Questo articolo contiene leggeri spoiler sulla storia di I Was a Teenage Exocolonist. Sarebbe stato molto difficile parlare del gioco senza nemmeno accennare ad alcuni dei suoi temi centrali. Chiaramente, nessun evento importante viene citato se non in maniera molto generica, ma se preferite un’esperienza che parta dallo zero assoluto il consiglio è di tornare qui una volta finito il gioco. Che, per inciso, a chi scrive è piaciuto davvero tanto.
Solana è una dei primi coloni umani a mettere piede sul pianeta di Vertumna. Nasce sulla nave spaziale Stratosphere, che arriva sul pianeta quanto lei ha appena 10 anni. Seguendo le tracce dei suoi genitori, decide di dedicarsi alla coltivazione, passando gran parte della sua prima adolescenza nelle serre geoponiche, spostando carriole di terra, aiutando con la coltivazione dei raccolti e dedicandosi alla ricerca xenobotanica. Sogni premonitori, a cui spesso fatica a trovare un senso, tormentano regolarmente le sue notti. Le difficoltà nel riuscire a produrre cibo sufficiente per mantenere tutta la colonia, anche a causa dei danni subiti in seguito agli attacchi della fauna locale, la spingeranno ad avventurarsi al di là delle mura della colonia. Qui troverà la sua vera vocazione, trascorrendo molti dei mesi e degli anni seguenti a scoprire ciò che si nasconde là fuori, e a cercare di comprendere il misterioso pianeta intorno a lei. Compiuto il ventesimo anno d’età, verrà nominata seconda in comando del corpo esploratori. Ad ogni ritorno alla colonia, avrà sempre nuove storie da raccontare al suo compagno Cal.



Solane è uno dei primi coloni umani ad mettere piede sul pianeta di Vertumna. Nasce sulla nave spaziale Stratosphere, che arriva sul pianeta quanto lui ha appena 10 anni. Ispirato dalla sua migliore amica d’infanzia Tangent, decide di dedicarsi assiduamente allo studio, seguendo con attenzione le lezioni del professor Hal e di Congruence, l’intelligenza artificiale di bordo della Stratosphere. I continui sogni premonitori – del futuro, o forse di una vita passata – finiranno per influenzare alcune delle sue decisioni, con esiti più e meno importanti. Le materie scientifiche non hanno segreti per lui: il suo talento nella xenobotanica gli permette di essere il primo a creare un ibrido fra una pianta terrestre e una vertumniana, ma è nella robotica che troverà la sua vera vocazione – in un laboratorio non troppo lontano da quello dove Tangent trascorre le sue giornate, non mancano di osservare maliziosamente alcuni dei loro colleghi.



Solanaceae è unə dei primi coloni umani a mettere piede sul pianeta di Vertumna. Nasce sulla nave spaziale Stratosphere, che arriva sul pianeta quanto lǝi ha appena 10 anni. Così come la sua migliore amica Anemone, è unə incorreggibile attaccabrighe, sempre in giro a ficcarsi anche dove non dovrebbe: anche fuori dalle mura delle colonia, cercando naturalmente di non farsi beccare dagli adulti. Sogni premonitori tormentano regolarmente le sue notti – ma non sono sogni. Ormai li ha visti troppe volte per avere ancora dubbi. Sono ricordi. Altre vite che ha vissuto, simili abbastanza da essere riconoscibili, sempre caratterizzate dagli stessi eventi chiave. E in queste vite c’è stato chi non è vissuto fino al suo ventesimo compleanno. Ma stavolta Solanaceae ha le idee più chiare. Stavolta proverà a salvare chi non è riuscito a salvare nelle altre vite. Non può, non vuole vederli morire ancora una volta prima del loro tempo.
VITA SU VERTUMNA
È difficile iniziare a parlare di I Was a Teenage Exocolonist. Da dove parti? Magari parti come faresti in una recensione qualunque, cioè dai dettaglio biografici del gioco. E allora diresti che I Was a Teenage Exocolonist è un’avventura narrativa sviluppata da Northway Games e pubblicata da Finji e disponibile su PC, PlayStation e Switch, ma poi arrivi al menù principale e già lì trovi qualcosa di cui vale la pena fermarsi a parlare. Il gioco ci accoglie con uno sfondo in delicate tinte acquerello e una musica tranquilla, rilassante, anche se allo stesso tempo un po’ malinconica, ma basta scorrere il menù per trovare qualcosa di non così comune nei videogiochi: un tasto che recita “Content Warnings”. All’interno, una spiegazione precisa di quali temi presenti nella storia potrebbero turbare chi se li troverà di fronte. Già, perché a dispetto dei colori acquerello di cui sopra I Was a Teenage Exocolonist non è un gioco che ci va leggero, pur senza mai arrivare a eccessi di violenza e brutalità, e Northway Games ci fa il favore di avvertirci; una decisione che con tutta probabilità a molti non servirà, ma che gli sviluppatori comunque hanno pensato di mettere. Una scelta comprensibile e condivisibile: d’altronde, non è detto che tutti apprezzino lo shock factor, sopratutto in un gioco dalla presentazione tutt’altro che cupa e drammatica.

L’avvertimento, meno dettagliato, viene ripetuto anche all’inizio della nostra avventura. Dopo la doverosa introduzione e le scelte di rito su amici d’infanzia e giocattoli preferiti, il gioco ci dice che la storia si chiuderà al compimento del ventesimo anno di età. In realtà, però, non è lì che finirà la nostra avventura. Certo, finirà l’arco dellǝ protagonista che abbiamo scelto di interpretare – che sia una pulzella, un giovincello o qualcuno che sta a metà dello spettro, sarà sempre unǝ giovane dai capelli blu striati di biondo e una predilezione per i giubbini verdi – ma I Was a Teenage Exocolonist prende quella che è una caratteristica tipica dei giochi narrativi nei quali le nostre scelte possono portare a finali diversi, cioè l’incentivo alla rigiocabilità, e la tesse nel suo impianto narrativo. Quei sogni premonitori che costellano le notti di Sol non sono altro che testimonianze di vite parallele, di decisioni diverse di fronte ai molteplici bivi che il destino pone di fronte a noi, di esiti non sempre uguali; e una volta finito per la prima volta il gioco, arriverà subito l’invito a “iniziare la tua nuova vita”, mantenendo alcune memorie di quelle trascorse, che ci permetteranno così di cambiare il corso degli eventi… o di non cambiarlo, volendo, anche quando questo dovesse portare a conseguenze tragiche. La scelta è nelle nostre mani.
Sì, perché tante sono le scelte che ci chiamerà a fare I Was a Teenage Exocolonist. Nei dieci anni che trascorreremo su Vertumna c’è posto per tante gioie, stupori, drammi, tragedie e amori vissuti in compagnia di Anemone, Cal, Dys, Marz, Tammy e Tangent, quintetto di coeataneз dellǝ protagonista a cui verremo introdotti nei primi minuti di gioco, e che saranno compagnia costante nel corso del decennio che ci separa dalla fine dell’arco narrativo. Sono gli anni in cui lз giovani della Stratosphere devono fare i conti sia con i cambiamenti che attraverseranno a livello fisico e mentale, sia quelli in cui devono cercare di capire quale sarà il loro posto nel mondo. Un decennio è un periodo sufficiente per fare un sacco di cose, ma non tutto. Quali saranno le nostre priorità? Quali i nostri obiettivi? Quali i nostri rimorsi? Ma non c’è solo l’arco narrativo dellə nostrə protagonista, la sua evoluzione interiore.
Non c’è solo l’arco narrativo dellə protagonista, ma anche una riflessione più ampia sul ruolo degli esseri umani
C’è anche una riflessione più ampia, quella sul ruolo degli esseri umani, che al loro sbarco sul nuovo pianeta sono come il proverbiale sasso nello stagno, un turbamento nella quiete di un equilibrio naturale stabilitosi nel corso dei millenni. Un equilibrio che, in questo caso, non vede di buon occhio i nuovi arrivati: alla fine di ogni anno, ci attenderà un nuovo assalto della fauna aliena, la sua reazione a un corpo invasore. Qual è allora la risposta giusta a questa aggressività? Un pacifismo forse ingenuo, come quello che predica a tutti costi Cal? O forse la difesa armi in mano, se necessario anche al di là delle mura della colonia, come insiste Anemone?

È piuttosto evidente che la narrazione cerchi di spingerci gentilmente verso una vita spesa in armonia con l’ambiente che ci circonda, ma questo non vuol dire che sia l’unica strada percorribile per garantire la sopravvivenza della colonia. I Was a Teenage Exocolonist vuole che siamo noi a decidere qual è la risposta giusta, quella che più si adatta a noi, a questa e alle altre questioni che il gioco ci pone di fronte. Tangent, per esempio, ci interrogherà sui limiti della natura umana e sul ruolo della scienza nel superare questi limiti. Nel futuro in cui vive lǝ protagonista, la genetica è così avanzata che ciascun nuovo nato può contare su un qualche tipo di miglioramento: a inizio gioco, potremo scegliere fra vari potenziamenti, come un cervello in grado di processare molte più informazioni, una vista acuta come quella di un rapace, o addirittura dita aggiuntive. Ma perché fermarsi qui? Avendone la possibilità, non è forse imperativo morale cercare di superare sempre più i limiti del corpo umano? Fino a che punto è giusto, necessario usare la scienza per garantirci ogni vantaggio possibile nella spietata lotta per la sopravvivenza?
NON SOLO QUALITÀ
Fra i tanti motivi per cui I Was a Teenage Exocolonist riesce a sorprendere, c’è anche la sua pura quantità di contenuto. Il gioco ha trascorso cinque anni in sede di sviluppo e i risultati si vedono, con una quantità impressionante di eventi e di dialoghi, che se non sono proceduralmente generati e dunque si ripetono con regolarità anche a successive giocate (ma è un male? Secondo me no) conoscono però numerose variazioni più o meno micro dovute alle varie scelte che abbiamo fatto nel corso della partita e alla nostra situazione attuale; “più di 800 momenti decisivi”, recita la pagina di Steam, e non dà decisamente l’impressione di essere solo una frase buttata lì per fare colpo. Ci sono tanti eventi, tante risposte possibili, tanti percorsi che possiamo decidere di prendere; ed è perfettamente normale, alla terza o alla quarta volta che ci si addentra in questo ciclo temporale, trovarsi di fronte a situazioni non viste, a sviluppi inaspettati. A nuove scelte a cui il gioco ci chiede di dare una risposta. Ed è una quantità che non va a scapito della qualità. Un grande merito di I Was a Teenage Exocolonist è infatti non solo quello di avere tanti dialoghi, non solo di avere tanti dialoghi scritti bene, ma anche di essere rispettoso della soglia d’attenzione di un utente più casuale, magari non cresciuto a pane e visual novel o giochi di ruolo vecchio stampo (o nuovo. Sì Obsidian, sto guardando te e i tuoi fiumi di parole). Descrizioni e dialoghi infatti arrivano rapidamente al punto, sono precisi senza essere prolissi, rapidi senza essere sbrigativi, leggeri senza mai essere frivoli.

Se dovessi seguire lo schema tradizionale di una (simil) recensione, forse dovrei parlare di quali sono i suoi difetti. Ma la verità è che non ne ho trovati. Il rischio dei giochi che si basano su loop temporali, di solito, è che la prima giocata dia l’impressione di essere incompleta, che sia evidente che il gioco ti sta nascondendo qualcosa. Non è così in questo caso, anzi: pur con tutte le sue inevitabili o forse difficilmente evitabili tragedie, la mia prima discesa in quel di Vertumna è stata quella che finora sento più “mia”. Lo sono anche le altre, naturalmente, ma per forza di cose quando parti già con il pacchetto di conoscenze tendi a ottimizzare, a dire “ah so che a un certo punto succede x quindi devo prepararmi a fare y”, e l’esperienza che hai è diversa, certo le scoperte ci sono comunque come ho detto sopra, ma l’atteggiamento è comunque leggermente diverso, meno di meraviglia (che c’è comunque, tipo quando scopri che puoi metterti a fare il barista) e più di “adesso voglio vedere cos’ha in mente il gioco per me se provo a giocare in un certo modo”. Che non è un difetto, anzi come già accennato in precedenza è proprio il gioco a dirti, una volta finito per la prima volta, che ora che sai più cose magari è il caso di sfruttarle per cercare di vedere se si riesce a vivere una vita “migliore”, ad aiutare più gente.
Per chiudere, credo che da quanto ho scritto sia evidente come I Was a Teenage Exocolonist sia un gioco che mi è piaciuto davvero tantissimo. Non solo a livello, per così dire, del compito in classe, ottima scrittura, artwork straordinari, colonna sonora perfetta, insomma questi canoni da recensione tradizionale. Ma anche a livello personale, per i temi che tratta, per il modo in cui lo fa e per il modo in cui riesce ad entrarti dentro, con i suoi personaggi, le loro convinzioni e imperfezioni. Sul serio: è un gioco di cui vorrei mettermi a parlare molto di più e molto nel dettaglio, ma farlo richiederebbe di soffermarsi su momenti specifici, che però non voglio rovinare a chi legge. Aggiungetelo alla vostra libreria, e vi prometto che non ve ne pentirete.
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