L’editoria è morta

E no, non aggiungo un citazionista “viva l’editoria”, perché non mi interessa far le citazioni né sdrammatizzare. È un relitto, un residuo che si trascina mentre cade a pezzi, come quel cattivo in quella famosa serie che si aggiusta la cravatta mentre mezza faccia gli è già esplosa e sta per accasciarsi al suolo. Ed è un problema, per tutti.

È un problema perché le testate dovevano occuparsi di diversi aspetti socialmente importanti, dalla formazione delle nuove leve al giornalismo d’inchiesta. Invece dal taccuino si è passati allo scandaglio, strumento con cui ci si prodiga nel cercare per il web notizie da ribattere senza verificare. Sempre pronti ad accogliere festanti un comunicato stampa, perché è comodo, è facile, se riporta falsità non è un problema mio, la colpa è di chi lo ha inviato, io lo ribatto solamente. Mica il mio lavoro dovrebbe essere verificare i fatti e sbugiardare. Mica ho un’etica professionale.

Dopotutto la figura del giornalista è ormai stata violentata e dissacrata a più riprese e a più livelli, tra ospitate televisive a urlarsi sguaiatamente e ridicolmente addosso e direttori noti che si divertono a blastare i webeti sui social. Del resto lo fa un primario di medicina, vuoi che non si metta a farlo pure Mentana?

Restringendo il campo a quello videoludico, giornalisti e critici sono in realtà fondamentalmente confusi. Confusi principalmente su quale sia il loro compito. Capaci di gioire quando uno dei pochi volti mediaticamente rilevanti del settore alza bandiera bianca per darsi all’influencing. Festeggiano perché finalmente si potrà tornare a fare giornalismo, quello serio. Ma no, non le inchieste sociali o quelle robe da comunisti. Per giornalismo serio intendono cose come ribattere i comunicati stampa senza controllarne il contenuto, inventarsi le news dal nulla titolando con una domanda che richiede una risposta monosillabica per poi imbellettarla con 300 parole di convenevoli, specializzarsi in SEO e quelle robe lì che servono a fare entrare due spicci in più.

Senza rendersi conto che alla fine l’importante è avere un pubblico a cui parlare, che ti segua perché tu hai delle idee interessanti da esporre e un modo intrigante di esporle. Non importa che tu lo faccia da critico testuale che scrive per testate, in video, in podcast, in live.

L’editoria sta in piedi per ingrassare sé stessa, sono delle vacche sempre più bulimiche e sempre più disinteressate alla qualità. Nella casta degli sfruttati sono in tanti che vorrebbero sconfiggere i content creator, rei di aver abbassato il discorso critico. Non si rendono conto che proprio il voler criticare senza metterci faccia e nome, nascondendosi dietro l’autorevolezza e la validazione che dovrebbe darti il nome verificabile di una testata, è parte del problema. C’è poi chi ha accettato che deve anche essere un “volto noto”, e allora via di maglioni Benetton, biscotti Ringo e #adv Sony. Tutti comunque pensano ancora ingenuamente di essere lì per la critica, quando invece sono lì per produrre denaro a basso costo, come un qualunque impiegato di un call center. Peggio, forse.

Quello dell’editoria è un settore a cui per forza di cose devi partecipare come hobbista, eppure ci si continua a indignare quando ne viene intaccata l’immagine

Un mondo che ha continuamente bisogno di fagocitare ragazzi giovanissimi da mettere a scrivere news, che con quei due spicci si compreranno due canne in più e l’illusione di poter diventare il nuovo caporedattore di un sito a caso, scegliete voi, tanto è uguale. Per la testata non è nemmeno un investimento: la persona ovviamente non verrà formata, ma solo sfruttata finché non si stancherà. Verrà spinta da un pesce più grosso di lui (anch’egli sfruttato e non adeguatamente formato) a continuare a dedicare il tempo libero a questa buffonata, inseguendo la carota appesa al bastone sulla propria schiena, producendo click a basso costo per l’editore.

La realtà è che nel mondo dei videogiochi chi scrive sulle testate oggi nel 90% dei casi fa un altro lavoro per vivere. E questo è un fatto, c’è poco da fare. È un settore formato da gente che al netto di quei 10, 15 o 20 euro al pezzo resta comunque un hobbista, che alla fine del mese arrotonda lo stipendio, se va bene. Eppure ci si continua a indignare quando si lede l’immagine nobile e pulita della categoria. Un mestiere che non paga più nessuno già da dieci anni, ma che qualcuno sogna ancora di poter fare a tempo pieno cercando di arruffianarsi tutti i colleghi vivi e (metaforicamente) morti, e cercando di azzeccare in anticipo di volta in volta il lato da cui il pubblico si schiererà. Un settore che la gente, nel bene e nel male, si è stancata di stare da ascoltare da un pezzo. Ed è un problema per tutti.

L’editoria è morta, e forse è ora di prenderne atto.

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  • Andrea Scibetta

    Gioco e scrivo, guardo film, serie tv, leggo libri, fumetti, a volte disegno. Nel tempo che rimane faccio il programmatore.

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