplay di The Final Station si sviluppa come un survival horror in 2D. L’interno delle stanze verrà rivelato solo dopo averne aperto la porta o salito/sceso le scale creando quella genuina tensione quando le munizioni scarseggiano e dobbiamo scegliere in quale accesso inoltrarci. Inoltre i mostri si esprimeranno in diversi modi, tra i simil-zombi, quelli piccoli che ci correranno addosso velocemente, quelli che possono sputare il classico getto acido a distanza e i cattivoni grossi che si faranno beffe della pistola. Per quanto la struttura di gioco sia essenziale quindi, un minimo di ragionamento strategico non guasta: scegliere di esplorare prima le stanze in alto potrebbe permetterci di vedere minacce in anticipo. Fracassare una cassa addosso a un nemico potrebbe farci risparmiare preziosi colpi, così come quel bidone esplosivo potrebbe aiutare se la linea di tiro fosse sgombra.

Un viaggio di speranza e malinconia

Chi ha affrontato lunghi viaggi in treno sa bene quanto lunghi e introspettivi si possano rivelare. Il gioco prova a evocare queste sensazioni facendoci vivere tutto il carico umano che grava sulle spalle del protagonista. I passeggeri sono con lui, ma non sanno della sua missione. Egli non è più uno di loro. Non c’è nemmeno il tempo di intrattendere brevi conversazioni perché il treno è a sua volta un prototipo che necessita di costante manutenzione durante il viaggio. Se le luci si spengono i passeggeri si preoccuperanno e smetteranno di parlare. Se l’aria condizionata si rompe potrebbe compromettere la già precaria situazione dei feriti. Senza aggiungere il vagone speciale che trasporta i componenti top secret e che ovviamente necessitano di costante monitoraggio a loro volta. Dal momento poi che siamo gli unici ad avere accesso agli armadietti di razioni e medicinali, dovremo continuamente fare avanti e indietro controllando chi ha bisogno di cosa. Solo nei rari momenti di calma potremo respirare un attimo nel vagone passeggeri e sentire parti delle loro conversazioni. Conversazioni che a volte elargiscono informazioni sul mondo di gioco e che verranno fatte con o senza di noi.

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Treno vuoto, viaggio calmo, tanto vale preparare qualche risorsa.

Questo è un metodo di storytelling videoludico dove “la trama non ti aspetta”, una situazione in piccolo di quanto giochi come Pathologic 2 hanno adottato come fulcro. Tale dinamica sarà ancora più evidente nel DLC, ma ci arriveremo.

Una volta arrivati negli avamposti ancora sicuri potremo fare bottino delle donazioni dei passeggeri, comprare un po’ di scorte per la prossima parte del viaggio e vedere un po’ di vita e positività laddove poco prima esploravamo villaggi ormai fantasma e vedevamo dai finestrini del treno le cicatrici lasciate dal nuovo attacco in un mondo che ancora non era guarito da quello precedente. C’è anche una situazione in particolare che indica quanto The Final Station sia lontano da atmosfere di eroismo classiche, ma accadendo questa in una fase molto avanzata, sarebbe uno spoiler che non me la sento di fare. L’avventura è questa, una on the road ferroviaria che prende gli archetipi delle storie in preparazione a un attacco alieno e le ribalta a modo suo. Con ogni viaggio vedremo lo scenario fuori dai finestrini raccontarci pezzetti di storia. Con ogni stazione vedremo la normalità ormai distrutta, ma anche la stravaganza di alcune di esse, per esempio quella ispirata alla Transilvania di Dracula, quella dentro un tunnel lungo chilometri o la megacittà sotterranea della quale la parte superiore è solo la punta dell’iceberg.

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Qualunque cosa abbia rifatto la fiancata con il muro della stazione, era grossa.

Ma avevamo menzionato anche un DLC. Ebbene, non trascuratelo perché siamo a tutti gli effetti dal lato espansione più che da quella di piccolo capitolo aggiuntivo. Si tratta di una campagna parallela altrettanto longeva di quella primaria e che risponde ad alcune domande lasciate in sospeso da quest’ultima. Nei panni dell’ultimo scagnozzo superstite di una gang dopo il brutale attacco lampo, prenderemo la muscle car nel garage e fuggiremo verso il rifugio per la popolazione più vicino. Il bolide è veloce, ma beve gasolio molto rapidamente e dovremo quindi fare anche qui frequenti soste, recuperando rifornimenti, acqua, cibo. Anche qui dovremo esplorare le ambientazioni senza predere più rischi del necessario e anche qui potremo incontrare superstiti che ci chiederanno un passaggio. La situazione è però differente, sia livello di mero role-play sia per la dinamica decisionale proposta: l’auto ha spazio solo per due persone. E il protagonista non sente particolari responsabilità di salvare nessuno se non sé stesso. Ecco quindi che ogni supersite avrà tre caratteristiche: capacità mediche, crafting oppure una parlantina sciolta. Le prime due si spiegano da sole: mentre il nostro energumeno guida, il passeggero ha il compito di mettere assieme medikit e munizioni con le cianfrusaglie trovate in giro. La terza è invece più particolare, perché ha a che fare con informazioni extra. Non parliamo necessariamente di dritte che daranno qualche vantaggio tattico alla prossima sosta, no, si tratta di informazioni sul mondo di gioco, i cosiddetti pezzi di “lore”. Quello che normalmente in un gioco con componente narrativa è disseminato in documenti leggibili obbligatori o opzionali, qui si presentano in un terzo modo: materiale di scambio. Saremo noi a scegliere, in base alle necessità, se è più importante saperne di più di tutta questa faccenda, oppure se al momento è più urgente rattopparsi le ferite. Questo porterà al termine delle due campagne ad avere un quadro generale per alcuni versi chiaro, eppure per forza di cose manchevole in alcune parti.

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Tra una chiacchera e l’altra, gli autostoppisti si renderanno utili come possono.

Questa infatti non è una storia di eroi, bensì di un un mondo difficile i cui abitanti fanno il meglio che possono con ciò che hanno.

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