La grande bellezza di Eastshade

Possono i videogiochi essere considerati arte? È una domanda sempre più ricorrente nelle discussioni riguardanti il nostro medium. Io qui voglio invece riformulare il quesito ottenendo un risultato diverso: può l’arte stare dentro un videogioco? La risposta la troviamo in Eastshade.

Iniziamo la nostra avventura a bordo di una nave diretta verso l’isola che dà il nome al gioco. Interpretiamo un pittore (o una pittrice, il gioco è in prima persona e questa informazione non ci viene mai fornita), il cui scopo primario è quello di dipingere (duh!) alcuni dei luoghi più evocativi di Eastshade per soddisfare le ultime volontà della madre morta. Appena usciti dalla nostra cabina, non possiamo non notare una delle particolarità di questo titolo: gli altri passeggeri del veliero non sono umani, ma animali antropomorfi. È una scelta che non viene spiegata a livello di lore, ma è probabilmente di natura tecnica; riprodurre dei corpi umani realistici e ben animati non è affatto facile, soprattutto se si è un piccolo studio indipendente. Dopo aver scambiato qualche parola coi nostri compagni di viaggio, siamo coinvolti nostro malgrado in un naufragio. Niente paura, nessuno si è fatto male. Ci ritroviamo così in una grotta affacciata su una spiaggia, dove un’amichevole scimmia, dopo averci restituito il nostro fidato cavalletto, ci indirizza verso il più vicino centro urbano, Lyndow. Ci avviamo sul sentiero e, una volta scalata la scogliera, ci si apre davanti un’ambientazione da far letteralmente cadere la mascella. Eastshade è senza dubbio il miglior posto dove un artista possa andare a cercare ispirazione, un’isola dalla natura coloratissima e rigogliosa, accompagnata da un’architettura vagamente orientale e non meno spettacolare. A contribuire ulteriormente all’effetto c’è il cielo, dominato da un grosso pianeta che giornalmente oscura il sole generando delle eclissi dai colori pazzeschi. Gli screenshot che trovate qui sono decisamente più adatti delle parole per rendere l’idea della bellezza di questa ambientazione.

Tornando coi piedi per terra, una volta arrivati a Lyndow facciamo finalmente conoscenza col gameplay vero e proprio del gioco. Tramite un rapido tutorial impariamo a creare la nostra prima tela, fondamentale per i nostri dipinti. I materiali li possiamo raccogliere in giro, anche all’interno delle abitazioni, senza che nessuno abbia qualcosa da ridire. La componente di crafting di Eastshade è importante, ma abbastanza minimale; i materiali e le cose da creare sono relativamente pochi, ma tutto (o quasi) ha una sua utilità. Nella ridente cittadina costiera scopriamo un’altra componente, quella da gioco di ruolo. Durante la nostra avventura ci verranno infatti messe davanti ben 50 quest. La particolarità è che nessuna di queste prevede la violenza. Non ci sono armi, non ci sono nemici, non ci sono statistiche o abilità, tutto si risolve sempre col dialogo, l’esplorazione, un minimo di arguzia e, ovviamente, un po’ di sano crafting. La varietà è molto buona, tra indagini, enigmi, dipinti su commissione, beghe amorose da dirimere (o favorire) e via di questo passo. A livello strutturale solitamente non si va molto oltre le classiche fetch quest da GDR, ma le storie sono solitamente ben raccontate e spesso si hanno a disposizione più modi per concluderle. Le missioni secondarie sono il fulcro narrativo di Eastshade, perché di fatto non esiste una main quest diversa dal semplice girare per la mappa per dipingere quanto indicatoci da nostra madre.

Completare le quest permette in primo luogo di accumulare denaro, da spendere poi in materiali, oggetti ed equipaggiamenti vari. In secondo luogo, si ottengono punti ispirazione; ogni nostro dipinto richiede infatti un punto ispirazione per essere eseguito. Questo vuol dire che non è possibile dipingere qualunque cosa ci capiti a tiro senza farsi troppi problemi, anche perché pure le tele sono limitate in quantità. I punti ispirazione si possono ottenere anche in altri modi, esplorando punti di interesse o leggendo particolari libri. Dipingere è quanto di più facile si possa immaginare, è sufficiente selezionare una tela (anche già usata), puntare la sguardo su quello che vogliamo ritrarre, scegliere la forma e le dimensioni del quadro e premere un pulsante. Da notare come, dopo aver consegnato un dipinto su commissione, questo venga effettivamente posizionato nel mondo di gioco dall’acquirente. Senza dubbio un bel tocco di classe. Qualcuno potrebbe rimanere insoddisfatto da tale semplicità, ma, personalmente, apprezzo la scelta, che è funzionale alla natura volutamente “leggera” del gameplay di Eastshade.

Crafting, meccaniche rpg e dipinti vanno a completare una struttura che è di fatto quella di un walking simulator con una mappa semi-aperta esplorabile senza caricamenti, ma non interamente accessibile dall’inizio. Ciò è chiaro fin dai primi momenti di gioco; infatti, appena usciti da Lyndow, ci troveremo davanti un ponte e saremo invitati a pagare un pedaggio per superarlo (una sola volta per fortuna). Inutile dire che, per accumulare la somma, è prima di tutto necessario svolgere un po’ di compiti nella zona iniziale. Alle nuove aree si accede anche in modi diversi dal semplice pagamento di una somma di denaro. Si dovranno craftare determinati oggetti, come imbarcazioni per superare i corsi d’acqua, oppure comprare quello che non possiamo costruire con le nostre mani, per esempio una carrucola che permette di spostarsi rapidamente tra varie torri collegate da corde o un cappotto necessario per resistere alle basse temperature delle montagne. In altri casi sarà la conclusione di una o più quest il requisito necessario. In generale, la progressione non è troppo lineare, si può quasi sempre scegliere a cosa dare la priorità in base alle nostre preferenze e a quello che abbiamo a disposizione.

Il collante di tutto questo sono senza ombra di dubbio le camminate. In Eastshade si cammina davvero tanto e, almeno inizialmente, non ci sono modi per spostarsi rapidamente. Se siete una di quelle persone interessate alla meta e non al viaggio questo non è il gioco che fa per voi. Trovo però davvero difficile non rimanere estasiati mentre ci si muove, anche lentamente, in ambientazioni così spettacolari. Andando avanti certe quest richiedono un certo livello di backtracking, per cui gli sviluppatori hanno escogitato dei metodi per non tediare troppo i più frettolosi. Tre le merci in vendita c’è per esempio una bicicletta, con cui si può correre a velocità folle anche sui sentieri più dissestati. Se non vi basta accorciare i tempi, esiste anche una forma limitata di fast travel, ma preferisco non svelarla in questa sede. A voi il compito di scoprirla.

Passando ad aspetti di natura tecnica, Eastshade utilizza il motore Unity e definirei il risultato finale altalenante. Ho già detto quanto sia bella l’ambientazione, quello che non ho detto è che il gioco ha grossi problemi a livello di prestazioni. Su un PC discretamente carrozzato, dotato di RTX 2070 e Ryzen 2600x, il frame rate è estremamente instabile e, dopo un po’ di esperimenti, ho deciso di bloccare il gioco a 30 FPS e giocare col pad. Sicuramente non è una soluzione ideale, ma tutto sommato dover rinunciare ai 60 FPS non rovina l’esperienza. Non manca neanche una bella dose di stuttering, problema che Unity si porta dietro da tempo, e che solo poche volte ha trovato soluzioni dagli sviluppatori. Non è chiaramente il caso di Eastshade. Ottima l’esperienza a livello audio, con una colonna sonora orchestrale che ben si adatta all’ambientazione e un doppiaggio in inglese di discreto livello. Il gioco non è stato tradotto nella nostra lingua, ma risulta comprensibile anche per chi non abbia una conoscenza profonda della lingua di Albione.

In conclusione, mi sento di consigliare Eastshade a tutti, ma è necessario approcciarsi al gioco tenendo conto di quello che è e di quello che vuole essere: un’esperienza prettamente esplorativa e di “contemplazione” con un gameplay leggermente più articolato rispetto ad altri walking simulator. Se è questo che state cercando, sarà impossibile rimanere delusi. E così, dopo le oltre 10 ore necessarie per sviscerare questo gioco, mentre il vostro alter ego digitale si allontana lentamente da questa isola magica, proverete allo stesso tempo nostalgia e felicità per aver assaporato almeno in parte il significato stesso di bellezza.

Gli screenshot che vedete in questo articolo non sono miei, ma del nostro fotografo digitale di fiducia, Daniele “Alteridan” Dolce, che ovviamente ringrazio per la gentile concessione.

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  • Fabrizio "Bix" Salis

    Polemico per natura, amante della fantascienza, della tecnologia e dei videogiochi. Non toccategli Mass Effect.

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