Nel precedente episodio…
Tagliare il filo rosso? Qui tutti i fili sono rossi! No? Non è successo questo? Aspetta Dama, ma allora è quella volta che aiutai i Jalisse a salvare il Natale del 1998? Ancora no? Dama, fammi pensare! Fammi concentrare! Ah, ecco! Avevo iniziato una leggera riflessione su La Scena, ossia quel momento iconico in un videogioco che entra nella mente e nel cuore del giocatore rimanendo impresso negli anni e nei decenni. Avevo suddiviso La Scena, anzi le scene, in cinque gruppi e avevo analizzato rispettivamente la scena iniziale e la scena in cui sono presentati i diversi personaggi.
Achtung!
Dato che qui parliamo di colpi di scena e di scene finali, ci saranno spoiler a non finire, forse infiniti. Quindi siete avvertiti, prendo a calci il primo che rompe i cosiddetti con un “NO! Mi hai spoilerato il finale di Call of Duty LXXVI, dove il presidente Garfield è in verità un cyborg alieno costruito da Freddy Fazbear.”
You’re the one who was
Il colpo di scena è la svolta improvvisa nella storia che cambia le carte in tavola e deve sconvolgere il giocatore, spingendolo a continuare la sua esperienza ludica. Questa scena accade a metà gioco o nell’ultimo quarto, alcune volte è anticipato da qualche indizio sparso in precedenza a suon di foreshadowing. Il colpo di scena è spesso l’immaginario vertice di una parabola, quindi dopo tale momento inizia una discesa della qualità narrativa della storia e qualche volta il giocatore potrebbe iniziare ad annoiarsi.
Numerosi sarebbero i casi da analizzare, perché il colpo di scena è necessario per qualsiasi esperienza videoludica, che sia un gioco d’azione gonfio di adrenalina o un riflessivo e arcaico strategico. Ovviamente questa non è la norma vera e propria: esistono storie prive del colpo di scena, ma queste devono riuscire a mantenere l’attenzione del giocatore proponendo un obiettivo a lungo termine o che spesso sfugge di mano.
Sarò banale, ma il primo BioShock presenta uno dei migliori colpi di scena: l’incontro con Andrew Ryan.
Attenzione! Il pregio di questa scena è la regia, non la rivelazione in sé, perché su un piano metanarrativo il giocatore si rende conto di non essere arrivato alla conclusione del gioco ed è consapevole che qualcosa dovrà succedere. Gli autori della Irrational Games hanno fatto un ottimo lavoro nella scelta dei colori, della traccia musicale e degli effetti sonori; nel muovere Andrew e nella scrittura del suo dialogo, ovviamente quest’ultimo aspetto dipendente anche dall’ottimo lavoro dei doppiatori. Sì, questo è uno dei pochi casi dove il doppiaggio italiano riesce ad avvicinarsi a quello originale.
Il citare il primo capitolo di BioShock serve anche per ritornare su quell’immagine della parabola che ho utilizzato un paio di righe fa, perché il successivo incontro e scontro con l’antagonista finale non raggiunge la stessa qualità di questa scena. Ed è un peccato, perché BioShock presenta tante ottime scene: l’arrivo a Rapture, il primo incontro con una sorellina, l’incontro con Sander Cohen.
Anche Far Cry 3 soffre di questo problema, benché il gioco non presenti un vero e proprio colpo di scena, se non quello (presunto) negli ultimi istanti del gioco. I diversi incontri con Vaas e lo scontro con lui sono sviluppati ottimamente, soprattutto grazie a un’ottima scrittura e alla buona prova del doppiatore. Purtroppo tutto diventa banale dopo la morte di Vaas: il nuovo antagonista è una sagoma di cartone, e l’unico aspetto memorabile è la fuga sull’elicottero che ammicca molto a quell’iconografia stereotipata della guerra del Vietnam entrata nella mente di molti di noi a suon di Cavalcata delle Valchirie (ma pochi ricordano la trama del film da cui è tratto; un po’ come Full Metal Jacket dove tutti sanno a memoria le battute del sergente maggiore Hartman, ma poi non sanno di cosa tratta il film).
La conclusione del terzo episodio del primo Life is Strange è un altro ottimo esempio, perché gli sviluppatori lasciano alcuni piccoli suggerimenti di quello che sta per accadere, ma la comprensione di tali indizi avviene solo quando assistiamo a tale scena. Purtroppo anche LiS soffre del difetto citato in precedenza, per di più amplificato dalla sua struttura a episodi: gli sviluppatori hanno creato un buon cast di personaggi, accolti positivamente dal pubblico, ma non sono riusciti a scrivere un’ottima storia che si ingarbuglia già dal terzo episodio e che viene risolta con La Scelta.
La Scelta è quel nodo gordiano videoludico in cui il giocatore è costretto a scegliere tra due opzioni che in teoria dovrebbero cambiare totalmente la storia, ma nella pratica non hanno nessuna conseguenza. E sì, La Scelta dell’ultimo episodio di LiS ha il fine solo di dare un finale risolutivo, ma da lacrime napulegne, cosicché le lacrime facciano dimenticare eventuali difetti narrativi o buchi di storia. Non a caso Square Enix ha provato a spremere la mucca delle avventure di Chloe & Max con un piccolo prequel e ha semi-fallito in un secondo capitolo con personaggi e ambientazione nuova.
Un colpo di scena può essere narrato ottimamente pur essendo prevedibile, come in Sleeping Dogs; oppure può avere una natura metanarrativa, ovvero non aver nessun effetto sul gioco o sulla storia ma proponendo un cambio nella narrazione.
Qualche volta il colpo di scena è improprio. Cosa voglio dire? Che la rivelazione improvvisa, la svolta della trama, avviene in un particolare momento della storia dove i protagonisti stanno vivendo tranquillamente, perché convinti di aver sconfitto i loro antagonisti o perché stanno godendo dei frutti di un piano ben riuscito. Il colpo di scena non è la rivelazione in sé dell’antagonista o di chissà che cosa, ma è proprio la rottura tragica di quella situazione idilliaca. Mafia 2, del quale da poco è stata pubblicata la remaster, presenta questo tipo di colpo di scena. Henry, Vito e Joe stanno godendo dei frutti dell’affare della droga cinese, sembra andare tutto per il bene, ma qualcosa va (ovviamente) male e inizia la fase conclusiva del gioco. Esempio maggiormente innocente è la saga di Sakura Wars, dove nei primi tre capitoli l’antagonista ha il vizio di rivelarsi o di tornare in scena durante il momento dell’appuntamento semi-romantico.
Accenno brevemente a un terzo colpo di scena, quello da post credit, che richiama tanto alla tradizione del cinema horror e di azione degli anni 70/80, dove il cattivo non è davvero sconfitto ed è sopravvissuto in qualche modo. Ovviamente quest’ultimo colpo di scena è utilizzato quando si vuole suggerire un eventuale sequel o si tenta di creare una saga composta da diversi titoli.
No one here is exactly what he appears
Questa scena raramente influisce nella storia e spesso non è manco una cut-scene, ma una particolare fase del gioco che riassume ottimamente l’atmosfera del gioco. Qualche volta questa scena è citata o riproposta nei giochi successivi, quasi a diventare un marchio di fabbrica del gioco.
Gli Yakuza, e in particolare gli ultimi cinque capitoli accolti benissimo sul mercato occidentale, presentano questa piccola caratteristica. Nell’ultima avventura di Kiryu Kazuma ritorna un anziano conosciuto venti anni prima negli eventi narrati nello zero nel primo Kiwami; con lui ritorna la traccia sonora strumentale utilizzata durante il suo mini-gioco. Il nuovo Yakuza Like a Dragon, (regola nipponica: cambio protagonista implica interruzione numerazione) presenta una nuova meccanica dove quel capellone di Ichiban invoca diversi personaggi dei giochi precedenti (e non solo) attraverso una telefonata. Quei mattacchioni dei figliocci di Segata hanno questo vizio di infilare piccole citazioni dei capitoli precedenti o addirittura di altri suoi giochi: non solo Yakuza, ma anche nei primi due Shenmue.
Piccolo momento triste: i nipponici sono cool se fanno il picchiaduro dove Mario sfonda un cric dietro la testa di Solid Snake, oppure un JRPG dove Goro Majima, Gemini Sunrise, Tails, il truzzo di Outrun e lo stesso Segata Sanshiro combattono il Grande Satana; se io faccio la stessa cosa in AI Dungeon sono cringe.

La scena della finger gun fight del quarto episodio di Tales From The Borderlands è un altro ottimo esempio. Non solo, lo spin-off made in Telltale della saga di Borderlands presenta tanti di questi piccoli momenti, accompagnati dai finti trailer alla fine dei primi tre episodi; quest’ultimi sono un’ottima dimostrazione del fatto che la storia che stiamo giocando potrebbe essere in diverse parti falsa o gonfiata, dato che è narrata postuma dai due protagonisti.
Now get the hell out of our galaxy
Questa scena non è il finale, ma è quella che avviene prima dello scontro finale o semplicemente della fase finale del gioco, il canonico ultimo livello. Può essere il lungo monologo dell’antagonista dove spiega il suo masterplan, oppure il protagonista che va ad affrontare la sua nemesi.
L’esempio perfetto è Metal Gear Rising: Revengeance, per di più applicabile non solo allo scontro finale con il Senatore Armstrong, ma a tutti gli scontri con i diversi boss. Attenzione! Molti potrebbero subito pensare alle numerose battute recitate dai protagonisti e al tono esagerato, tralasciando la capacità di Platinum Games di creare ottime scene con un attenzione maniacale a tanti piccoli particolari (movimento dei personaggi, inquadrature, effetti sonori) esagerando tutto al massimo, ma senza sfociare nel trash, nella parodia o nel patetico (idem per Bayonetta). Qualcosa di simile avviene anche in Morrowind, dove l’incontro con Dagoth Ur riesce bene per gli ottimi dialoghi e per la possibilità di fare all’antagonista diverse domande le cui risposte hanno una coerenza di fondo, non roba del tipo “sono brutto e cattivo, voglio distruggere la Terra per noia”. Tutto ciò grazie alla particolare ambientazione degli Elder Scrolls e alla scrittura dei dialoghi di questo terzo capitol, frutto della mente geniale di quel folle depresso di Michael Kirkbride.
Gli altri Metal Gear, quelli con Snake e i suoi fantastici amici, cloni o cosa diamine sia passato nella mente geniale di Kojima, si pongono a metà strada tra l’esasperazione del fratellastro sviluppato dalla Platinum e l’originalità narrativa degli Elder Scrolls. Ma con Kojima è tutta decostruzione, quindi ci vorrebbe un articolo a parte o uno speciale. Cosa Dama? Lo abbiamo fatto? Allora lascio un link!
Lo scontro finale spesso ha un aspetto melodrammatico (o addirittura neomelodico) soprattutto quando gli autori della storia provano a costruire degli antagonisti carismatici oppure riescono a descrivere una corrispondenza o una similitudine tra l’antagonista o il protagonista. L’esempio semplice potrebbe essere la saga di Yakuza, ma preferisco il primissimo Fallout, dove lo scontro con il Master è ben fatto non solo per il suo particolare aspetto e la scelta degli effetti sonori, ma anche per il dialogo che si instaura. Tutto ciò non riesce né nel secondo capitolo (Frank Horrigan e Dick Richardson sono due macchiette) e in New Vegas.
In diversi JRPG, ma anche in qualche RPG come Baldur’s Gate 2 o Arcanum, il gruppo guidato dal protagonista sta per affrontare l’antagonista ed è pronto a sconfiggerlo grazie al potere dell’amicizia, della fedeltà, dell’amore e della guapparia. Sono sicuro che tutti i Final Fantasy dal primo al settecentoventiquattresimo hanno questa scena, ma io avendo giocato solo al sesto capitolo sono affezionatissimo alla scena che introduce allo scontro finale con Kefka, dove tutti i personaggi si riuniscono e dicono che sono pronti a combattere il semidio.
X-COM 2 è molto più cinematografico del primo capitolo e ha anche una bella scena d’introduzione all’ultima missione con un’ottima traccia strumentale e quel pizzico di trash che piace tanto a muà. Peccato che il tutto sia rovinato dalla scena finale alla Dragon Ball con il nostro Comandante che fa l’onda energetica spirituale contro quella degli Elders.
Concludiamo con la saga X, simulatori spaziali ambientati in un vasto universo con tante belle possibilità, ma anche con la necessità di avere tanto tempo per poterli gestire. Il terzo capitolo ha una bellissima scena finale (o protofinale, dato che non esiste una vera storia) quando noi riusciamo ad attivare un portale e vedere per la prima volta la nostra terra.
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