Quella di “walking simulator” è un’etichetta particolare. Nata nel 2012 o giù di lì, ha conosciuto sempre più popolarità grazie alla diffusione, sulla scia di titoli come To The Moon, Dear Esther e Gone Home, di tutta una serie di giochi che ponevano l’enfasi sul narrare una storia, trascurando del tutto o quasi il gameplay; l’interazione del giocatore è spesso limitata a poco più che muoversi all’interno dell’ambiente virtuale che lo sviluppatore pone di fronte a lui.
A Plague Tale: Innocence non appartiene propriamente a questo genere, ma a un suo sottoprodotto: giochi in cui è la storia l’elemento principale, che hanno al loro interno una componente di gameplay ben definita e che copre una parte sostanziale dell’esperienza; ma che allo stesso tempo si assicurano che questo gameplay sia semplice, possibilmente bello da vedere (perché anche la presentazione è parte importante di una storia) ma che non richieda mai un’eccessiva attenzione del giocatore. Possibilmente, questo gameplay non dev’essere fine a sé stesso, ma integrale alla narrazione. L’esempio più famoso di questo tipo di giochi è sicuramente Hellblade: Senua’s Sacrifice.
Così come in Hellblade passeremo molto tempo a combattere i grotteschi nemici frutto della mente della protagonista, in A Plague Tale gran parte del tempo speso di fronte al gioco ci vedrà cercare di sfuggire alla vista dei soldati che inseguono Amicia e Hugo, i due giovani protagonisti, e fare tutto il possibile per evitare di finire rosicchiati dai topi che stanno infestando la Francia medievale. Per aiutarla a tenere al sicuro suo fratello e gli altri orfanelli che si uniranno al gruppo, Amicia potrà utilizzare una serie di proiettili, utili a distrarre i soldati, a metterli fuori combattimento, a scacciare i letali topi o viceversa ad attirarli contro chi ci ostacola il cammino.

Se sto passando così tanto tempo a parlare del gameplay è per un motivo ben preciso, e cioè che è proprio quest’aspetto del gioco quello che mi lascia più perplesso. Le buone idee non mancano: l’arsenale a disposizione di Amicia ha tutte le carte in regola per rendere le sezioni stealth interessanti, e si vede che in fase di progettazione si è cercato di offrire una varietà di situazioni e di ambienti. Ma queste buone idee sembrano scontrarsi inesorabilmente con la necessità di semplificare il tutto a cui accennavo prima. E se alcune cose fanno un po’ ridere, ma sono fondamentalmente innocue nell’economia del gioco (per esempio: quando tiriamo un sasso su una superficie metallica per attirare l’attenzione di un soldato, questo andrà a cinque centimetri dalla cosa che abbiamo colpito e resterà a fissarla intensamente per trenta secondi buoni), altre sono più incisive.
La più importante è che la varietà di strumenti offerta dal gioco per superare gli ostacoli viene sfruttata pochissimo. Spesso e volentieri la soluzione per avanzare sarà una, generalmente abbastanza evidente, e la parte più difficile (per modo di dire) sarà metterla in esecuzione. Non c’è nemmeno la preoccupazione delle scorte di proiettili a impensierirci: quando saremo di fronte a un ostacolo, nelle vicinanze troveremo sempre i componenti necessari per superarlo, quindi, a meno di mettersi a tirare fiondate alle ortiche ( o cercare soluzioni alternative), è sostanzialmente impossibile rimanere bloccati.

C’è qualche occasione dove invece il gioco ci lascia scegliere come vogliamo agire, senza darci delle evidenti indicazioni sulla strada “giusta”. Ma sono poche, e quasi tutte concentrate nel capitolo finale. Ed è francamente un vero peccato: nonostante tutte queste limitazioni, questo “tenere la mano” al giocatore, non ho mai trovato irritanti o fastidiose le parti giocate; anzi, alcuni momenti, seppur semplici dal punto di vista dell’esecuzione, sono ben calibrati per quanto riguarda la messa in scena e la tensione. Ma si sarebbe potuto avere molto di più se il gioco avesse lasciato più libertà di scegliere (e sì, anche di sbagliare) al giocatore.
Certo, il gameplay non è l’unica componente di cui va tenuto conto quando andiamo a guardare A Plague Tale; anzi, come ho detto più sopra, l’enfasi della produzione è sulla storia che va a raccontare. Da questo punto di vista il gioco non fa un pessimo lavoro: la storia non manca di buoni momenti, e i dialoghi sono ben scritti. Anche a livello di presentazione il gioco si difende più che bene; peccato che il budget non altissimo si noti da alcune animazioni talvolta un po’ legnose. Ma anche qui non mancano le delusioni più concrete: gli elementi fantasy si fanno molto più marcati nelle fasi finali, e questo finisce per levare spazio a quella che era la parte più riuscita, ovvero la caparbia volontà del gruppo di trovatelli di sopravvivere alle avversità e sopratutto alla piaga dei ratti, come dimostrato dall’evoluzione di Chateau d’Ombrage mano a mano che la storia avanza. I capitoli conclusivi purtroppo abbandonano tutto questo, per chiudersi in uno scontro finale degno di un gioco action di bassa qualità.

In conclusione, non riesco a dire che la mia esperienza con A Plague Tale è stata negativa. La storia, tutto sommato, non mi è dispiaciuta; il gioco, nonostante dal punto di vista tecnico non sia un tripla A, è molto piacevole da vedere e anche da sentire, vista la colonna sonora di tutto rispetto. Ma i suoi difetti non lo rendono un titolo facile da consigliare senza riserve: chi apprezza i prodotti che mettono l’accento sulla loro componente narrativa ed è disposto a chiudere un occhio su un gameplay non eccelso potrà apprezzarlo; se invece tollerate poco il railroading, forse è meglio puntare ad altro.
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