In questi ultimi giorni di ottobre in redazione si è discusso della probabilità che Segata Sanshiro voglia portare sul grande schermo la saga di Yakuza. Più precisamente sul grande schermo occidentale, dato che nella terra del Sol Levante ci sono già stati un film e uno show teatrale.
La discussione è stata dominata dalle mie idee su tutti i possibili ruoli che Nathan Fillion potrebbe interpretare in un eventuale SEGA Cinematic Universe; finché ho iniziato a piangere perché mi hanno rivelato che Nathan Fillion e Brendan Fraser sono due attori distinti.
Comunque questa discussione mi ha fatto venire l’idea di questo articoletto, anzi coppia di articoli.
L’occhio della madre! La carrozzella col bambino!
L’argomento odierno è semplicemente La Scena, ossia quel momento iconico in un videogioco che entra nella mente e nel cuore del giocatore e rimane impresso negli anni e nei decenni. Il grassetto è necessario perché La Scena non è semplicemente una cutscene priva di qualsiasi elemento ludico, ma può essere anche un particolare sequenza del gioco costituita da un determinato dialogo e accompagnata da una determinata traccia musicale.
Le nuove tecnologie stanno garantendo livelli di fotorealismo senza perdere un frame di fluidità. Ciò ha portato molti sviluppatori a inserire numerose cutscene per sviluppare la storia. Nasce così il termine movie game, spesso utilizzato in modo dispregiativo per indicare un gioco, anzi un titolo AAA, formato esclusivamente da cutscene, dove l’elemento ludico è modesto o peggio abbozzato.

Piccola precisazione storica: l’idea di movie game non è nata oggi o pochi anni fa. Negli anni Novanta, diversi giochi avevano cutscene registrate dal vivo con attori in carne e ossa, inserite grazie al formato .FMV. Gli zoomer ricorderanno gli attori di Red Alert, ma difficilmente quelli di Phantasmagoria o del secondo Gabriel Knight. Nei ruggenti anni Ottanta i laserdisc game coniugavano cutscene e aspetto ludico attraverso dei primordiali quick time event da imparare a memoria e da digitare con riflessi felini, pena la morte anticipata e la necessità di dover ricominciare il gioco. Sarebbero da includere anche numerose produzioni nipponiche con una forte presenza di scene animate, però lì il discorso è differente per questioni temporali, tecnologiche e di pubblico.

In questo ultimo lustro è prevalsao tra gli sviluppatori l’idea di programmare e scrive giochi maturi con numerose chiavi di lettura, decostruzione dei cliché utilizzati in precedenza, riflessioni sui problemi della società contemporanea e mumbo jumbo vario. Personalmente, anzi personally, non apprezzo questa tendenza: sono dell’opinione che per un buon gioco spesso è necessario limitarsi alla semplice e banale formula dei protagonisti forti e gagliardi, nemici infami e la vita ridotta a un’avventura. Tutta questa maturità spesso è più un tentativo di accattivarsi una particolare fascia di pubblico che un mezzo per raccontare una buona storia o semplicemente migliorare l’esperienza ludica.
A Boomer, e parlaci de ste scene!
Potrei fare una lunga carrellata di scene con commento annesso, ma il nostro immenso e indistruttibile Dama ci dà un limite di caratteri e di battute, obbligandomi a raggruppare La Scena in cinque distinti gruppi. In questa prima parte tratterremo i primi due gruppi.
- La scena iniziale, ovvero la scena che avviene nei primi momenti di gioco. Attenzione! Tale scena non avviene esclusivamente quando si seleziona la canonica new adventure
- La scena di presentazione dei personaggi. Ovviamente è inutile che spenda delle parole, perché è semplicemente la scena in cui sono introdotti gli altri personaggi tra amici, nemici e conoscenti.
- La scena del colpo di scena. Ah, gioco di parole!
- La scena minore. Questa scena non ha un grande impatto sulla narrazione e non presenta un personaggio, ma per come è fatta riassume precisamente la natura del gioco.
- La scena che introduce allo scontro finale. Quest’ultima da non confondere con il finale vero e proprio.
And so it begins…
La scena iniziale deve presentare ottimamente protagonista, storia e ambientazione e soprattutto deve catturare il giocatore. Una pessima scena iniziale — o addirittura la sua assenza — influenza negativamente la qualità della storia e del gioco; essere un diesel sul piano narrativo significa rischiare che il giocatore non si affezioni alla storia e ai personaggi aggrappandosi solo all’aspetto puramente ludico. Questo non avrà conseguenze per un titolo di guida, ma ne avrà molte per un gioco di ruolo.

I nipponici preferiscono spesso l’idea di “sigla/opening” ad ogni avvio di gioco. Basti pensare agli Street Fighter e ai Tekken; a Yakuza con le sue sigle cantate per le versioni pubblicate sul mercato nipponico o ridotte a musiche strumentali per gli occidentali; al mio affetto per la sigla strumentale del terzo Capitan Tsubasa della Tecmo, al successo commerciale in Giappone e negli Stati Uniti della canzone utilizzata come sigla di Burning Rangers e a tanti altri. Anche certi signorini come Rance e Desmond/Takeru possono vantare la loro sigla.
Poi vi prometto: un giorno metto buona parte della redazione a nanna e discutiamo delle colonne sonore degli eroge spesso superiori a quelle di produzioni più pure e caste.
L’idea di sigla è meno diffusa in occidente, tendenzialmente c’è qualche traccia strumentale che introduce i nomi dei vari sviluppatori e produttori; canonica è l’introduzione di Football Manager formata da un sottofondo di tifo da stadio, un qualcosa risalente ai tempi di Championship Manager. Miei cari boomer e miei cari millennial, vi ricordate della intro di Fifa World Cup 98, ossia Tubthumping dei Chumbawamba? Sempre per rimanere in area EA, anche Sim City and The Sims hanno una sigla immediatamente riconoscibile.
Comunque al di là del monte Fuji si preferisce inserire una scena introduttiva nell’istante successivo all’avvio del nuovo gioco o alla conclusione del tutorial, se quest’ultimo è parte integrante dell’avventura e non una modalità a parte. Questa scena può essere accompagnata qualche volta da una canzone, per esempio come nei Borderlands. Cito questa saga — e la ritroveremo spesso in questa coppia di articoli — perché proprio l’ottima gestione de La Scena nasconde un particolare difetto narrativo di questi titoli, ossia personaggi e ambientazione superficiali, abbozzati, semplicemente sagome di cartone abbellite con due/tre frasi fatte e qualche lucina.
La saga di Fallout presenta tanto una mezza sigla quanto la scena iniziale: gli sviluppatori della fu Black Isle e successivamente della Obsidian hanno sfruttato ottimamente queste due componenti per catturare l’attenzione. Al giocatore bastano pochi minuti per essere catturato grazie a una protosigla e a una scena introduttiva che scimmiottano un documentario o una pubblicità. In Fallout New Vegas l’ambientazione e soprattutto uno degli antagonisti sono introdotti superbamente grazie a un’ottima scena e a un ottimo dialogo, peccato che questo si perda nella traduzione italiana per il doppiaggio e per l’impossibilità di tradurre determinate frasi idiomatiche.
Altro caso è Deus Ex. No! Non vi voglio parlare della scena iniziale del primissimo capitolo, quella con la citazione a casaccio di Sant’Agostino, perché quella scena è un tipico caso di foreshadowing, ovvero la si comprende e la si apprezza solo dopo essere andati più avanti nell’avventura. Un qualcosa di piuttosto raro, ma che in Deus Ex funziona ottimamente. Mi riferisco invece alla scena introduttiva di Deus Ex Human Revolution: la sua integrazione con il tutorial è un qualcosa di riuscito ottimamente.
Nel lontano 1998 Half-Life propose per la prima volta una scena iniziale semi-interattiva con il viaggio di Gordon sul trenino che lo porterà a Black Mesa. Ovviamente era il lontano 98, in piena età d’oro dei FPS con Unreal, Quake II e altri; però Valve sorprese tutti proprio con la volontà di concentrarsi sull’aspetto narrativo rispetto a quello ludico. Non tralasciamo il Rise and Shine del secondo capitolo, scena che in un certo senso ammiccava a tutti quei giocatori che da millenni aspettavano il secondo capitolo delle avventure del nostro scienziato dal piede di porco (eoni saranno per il terzo capitolo, eh!).
Un paio di giorni fa è ritornato Baldur’s Gate con un terzo capitolo. Saga che ho apprezzato ma mai conclusa, perché il primo capitolo mi fa venire il motion-sickness (me l’hanno spiegato in redazione, io lo chiamo il mal di auto digitale) e il secondo iniziato trentacinque volte e mai concluso. La scena iniziale del secondo capitolo è un’ottima dimostrazione di come si introduce ambientazione, storia e legame con il primo capitolo.
A proposito di Baldur’s Gate… no, volevo dire a proposito di giochi di ruolo hack’n slash, quando nel 2000 fu pubblicato Diablo 2 arrivarono una mezza dozzina e giù di lì titoli simili, che oscillavano tra miseri cloni e mezze idee ben abbozzate. Uno di questi è Nox, che ahimè non è giocabile sugli attuali sistemi operativi, che presentava un’introduzione ben fatta che riassumeva ottimamente ambientazione, protagonista e storia.
Menzione di onore per i primi due Tropico di cui vi ho parlato in passato; per Metal Fatigue, strategico del 2000 con mecha alla Gundam, e ovviamente anche per i Total War. Anche gli strategici e i gestionali hanno bisogno della loro introduzione.
Who are you?
Come introdurre un personaggio nella storia? Come introdurre un antagonista o i diversi comprimari? La gestione e la presentazione dei comprimari e soprattutto dell’antagonista è necessaria per la riuscita di una buona storia. Credo che sia più facile scrivere un comprimario che un’antagonista, perché un pessimo o superficiale antagonista rovina il gioco. La sua introduzione è fondamentale, perché se introduci male l’antagonista dopo è difficile ricatturare l’attenzione del giocatore. Torniamo a Borderlands: tutti si ricordano di Handsome Jack, pochi ricordano l’antagonista del primo capitolo. Il trailer del terzo capitolo presenta addirittura prima gli antagonisti e poi i protagonisti.
Presentare comprimari e antagonisti è strettamente legato a precise scelte di character design; però abbiamo bisogno di alcuni esempi.

Questo screenshot è tratto dal secondo capitolo di Sei Shojo Sentai Lakers, un eroge del 1994 mai arrivato in Occidente. No, Dama non ti preoccupare, questo eroge c’entra tantissimo con l’argomento di cui so trattando, lo giuro! Semplicemente scommetto tutte le mie parrucche e i miei cappellini che il lettore mi indovina subito le peculiarità caratteriali delle cinque protagoniste.
Andiamo con un secondo screenshot.

Questo è tratto dal più famoso Baldur’s Gate del 1998 e scommetto che se uno di voi lettori non ci avesse mai giocato o non sapesse nulla di Dungeon & Dragons difficilmente saprebbe individuare le peculiarità caratteriali dei personaggi attraverso quei piccoli tre ritratti.
Cosa c’entrano questi due screenshot con la scena che presenta i personaggi? Prima di quelle grande innovazioni tecnologiche che ci hanno portato ai movie game, dopo o durante l’abuso esasperato del formato .FMV, era piuttosto difficile presentare l’antagonista o i comprimari per il semplice motivo che le tecnologie non ti permettevano una scena o una rappresentazione grafica. Pensate alle differenze tra l’originale Lara Croft pixellosa e la nuova Lara Croft. Non solo le differenze fisiche, ma la diversa attenzione nella costruzione del personaggio, al suo modo di presentarla e di caratterizzarla. La vecchia Lara sicura di sé, gagliarda e priva di uno sviluppo vero e proprio durante i diversi episodi è totalmente differente dalla nuova Lara, che nel primo gioco passa da una disgrazia all’altra mentre il vestito si sporca di fango e di terriccio, e il suo corpo si riempe di graffi e di abrasioni.
In Giappone presentare il personaggio era diverso per via del maggiore ruolo della figura del concept artist, che ti creava la raffigurazione dei personaggi e te li schiaffava se non nel videogioco, sul manuale e sulla copertina. È possibile trovare sul web la scansione e la traduzione di alcuni artbook di Satoshi Urushihara, padre di Growlanser e Langrisser, dove illustra brevemente le problematiche affrontate nella costruzione dei personaggi. Questi tendevano a essere tutti uguali, fatti con lo stampino, bastava un elemento grafico come un abito o addirittura il semplice colore per inquadrarli pienamente, e il loro approfondimento nasceva principalmente da traumi e disgrazie.
In Occidente l’assenza di tutto ciò e una tradizione che vedeva il videogioco maggiormente vicino alla letteratura e al gioco di ruolo cartaceo che al fumetto o all’animazione, spingeva i produttori a ricorrere a numerose linee di dialogo per presentare comprimari e antagonisti. Questo non riusciva spesso: per un Minsc e un Myron ci sono un Vergil e un Ernesto. Dover differenziare e presentare i personaggi ricorrendo principalmente all’aspetto testuale poteva portare alla nascita di personaggi troppo peculiari, fino ad arrivare a dei casi umani veri e propri. In Baldur’s Gate 2, Torment, Fallout 2 e pure Morrowind o Gothic si ha l’impressione di stare in una casa di matti tra bestioni che parlano con criceti, nanetti incazzati, meccanici obesi, lucertole albine troppo cresciute, maghi che creano figlie magiche o che si danno fuoco per raggiungere il massimo piacere. Ovviamente perché è più facile catturare l’attenzione del giocatore con la storia del mago megalomane o della khajiit in cerca di amici. Non solo giochi di ruolo, eh! Il Duca, vogliamo parlare del Duca?
Torniamo a oggi. La presentazione dei personaggi è diventata più facile e il character design diventa sempre più importante rispetto alla semplice scrittura del personaggio; non a caso in Giappone sembrano essere cambiati solo i canoni.
Borderlands è ancora l’esempio chiave. I personaggi sono presentati con una schermata e subito riconoscibili grazie a particolari scelte di character design: atteggiamento disinteressato, i dread per Mordecai; l’essere un armadio a quattro ante silenzioso ma dal cuore d’oro per Brick; la canonica bambina traumatizzata e schizofrenica come Tiny Tina; due colletti bianchi lanciati in un avventura più grande di loro come Rhys e Vaughn. Cartonati abbelliti, ma presentati ottimamente con qualche semplice battuta o rimando alla cultura pop. Allo stesso modo la fortuna di Yakuza 0 sul mercato occidentale e la rinascita di questa saga in Occidente grazie alla presenza di tanti zerobaby (ossia coloro che hanno scoperto la saga dallo 0) nasce principalmente dalla scena di introduzione di Majima. Il più sfortunato Binary Domain presentava ottimamente i personaggi e credo che tutti siano rimasti sorpresi nel vedere comparire all’improvviso un cyborg che parla con accento francese. Far Cry 3 ha il suo successo nel personaggio di Vaas e da come è presentato non solo nella scena iniziale, ma anche in quelle successive. Addirittura quando scompare dalla scena il gioco perde di mordente perché il nuovo antagonista è troppo banale. Alpha Protocol, bug al quale intorno è stato costruito un gioco, non a caso prodotto della Obsidian, presenta ottimamente gli antagonisti oscillando tra lo spy movie di matrice bondiana a una versione cocainomane di Austin Powers (e ancora prima No One Lives Forever). Vampire the Masquerade: Bloodlines (il vecchio e non quel probabile trainwreck del remake/secondo capitolo) ti sbatteva in faccia: Jeanette, Gary Golden, fantasmi e…

Nel prossimo episodio di Frequenza Critica: nostra sorella Yukino… volevamo dire… Ioannis parlerà di colpi di scena e scontri finali, riuscirà a concludere l’articolo senza problemi, entro il termine stabilito da Dama e senza citare inutilmente Babylon 5? I momenti che valgono l’esperienza II. YEAH! Anche io vorrei una cappellino.
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