Hi-Fi RUSH: I Fought The Law

Siamo nel 1970, Inghilterra. Tra le strade aumenta il divario tra ricchi e poveri, l’industrializzazione avanza incessante, le città si tingono di grigio. La speranza degli anni ‘60 stava svanendo, i fiori appassivano, l’amore libero e universale si rivelò qualcosa di irrealizzabile. Le classifiche e i programmi televisivi sono dominati da musica disco e dalle complesse trame musicali del progressive rock. Il contrasto tra il mondo patinato ed edulcorato della musica e la realtà triste e disperata, diventa qualcosa di insopportabile per le giovani generazioni. Un gruppo di ragazzi, musicisti improvvisati, inizia a frequentare vari locali, tra cui la botique SEX. Tirano su un gruppo musicale, The Strand, e iniziano a incidere del materiale. Un giorno mette piede nella botique un tipo con i capelli verdi e una t-shirt con su scritto “I hate Pink Floyd”. Si fa chiamare Johnny Rotten e subito gli viene chiesto di entrare nel gruppo. Nascono i Sex Pistols, nasce il movimento punk inglese, uno degli snodi più importanti nella storia della musica. Un’ondata di giacche e pantaloni stracciati marcia lungo tutto il paese, canti stonati e sonorità grezze, sgraziate, caotiche risuonano nei locali delle città. La rivoluzione è iniziata, il potere deve essere abbattuto così come la musica finta che lo alimenta.

sex pistol punk
Il famoso concerto dei Sex Pistols a Manchester nel 1976. Tra il pubblico sono presenti Ian Curtis (Joy Division), Morrissey (The Smiths) e Joe Strummer (The Clash).

Qualcosa del genere servirebbe a smuovere le acque stagnanti dell’attuale mercato videoludico che dopo anni di sperimentazioni e fallimenti ha finalmente sviluppato proficue strategie per rimpinguare le proprie tasche. Prima vennero i DLC, con porzioni di contenuti omesse dal prodotto finito per essere vendute a parte, poi le modalità multiplayer vennero forzate ovunque per incentivare le microtransazioni. Poi le lootbox iniziarono a invadere il mercato. Non è un caso che il declino qualitativo che il mercato commerciale abbia conosciuto in questi anni sia andato di pari passo all’introduzione di strategie di guadagno sempre più subdole e perverse. Del resto, se è possibile generare fiumi di denaro che sfociano nelle mie casse dopo aver venduto qualcosa, il mio interesse passa dal vendere quel qualcosa al vendere assolutamente quel qualcosa. Ecco che allora si è iniziato a coltivare la cultura dell’hype, un indottrinamento perverso che consiste nello stimolare continuamente l’appetito del consumatore, in modo tale che questo, come ipnotizzato, non perda traccia del prodotto che alla fine – come per sua naturale propensione – consumerà. Il reparto marketing crea il videogioco, lo sviluppatore lavora. Bombardato da notizie, da leak, trailer sapientemente montati (e a volte anche falsificati), promesse e contenuti in arrivo, il consumatore si vede svestito della sua capacità di giudizio e l’acquisto diventa estatica consuetudine.

lootbox mtx

Cambierà tutto questo? Probabilmente no, ma c’è chi ci ha provato. Parliamo di un videogioco che nasce e cresce all’interno di questo maledetto sistema ben oliato e coordinato: è un’esclusiva di un grande publisher; è stato annunciato durante uno di quei video promozionali di regime, dove i prodotti sfilano uno dopo l’altro, imbellettati e baldanzosi. Andiamo con ordine. Durante un anonimo 25 gennaio dell’anno 2023, in seconda serata, veniva trasmesso su diverse piattaforme uno showcase Microsoft. Chi aveva sul petto lo stemma dell’altra casata si metteva comodo davanti al proprio dispositivo pronto a riempire di faccine sorridenti e rotolanti gli spazi virtuali. Altri, tra cui il sottoscritto, cercavano semplicemente un modo per conciliare il sonno, dati gli ultimi trascorsi videoludici non proprio entusiasmanti della casa di Redmond (perdonate questa mia momentanea partigianeria). All’improvviso un fulmine dai mille colori squarcia il monotono e consueto paesaggio che si andava delineando: estetica da cartoon, un lettore musicale impiantato nel petto, un cazzone sfigato che salverà la baracca dando botte a ritmo di musica con la sua chitarra fatta di rifiuti. Non eravamo pronti per Hi-Fi RUSH e per ciò che volente o nolente portava con sé.

Lo shadow drop – pubblicare un gioco subito dopo averlo annunciato – è qualcosa di estremamente raro, perché nega la cultura dell’hype

Non ci aspettavamo innanzitutto che venisse pubblicato pochi minuti dopo il suo annuncio. Lo shadow drop è qualcosa di estremamente raro, quasi mitologico. Lanciare inaspettatamente e immediatamente un videogioco è qualcosa che si mette di traverso a quei meccanismi di vendita descritti sopra; in particolare nega la cultura dell’hype. Se una cosa funziona perché rischiare? Perché non stuzzicare continuamente con piccoli bocconi di cibo i miei cagnolini, in modo tale che quando darò loro il pasto completo si fionderanno su di esso? Si potrebbe replicare che anche lo shadow drop è una forma di marketing e concorre in modi diversi allo stesso obiettivo. Certamente, ma la differenza sta nel fatto che questa forma di vendita paga solo se il prodotto è di qualità. E Hi-Fi RUSH è un prodotto di assoluta qualità e genuinità. Questo mix nostalgico dei primi anni 2000, che si muove tra un action-platformer, un action e un rythm game, è cascato dal cielo e si è schiantato attutendo il colpo senza paracaduti. Non ne facciamo necessariamente una questione di numeri, mancano i dati ufficiali, ma ad occhio potremmo dire che abbia venduto il giusto per il tipo di prodotto che rappresenta. Tuttavia non c’è stato il preordine mesi prima, non c’è stata una campagna di indottrinamento al consumo, non c’è stato l’acquisto dopo aver letto la recensione, dopo aver visto uno stream su Twitch o il video del nostro influencer di riferimento. Tutti, sovrapposti, abbiamo acquistato e giocato curiosi questa inaspettata creatura e ne siamo rimasti affascinati.

hifi rush peppermint

Il biglietto per assistere al concerto organizzato da Tango Gameworks costa 30 euro. Il gruppo che suona è figo, quegli scalmanati suonano con passione, alzano diti medi contro l’establishment e le band costruite a tavolino, che tra l’altro negli ultimi anni sono arrivate a chiedere anche 80 euro per un evento. Dicono che è normale che i prezzi si alzino sempre di più, la loro qualità si paga. È chiaramente una provocazione, il valore produttivo di Hi-Fi RUSH è inferiore a quello di un Tripla A, da ciò la differenza del prezzo di vendita. Ma questo non ci deve distrarre dal cercare di guardare la faccenda da altri punti di vista. Ricordiamo che Hi-Fi RUSH non è un videogioco indipendente, in tal caso la sua posizione trasversale rispetto al mercato mainstream sarebbe fisiologica. Hi-Fi RUSH è un’esclusiva Microsoft, ha una Deluxe Edition ed è disponibile sul famigerato Game Pass. Mette in moto una rivolta dall’interno del sistema a cui dobbiamo necessariamente partecipare. Questo gioco completo con contenuti per decine e decine di ore, dalla qualità limpida, ci fa capire che un’alternativa all’egemonia attuale dei Tripla A è possibile. Che disegni e talento artistico possono sostituire le quasi sempre pallide imitazioni di Hollywood. Che non tutto deve essere sempre un mondo vastissimo esplorabile. Che non siamo completamente perduti, dentro di noi ancora risiede sopita una fiammella che ci fa apprezzare ciò che è veramente bello.

C’è un altro aspetto di Hi-Fi RUSH che mi affascina. Per caso ricordate cosa aveva di punk Cyberpunk 2077? CD Projekt ci ha voluto raccontare di un mondo schiavo della tecnologia e di uomini che sfidano il destino scritto per loro dalle grandi corporazioni. Johnny Silverhand che dal palco parla al suo pubblico avvicinando la pistola al microfono è una non troppo velata metafora che la sua musica, il punk, è un’arma, è ribellione. Tutta la narrazione si dirama intorno a questi concetti. L’attacco finale alla torre dell’Arasaka è l’atto con il quale ci riprendiamo la nostra identità, distruggendo il potere che ci vedeva come gusci vuoti da riempire a proprio piacimento. Ma qual era il veicolo di tutto ciò? Visto da fuori, Cyberpunk 2077 che cosa rappresentava? Un perfetto soldatino di regime che sbandierava tutta la marcescenza del mercato che lo ha generato. Promesse non mantenute, contenuti tagliati, trailer che ingannavano. Un gioco che a stento si teneva in piedi (fu addirittura tolto dalla vendita su PlayStation) e che infatti cadde a terra con un bel tonfo. Ma intanto i pre-ordini erano stati fatti, così come gli acquisti entusiasti il giorno dell’uscita. Il sistema aveva funzionato perfettamente ancora una volta. Va da sé che guardando il quadro complessivo, la comunicazione di Cyberpunk 2077 non può funzionare, non importa quanto si prenda sul serio o quanto impegno ci metta. Non funziona perché il prodotto non ha il diritto di sostenerla, il significante è l’esatto opposto del significato. Non c’è niente di punk in Cyberpunk 2077, è solo un’altra canzonetta.

cyberpunk johnny silverhand

Torniamo a noi e guardiamo dentro Hi-Fi RUSH. Il protagonista, Chai, nasce come un personaggio ignavo che si rivolge ad una grande corporazione per migliorare la sua vita. Di lì a poco scopre che i cattivi vogliono controllare la mente delle persone per costringerle ad acquistare i loro prodotti. E quindi assieme a una banda di rinnegati come lui intraprende una lotta per arrivare al vertice della corporazione e fermare i loro piani. Temi e dinamiche uguali a quelle di Cyberpunk 2077 solo narrate con un tono scanzonato, ironico, leggero, senza prendersi sul serio insomma. Ma a differenza del gioco di CD Projekt, Hi-Fi RUSH riesce ad essere sorprendentemente coerente e credibile, perché il prodotto che lo contiene fa da amplificatore ai temi trattati. C’è continuità, il prodotto e l’opera suonano la stessa bellissima canzone. Del testo ne abbiamo già discusso, ma fa bene ripeterlo: è un’invettiva contro un mercato marcio che basa la propria esistenza su sistemi predatori, che propone e ripropone gli stessi comodi modelli, che santifica l’inganno e mette da parte la qualità, che sacrifica tutto sull’altare del guadagno.

In tutto questo Hi-Fi RUSH è punk, è l’anticristo, come cantavano i Sex Pistols.

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  • Luigi "abyssent" Peccerillo

    Nato nell'agglomerato urbano di Neo-Caserta, passa il suo tempo in un tumulo digitale tra videogiochi, film vecchi e dischi tristi.

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