SIGNALIS: terrore dallo spazio profondo della mente

Da qualche anno il genere survival horror ha ritrovato parte di quella linfa che energizzava le produzioni degli anni 90 e dei primi anni 2000, tempi in cui vedevano la luce capolavori quali Silent Hill 2 e il remake per GameCube del primissimo Resident Evil. Col tempo prese piede una nuova concezione del genere, che aveva tra le altre cose l’obiettivo di portarlo al grande pubblico senza però tradire completamente le fondamenta che lo sorreggevano. Da Resident Evil 4 a Dead Space videro la luce titoli che ibridavano le meccaniche classiche dei survival horror a elementi action: la formula classica veniva snellita in favore di una fruizione al passo coi tempi, senza che però il nucleo centrale del genere venisse annientato. Purtroppo le cose non andarono per il meglio e quando il mercato trovò quella manciata di stilemi da reiterare all’infinito, il genere survival horror (e molti altri) sparì dalle scene.

Le serie storiche come Resident Evil e Silent Hill vennero mandate al macero e i resti confluirono in un ammasso informe dal quale veniva estratta la marcescenza che alimentava il videogioco di massa, ormai divenuto uno zombie il cui unico istinto era quello di divorare quanti più consumatori possibili. Ma se è vero che la storia è fatta di cicli che finiscono, è anche vero che questi possono ripresentarsi. Il genere survival horror in questi anni è rinato prima nel sottobosco del mercato, quello indipendente, con titoli come Amnesia: The Dark Descent a suonare la carica. E poi la rinascita è avvenuta anche in superficie, in un mercato mainstream ormai saturo e alla disperata ricerca di una boccata d’aria. Con Resident Evil 7 il survival horror è entrato di nuovo negli incubi delle persone, prima attraverso uno schermo e poi tramite un casco per realtà virtuale. E con Resident Evil 2 Remake è stato chiaro che questa volta – complice anche ormai la quasi sovrapposizione mediatica tra il mercato indipendente e quello mainstream – è intenzionato a restarci.

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Resident Evil 2 Remake ha sancito il ritorno del survival horror classico tra il grande pubblico.

Quando alla fine del 2022 è uscito SIGNALIS ci troviamo dunque in un contesto che ha già visto una fioritura rigogliosa del survival horror (che verrà omaggiato ulteriormente a inizio 2023 con il remake di Dead Space). Ciò nonostante l’opera di Yuri Stern e Barbara Wittmann – il duo che compone lo studio di sviluppo tedesco rose-engine – ci fa sprofondare in un terrificante ciclo di nascita e morte per farci assistere, alla fine, a una nuova meravigliosa alba.

Il messaggio “Wake up” precede il risveglio del nostro alter-ego, un androide Replika modello LSTR (Elster) che accompagna il pilota Ariane Yeong, Gestalt umano, a bordo della nave spaziale Penrose-512, partita alla ricerca di risorse e mondi abitabili per conto del regime totalitario di Eusan, che controlla un intero sistema planetario. Nei Replika come Elster vengono innestati i ricordi di essere umani (così come avviene in Blade Runner) e questi androidi servono il regime come forza militare e di lavoro. Tuttavia l’imprinting di memorie umane fa sorgere delle devianze nei comportamenti dei Replika, come la voglia di ascoltare musica, e ciò causa dei malfunzionamenti delle unità. Per questo il regime ha designato dei comandati umani chiamati Gestalt allo scopo di controllare e dare ordini ai Replika. Al suo risveglio Elster non trova Ariane Yeong nella nave e parte alla sua ricerca. Il passaggio attraverso un arco rettangolare sancisce l’ingresso in un luogo dove realtà e il sogno si mescolano tra loro, dove il passato e il presente si intersecano. La discesa in un buco nel terreno è un viaggio di sola andata verso l’inferno della nostra mente. Alla fine di un messaggio radio che ci ripete alcune frasi tratte da H.P. Lovecraft, abbiamo una breve visione di Ariane e un messaggio che sarà la nostra unica ancora di salvezza: “Remember our promise”.

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L’inizio dell’incubo.

SIGNALIS si pone come un’esperienza radicale, intenzionata a portare il giocatore indietro nel tempo agli albori del survival horror, senza fare sconti. La ruvidità con la quale sono messi assieme i tratti caratterizzanti del genere rischia di scorticare anche i giocatori più navigati. Alla base dell’esperienza c’è un costante senso di spaesamento, di “esser persi” in un’ambientazione caotica e dalla struttura complessa. I livelli si strutturano su più piani, l’incursione del sogno e del surreale nel reale scombussola il nostro senso di orientamento. Ad accompagnare ciò vi è una progressione basata su enigmi sempre stuzzicanti e contestualizzati.

SIGNALIS si pone come un’esperienza radicale, che vuole trasmettere al giocatore un costante senso di spaesamento

Se nei primi momenti della nostra avventura, mentre ci spostiamo all’interno di una struttura sotterranea, abbiamo a che fare con sistemi di alimentazione a fusibili, videoregistratori e VHS, radiotrasmettitori e monitor CRT, man mano che l’orrore divora l’ambiente circostante ci ritroveremo ad interagire con altari ai quali fare offerte rituali e porte di pietra da aprire tramite pietre runiche. Per essere risolti gli enigmi richiedono un ruolo attivo del giocatore: sono lontani dalla formula “tratta il giocatore come se fosse un idiota” proposta da God Of War: Ragnarok o da quella “trova un oggetto e usalo” che vediamo in molti survival horror odierni. Piuttosto richiedono di interagire in modo complesso con l’ambiente e di sfruttare competenze pregresse.

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I puzzle di Signalis richiedono una buona dose di ragionamento per essere risolti.

Nelle battute iniziali del gioco troveremo un volantino del regime totalitario che avverte dell’impossibilità per i lavoratori della struttura sotterranea di portare con sé più di sei oggetti personali. Una contestualizzazione narrativa dell’inventario limitato a sei item da poter trasportare, proprio come Chris Redfield nel primo Resident Evil. La gestione degli oggetti è estremamente rigida e non si hanno slot aggiuntivi per oggetti necessari a progredire nella storia o per alcuni consumabili (come i coltelli nel remake di Resident Evil). Questo si traduce in un gameplay loop fortemente incentrato sulla gestione dell’inventario e su un andirivieni costante basato su un’attenta pianificazione dei percorsi e delle azioni da intraprendere.

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L’inventario a 6 oggetti di Chris in Resident Evil riproposto da SIGNALIS.

Il Nowhere in cui sprofondiamo nella ricerca di Ariane è la parte oscura del nostro io di cui non conosciamo la composizione e che solo una forte ragione di vita (la promessa di Elster) ci permette di fronteggiare. In ciò SIGNALIS trae ispirazione a piene mani dall’Otherworld della serie Silent Hill, reinterpretando con una ricetta originale l’orrore della dimensione alternativa dei capolavori del Team Silent. Oltre a mostruosità varie, alle pareti fatti di carne che trasudano sangue, SIGNALIS porta con sé una massiccia dose di malinconia e una ciclicità temporale che arriva a trasfigurare la realtà. A ciò si associa una colonna sonora minimalista fatta di note di pianoforte che riecheggiano nell’oscurità e la cacofonia di rumori industriali che sembrano registrati in un’acciaieria nelle viscere dell’inferno. La componente orrifica è mescolata a una spiccata vena surrealista che emerge nelle sequenze animate: l’uso di colori accesi e la presenza di scene fortemente simboliste accentuano maggiormente la parte onirica della vicenda. Kanji e scritte in varie lingue si stampano saltuariamente sullo schermo e lo stile anime che permea i tratti dei personaggi salda la vicinanza a un certo tipo di animazione giapponese: sono chiari i riferimenti visivi a Evangelion di Hidetaki Anno.

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Il Nowhere di SIGNALIS.

Sin dal primo momento, con un occhio che segue il cursore all’interno del menù iniziale, SIGNALIS stabilisce il suo dominio su di noi: ci scruta dentro, è pronto a metterci davanti le paure che si annidano negli anfratti remoti della nostra mente, il terrore atavico insito nei ricordi sbiaditi di vite precedenti. Ci mostra un presente oscuro e solitario, nel quale sopravviviamo solo grazie al calore latente di un legame affettivo, di un amore.

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  • Luigi "abyssent" Peccerillo

    Nato nell'agglomerato urbano di Neo-Caserta, passa il suo tempo in un tumulo digitale tra videogiochi, film vecchi e dischi tristi.

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