Se dovessi usare una parola per riassumere l’essenza di Metro 2033 e Metro: Last Light, quella parola sarebbe “immersione”. Nei tenebrosi e mortali cunicoli della metropolitana di Mosca — un villaggio vacanze in confronto all’inferno radioattivo che ha devastato la superficie — la sovrapposizione tra giocatore e protagonista è totale: sentire il battito cardiaco di Artyom, dover controllare il tempo rimanente di ossigeno guardando il timer sul braccio, passare la mano sul vetro della maschera per pulirlo. Immersione che non risiede solo nelle azioni, ma nell’esistenza stessa in un ambiente costruito nei minimi particolari, tanto da risultare vivo, nonostante i segni dell’olocausto nucleare. Un mondo che ha come limiti le pareti in cemento di una metropolitana ha la sua dose di fascino e le sue piccole dimensioni contribuiscono a tenere ogni elemento sotto maggiore controllo. Ma cosa succede se si alza la posta in gioco? Per esempio cambiando la struttura del videogioco, spostando l’azione in superficie, in zone ampie da esplorare. È possibile mantenere la stessa atmosfera tesa, il pericolo costante, un mondo di gioco tanto vivo? È possibile mantenere la stessa immersione? La risposta è sì, o per meglio dire: Metro Exodus.

E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano
che l’uomo dominava con il pensiero e con la mano:
ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite,
sembrava avesse dentro un potere tremendo,
la stessa forza della dinamite.
(Francesco Guccini — La Locomotiva)
Uno dei momenti più importanti in Metro Exodus è quando, durante una semplice ricognizione in superficie, Artyom e Anna vedono una locomotiva sfrecciare sui binari. Un evento che, oltre allo stupore, dà la certezza ai due che c’è vita al di fuori di Mosca. Ma non potevano immaginare che quella locomotiva di lì a poco sarebbe diventata la loro casa. E non avrebbero mai potuto sapere che quei vagoni avrebbero connesso così tanto il giocatore alle loro vite. La stragrande maggioranza dei giochi tratta i mezzi di trasporto come dei semplici strumenti: che siano macchine o animali, la loro funzione è quella di spostare il giocatore da un punto all’altro. Ci sono titoli che danno un peso affettivo al mezzo di trasporto, oppure un gioco come Red Dead Redemption 2, dove l’animale ha un ruolo molto più strategico e centrale nell’economia del videogioco.
In Metro Exodus la locomotiva che si userà per spostarsi per il mondo è strumento di immersione col mondo stesso e con i personaggi. Prima di intraprendere il viaggio dovremo trovare un macchinista, trovare delle carrozze, mettere i binari nel verso giusto. La maggior parte delle nostre azioni nella prima parte del gioco sono volte a rimettere in sesto la locomotiva, a creare la nostra casa sulle rotaie. Sotto il tetto metallico di questa casa è riunita una vera e propria famiglia, in cui entrerà a far parte il giocatore. Suonerà la chitarra in gruppo, prenderà parte a delle conversazioni mentre fumerà una sigaretta — che potrà decidere quando aspirare — o berrà qualcosa.
Ogni spostamento è vissuto in prima persona a bordo della locomotiva, come una sorta di intermezzo tra i capitoli del videogioco. Questo permette di vivere tali spostamenti, senza che il giocatore si trovi in azione dopo una schermata di caricamento. È nel dare vita e importanza a un macchina che divora carbone, da cui inizia e termina ogni nostra missione e da cui dipende la nostra sopravvivenza, che Metro Exodus riesce a rendere immersivo lo spostamento in uno spazio e l’appartenenza a un gruppo di persone.

Come già accennato in apertura, alcune delle caratteristiche che donano immersione ai precedenti videogiochi della serie sono la necessità di controllare costantemente la propria riserva di ossigeno o pulire i vetri della maschera. Un aspetto importante di tutto ciò è la presenza di oggetti, indicatori materiali e azioni specifiche, in modo tale che è possibile monitorare le nostre necessità e agire direttamente in gioco, in modo fluido, senza passare da interfacce o menù. Lo stesso avviene in Metro Exodus, ma con un’ulteriore aggiunta: la costruzione di oggetti e la modifica delle armi. In tanti videogiochi è possibile costruire oggetti, munizioni o modificare armi, in qualunque momento o in luoghi specifici, ma quasi sempre passando da menù o interfacce. Ciò rende l’esperienza giocosa, non gravosa o penalizzante per il giocatore.
In Metro Exodus avviene l’esatto contrario, la meccanica del costruire la propria attrezzatura è verosimile e ha un ruolo tattico all’interno del videogioco; ciò è raggiunto attraverso varie fasi. Prima di tutto sono presenti soltanto due tipi di materiali, per evitare che sia dia più peso a ciò che si possiede rispetto a ciò che si può costruire. Lo zaino funge da banco da lavoro portatile e in ogni momento si possono costruire oggetti per la cura, filtri di ossigeno, munizioni, o cambiare gli accessori delle armi. Si può fare in ogni momento, quindi bisogna scegliere l’istante adatto, e non è facile quando si è per esempio bersagliati dal fuoco nemico. Si tratta però di uno zaino, quindi non si può costruire davvero tutto. Per quello serve un vero banco da lavoro, dove si possono cambiare le armi (trasformare una pistola in un fucile a lunga gittata), modificare l’attrezzatura o costruire i proiettili con la polvere da sparo. Se mentre si è sul campo si possono creare le frecce per la balestra o i chiodi per il fucile a pressione, per costruire le munizioni per un fucile bisogna avere un banco da lavoro vero e proprio davanti. Di conseguenza diventa strategico scegliere quale tipo di attrezzatura e quali tipi di armi il giocatore debba portare con sé.
È la manualità, la presenza di oggetti fisici con cui è possibile interagire direttamente in gioco, il subordinare l’azione più ampia al piccolo gesto, che permette a Metro Exodus di essere tanto immersivo. Una sigaretta da fumare durante una pausa, la mappa cartacea da consultare in tempo reale, bere un sorso dalla borraccia prima di dormire, muovere la manopola di una radio per trovare una frequenza buona, utilizzare l’accendino per bruciare le ragnatele che rallentano i movimenti. Tanti piccoli gesti specifici, che da soli paiono insignificanti, ma che nel loro insieme riescono a imbrigliare il giocatore in un circolo continuo di azioni che si troverà a ripetere in maniera naturale.

Di recente sto rigiocando quel gran videogioco che è The Witcher 3, il che però mi ha fatto notare come il mondo di gioco non sia realmente qualcosa di nuovo e sconosciuto per il giocatore, perché in generale i videogiochi danno sempre informazioni su ciò che lo circonda; che siano indicatori sulla mappa, una scritta agli angoli dello schermo (“esplora il covo dei banditi”) o anche un segnale visivo (per restare in The Witcher 3, una tana dei mostri o un tesoro sorvegliato si riconoscono a vista). Questo rende ai miei occhi il mondo circostante fittizio, un qualcosa di costruito appositamente per ospitare il giocatore ed evitare che possa sentirsi a disagio. Metro Exodus sovverte questa condizione rendendo il mondo di gioco imperscrutabile. Anche in questo caso è un’operazione che si consuma andando per gradi e, come già evidenziato in precedenza, inizia da un oggetto e da un piccolo gesto.
Il binocolo permette di scrutare l’ambiente che circonda il giocatore, e solo quando il suo sguardo si poserà su un punto di interesse, il rumore di una matita che scrive gli farà capire che è stata segnata una X sulla mappa (sarebbe stato ancora più bello se fosse stato possibile farlo a mano!). Di conseguenza, se non ci si sposta per l’ambiente alla ricerca di un punto sopraelevato o non si usa il binocolo, la mappa resta vuota, con una sola X a indicare il luogo del nostro obiettivo primario, discusso a inizio missione.
Ma anche se il giocatore ora conosce quali punti sono di suo interesse, per molti di questi non saprà mai, nemmeno mentre li sta esplorando, cosa nascondono. Non ci sono indicatori, né scritte che possano suggerire ad esempio quale mostruosità si annida, e quali oggetti utili ci sono, in un capannone abbandonato. Senza contare poi la presenza di incontri casuali o eventi climatici avversi che acuiscono ulteriormente la minaccia rappresentata dall’ambiente circostante. A ciò si aggiunge la reattività di questo mondo alle azioni del giocatore. Uccidere o risparmiare i nemici, liberare dei prigionieri, trovare e portare oggetti smarriti ai nostri compagni, sono azioni che hanno ripercussioni sugli esiti delle vicende di Artyom e del suo gruppo.
Spostamento, manualità, reattività e imprevedibilità, sono gli ingredienti principali con i quali Metro Exodus riesce a immergere il giocatore in un ambiente vivo e credibile, dove la propria incolumità non è solo una questione di riflessi o di precisione, ma soprattutto di osservazione, comprensione e adattamento.

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