Il primo Halo è stato senza ombra di dubbio un gioco che ha avuto un impatto enorme sul genere e sull’industria in generale, non dissimile da quello di DOOM e dei suoi fratelli. Fino a quel momento lo sparatutto in prima persona, salvo poche eccezioni come Goldeneye, sembrava impossibile da far uscire efficacemente dall’universo PC, mentre da Halo in poi gli FPS sono diventati un patrimonio di tutti.
Eppure, nonostante ne riconosca gli innegabili pregi, ancora oggi è un prodotto che mi fa storcere tantissimo il naso, uno di quelli che magari apprezzo nel complesso ma che sinceramente non vorrei mai rigiocare integralmente. Halo ha al suo interno uno dei livelli più belli che siano mai stati concepiti e allo stesso tempo uno dei più brutti, ma per quanto mi riguarda il problema va ben oltre una singola missione malriuscita, è molto più strutturale. Sia chiaro che il mi discorso è riferito solo ed esclusivamente alla campagna – al multiplayer non ho mai giocato, faccio mea culpa – e non ho troppe pretese di oggettività, perciò fate finta che ogni volta ci sia scritto “secondo me”.

In primo luogo ho sempre trovato l’estetica delle fazioni e dei loro equipaggiamenti un po’ schizofrenica.
Pur riconoscendo una certa mancanza di originalità, adoro lo stile credibile dei marine, che mi ha sempre fatto venire in mente il mio amato Starship Troopers. In uno sparatutto in prima persona le armi non sono meno protagoniste del personaggio principale – soprattutto quando questo è muto o quasi –, e trovo quelle umane tutte dettagliate ed estremamente piacevoli da usare, oltre che dotate di animazioni di ricarica che nel 2001 erano lo stato dell’arte. La cura riposta in ogni equipaggiamento è tale da averli resi tutti iconici: penso che ci siano ben pochi giocatori degni di essere definiti tali che non hanno idea di cosa sia la pistola di Halo. Discorso simile si potrebbe fare per i veicoli, tanto che non è raro leggere di qualcuno che realizza un Warthog perfettamente funzionante.
Il mio pensiero sui Covenant non è altrettanto positivo: per i miei gusti sono troppo colorati e vistosi, a volte pure un po’ sopra le righe; rispetto la scelta stilistica, ma questo non mi impedisce di considerarla poco coerente con la loro natura di culto religioso intollerante. Non nego che le armi Covenant siano estremamente riconoscibili e discretamente caratterizzate, per via anche di funzionalità secondarie che mancano alle controparti umane, ma la dura verità è che il loro aspetto non mi piace e non mi sono mai particolarmente divertito a utilizzarle, quanto meno nel primissimo capitolo (cuoricino per la carabina di Halo 2 e successivi). Pistola e fucile al plasma non danno alcuna sensazione di potenza, non sento un vero feedback dei colpi, mi sembra di sparare caramelle contro il cemento armato. No, neanche la pistola ad aghi mi piace. Infine ci sarebbe il discorso spada energetica: già non amo il fatto che ti uccida in un colpo, se poi aggiungiamo che in Combat Evolved non la puoi neanche raccogliere e utilizzare il risultato non può che essere un odio viscerale nei suoi confronti; per fortuna le cose sono diverse in Halo 2. Promuovo giusto le granate appiccicose, ideali per fare qualche scherzetto ai gruppi di nemici ma anche per suicidarsi lanciandole per errore contro qualcuno che ti attacca corpo a corpo.
Tutto questo vuol dire che prima, dopo o durante i combattimenti ho sempre avuto la tendenza ad andarmene in giro per le stanze nella speranza di trovare l’attrezzatura umana, che per fortuna il gioco mette a disposizione quasi sempre.

L’aspetto che però mi dà davvero fastidio è un altro, e cioè il level design. Halo ha fin da subito una certa tendenza alla ripetizione degli asset e di intere aree, conseguenza forse di limitazioni hardware; non tutti i giochi del periodo erano così però, quindi è una scusa che funziona solo fino a un certo punto. Nelle zone chiuse capita fin troppo facilmente di perdersi e non capire qual è la direzione giusta, visto che una stanza vale l’altra; odio dirlo, ma un indicatore in alcuni momenti non mi avrebbe fatto schifo. Inizialmente questo problema viene tenuto sotto controllo, e nelle prime quattro missioni ci si diverte davvero tanto, col picco raggiunto ovviamente da Il Silent Cartographer. Il quarto livello, con la sua partenza cinematografica, la sua struttura semiaperta e il suo ritmo deciso liberamente dal giocatore, è un pezzo di storia del videogiochi, che ha influenzato tantissimo i capitoli successivi (Notte del Solstizio di Halo: Reach ne è quasi un remake) e anche il genere nel suo complesso.
Superato quel punto la ripetizione inizia purtroppo a diventare insopportabile. Nel corso degli anni ho messo le mani su tre diverse versioni del gioco (originale su PC, Anniversary su 360 e Master Chief Collection di nuovo su PC), e ho provato la stessa sensazione di stanchezza ogni volta, ma siccome sono un po’ masochista due volte su tre sono andato avanti lo stesso; quando infine mi sono dedicato alla MCC sul Game Pass, Combat Evolved l’ho saltato senza pensarci troppo.
Giunti a metà di Halo Combat Evolved, la ripetizione diventa tanto evidente quanto insopportabile
È palese che a un certo punto dello sviluppo Bungie si sia trovata a corto di tempo e/o risorse e con la necessità di portare a casa il progetto senza ulteriori ritardi. La soluzione è stata molto semplice: i livelli della seconda parte del gioco sono gli stessi della prima da percorrere al contrario. Un trucchetto che forse può andar bene in un gioco automobilistico, ma non in uno sparatutto. Per molti il momento del salto dello squalo è La Biblioteca con le sue infinite orde di Flood e quel pedante di 343 Guilty Spark, ma le magagne iniziano già due livelli prima.
Assalto alla sala di controllo segue di base lo schema del tipico livello di Halo, quindi c’è la classica alternanza tra scontri in zone chiuse e in zone aperte, magari da attraversare con qualche veicolo (usare lo Scorpion è una discreta goduria) e in compagnia dei marine. Per certi versi è la summa di tutto quello che propone il gioco, visto che dà al giocatore l’occasione di divertirsi con pressoché tutte le armi e i veicoli e gli fa affrontare tante situazioni diverse. Il problema è che si trascina all’infinito con la successione ponte-stanzone ripetuta un numero imprecisato di volte. Ok, ogni volta i nemici sono diversi ed è diversa la loro disposizione, ma posso vedere quei poligoni solo un certo numero di volte prima di iniziare a sbuffare e alzare gli occhi al cielo.

Quando completi 343 Guilty Spark, che ha il grande merito di introdurre nel modo migliore il nemico peggiore, inizi a convincerti che la missione precedente sia solo un errore di percorso, per quanto già lì il backtracking inizi a emergere prepotentemente. Solo che poi arriva La Biblioteca e tutti sappiamo come va a finire. Da lì in poi Halo va in caduta libera senza riuscire minimamente a risollevarsi, neanche la celebre Warthog Run è sufficiente.
Doppio Tradimento non ha solo un nome molto stupido – il tradimento è uno e uno solo – , ma è anche la versione brutta di un livello già ai limiti del tollerabile. Non bastava far ripercorrere integralmente le aree di Assalto alla sala di controllo, sarebbe stato troppo scontato, perché non buttarci dentro dei nemici fastidiosi come i Flood? Il fatto che stiano combattendo contro i Covenant offre qualche spunto interessante durante i primi minuti, ma poi la noia inizia a prendere il sopravvento. Personalmente trovo che sia la missione peggiore in assoluto, perché La Biblioteca, pur essendo parecchio tediosa e ripetitiva, quanto meno ha una durata più limitata. A quel punto sei così tanto provato che completi le ultime due missioni (pure quelle riciclate ovviamente) quasi per inerzia e, quando finalmente arrivano i titoli di coda, provi una sensazione di liberazione piuttosto che di soddisfazione. Incredibile a dirsi, ma nessun open world da cento o più ore è mai riuscito ad abbattermi mentalmente e fisicamente come Halo.
Nonostante questo primo approccio conflittuale con Halo, mi sono sforzato di andare avanti e, come spesso accade, la perseveranza ha dato i suoi frutti, perché la “fase Bungie” della saga è un continuo crescendo. Già Halo 2, pur con qualche sezione troppo lunga e una seconda parte meno ispirata della prima, rappresenta un netto passo in avanti rispetto a Combat Evolved, anche dal punto di vista della narrazione (che in questo articolo non ho citato perché molto marginale ai fini dell’esperienza). Halo 3 e i due fratelli minori Reach e ODST sono giochi davvero ottimi e, seppur non siano tra i miei fps preferiti in assoluto, li rigiocherei molto volentieri da cima a fondo.
Il discorso si fa ben più complesso passando alla trilogia di 343 Industries, ma posso dire che Infinite aveva il potenziale per essere il mio capitolo preferito, se non fosse che nella fase finale sembra di essere tornati nei livelli peggiori di Combat Evolved. Un omaggio non so quanto voluto di cui non si sentiva minimamente il bisogno.
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