Guida per capire (e amare) Undertale — Vol. VII — FIN

AVVISO AI LETTORI: questo articolo contiene forti SPOILER sulle vicende e gli avvenimenti di Undertale.

Si può dire che tutto finisca laddove è cominciato. Flowey/Asriel ci accoglie appena cadiamo nel monte Ebott, tentando di ucciderci; Asriel/Flowey ci abbraccia amorevolmente appena prima di salutarci e perdere i suoi ricordi.

Alla fine di questo lungo viaggio (e di questa “guida”), non posso iniziare che da colui che, più di altri, è stato il metro dello spessore etico che ha caratterizzato la nostra avventura. Qual è il senso della parabola di questo personaggio? Cosa ci hanno voluto comunicare le tante personalità incontrate nell’Undeground? Qual è il lascito morale dell’opera di Toby Fox?

Asriel Dreemurr, anagramma di “serial murderer”: il principe dei mostri è diventato esattamente questo.

“DON’T KILL AND DON’T BE KILLED!”

Durante il titanico scontro contro Asriel nel finale della Pacifist Run, il principe dei mostri, col passare del tempo, comincia a perdere ogni inibizione, mostrando le reali intenzioni dietro la sua lotta apparentemente spietata per distruggere tutto, ancora e ancora. In realtà, Asriel non vuole la nostra eliminazione, bensì spera che, mediante la nostra determinazione (e dunque la facoltà concreta di ricaricare a ogni morte) Frisk continui a tenergli compagnia, tornando ogni volta. Asriel si sente solo.

In un mondo alla sua completa mercé, privo di ogni segreto (rammento quanto detto da Flowey nel dialogo prima del finale della Genocide), questo suo potere divino ha inaridito ogni forma di coinvolgimento emotivo; mentre noi, Frisk/giocatore, quali unici altri depositari del potere della determinazione, possiamo “comprenderlo” e condividere quell’enorme “recinto di gioco”. Ecco, quindi, perché a un certo punto della battaglia Asriel, come Toriel, scientemente evita di colpire Frisk.

Una no hit della second fase dela battaglia finale contro Asriel.

L’avevo già sottolineato, Asriel rappresenta in pieno l’esaltazione (e la dannazione) della volontà di potenza, lo sfruttamento totale di un processo di dominio della realtà. Un essere che, dando fondo alle possibilità che ineriscono il proprio status oltremondano, riduce lo spazio circostante nel proprio playground in cui fare e disfare. Tutto questo rende, però, Asriel sostanzialmente altro rispetto alle individualità di quel mondo, privandolo, in tal modo, di specimen con i quali confrontarsi.

Comprendere la consustanzialità di chi ci circonda è il primo passo per avere nozione di se stessi. Da questa consapevolezza discende il rispetto e la mutua partecipazione al dolore altrui; senza di questa, vige la legge della sopraffazione, alberga un’apatica indifferenza verso il prossimo, frutto della inevitabile insipienza di ciò che risiede nell’animo altrui. Considerare gli altri-da-sé come materia inerte di cui disporre: ecco ciò a cui era giunto Asriel.

Se in qualche modo riecheggiano note evangeliane, sì, avete ragione. Così non fosse, puppatevi 10 minuti di NGE, che male mai non fa.

Serviva un essere parimenti “divino”, come Frisk/giocatore, per permettergli di scorgere un individuo al di fuori di sé, per essere ragguagliato dell‘orizzonte solipsistico in cui il giovane mostro si muoveva. Scornandosi con la determinazione altrui, una determinazione votata a proteggere quei boccioli fragili e non a farne oggetto, Asriel guarda dentro se stesso; e ne scorge la vacuità.

Arresosi alla determinazione di Frisk, Asriel torna alla sua forma primigenia e qui apre definitivamente il suo cuore: un essere umano rancoroso, fuggito dal proprio mondo lì nel Monte Ebott, lo aveva trascinato in un vortice di violenza e sopraffazione, sentimenti sconosciuti nel mondo dei mostri. Quell’uomo lo conosciamo, è Chara.

Solo la determinazione può avere la meglio su un’altra determinazione: ennesima trovata di Fox, per la prima volta siamo di fatto invincibili di fronte a un Asriel disperato, e i nostri HP non scendono a 0, ma residuano con cifre decimali piccolissime.

Toby Fox non cela il suo pessimismo nei confronti della condizione umana. I mostri, da tradizione il malvagio spauracchio del docile uomo, sono stavolta le creature indifese messe in pericolo dagli uomini, esseri molto più potenti e per niente restii a utilizzare in maniera disinteressata quella forza.

Ed è per questo che in tale frangente Asriel, pronuncia un accorato discorso, ben lontano dal semplicistico candore che la pacifist potrebbe fare subodorare.

Oh, and Frisk…Be careful in the outside world, OK? Despite what everyone thinks, it’s not as nice as it is here. There are a lot of Floweys out there. And not everything can be resolved by just being nice. Frisk… Don’t kill, and don’t be killed, alright? That’s the best you can strive for.

Nell’opera dell’esaltazione del dialogo e della comprensione, Toby Fox non è così ingenuo da ritenere che il “mondo là fuori” sia come vorremmo che fosse. Ecco che allora il monito di Asriel è sì intriso di pragmatismo e consapevolezza, ma traspare da esso la dolce risoluzione nel “fare ognuno la sua parte, per quanto piccola essa sia”.

Quanto possono trasmettere pochi pixel.

Avviene così il grande capovolgimento del “KILL OR BE KILLED” che Flowey, nel cieco furore derivante dalla sua annichilente potenza, ha sventolato in lungo e il largo. La comprensione di altre alterità permette a Flowey di scoprire il valore dell’esistenza: racchiuse in lui nel momento in cui assorbe le anime di tutti gli esseri dell’Undergound, quei mostri appaiono ora come monadi di istanze e prerogative autentiche, tali da renderle ciascuna unica. Valore dell’esistenza che, tuttavia, è costantemente messo a repentaglio dai vuoti egoismi dei “tanti Flowey lì fuori”.

Per questo l’unica cosa che si possa fare, in fondo, è “non uccidere” (comprendi e rispetta il prossimo) e “(cercare di) non essere ucciso” (sopravvivi, in tutte le accezioni possibili).

“There are a lot of Floweys out there”

Ritorno, dunque, alla meccanica più conosciuta di Undertale, la possibilità di uccidere o meno i mostri che si incontrano. L‘alternativa concessa non è semplicemente piegata a scopi ludici (in un certo senso affini a quelli rintracciabili in un normale gioco di ruolo), ma è riconosciuta al fine di problematizzare l’agire del giocatore. Tutto ciò che si compie in Undertale è sempre foriero di conseguenze, per se stessi o per gli altri personaggi di gioco; in altri termini, le nostre azioni non sono mai prive di significato. E, diversamente da tantissimi videogiochi, queste conseguenze non possono essere lavate con un colpo di spugna, con un “caricamento precedente”. Ecco come Fox fa avvertire il peso delle scelte.

Similmente alla “vita vera”, Undertale riflette questa rete di legami e conseguenze, nella quale a ogni azione corrisponde una reazione: l’opera di Fox svolge un ruolo pedagogico di approssimazione fra la finzione del gioco e la realtà materiale in cui tutti viviamo.

Undertale vuole che il giocatore avverta le conseguenze delle proprie azioni, anche in una maniera mediata o non intuitiva. Qualora, in una Neutral, uccidessimo Undyne o Mettaton, l’insicura dottoressa Alphys sparirebbe dal gioco, probabilmente commettendo suicidio.

Ciò viene significativamente inoculato nel giocatore sin dal primo momento in cui mette piede nell’Underground. Il primo impatto con il mondo di gioco è spietato, subdolo, cinico ma in un certo senso familiare; tanto nel gioco, come nella realtà di tutti i giorni, siamo abituati a fare i conti con un ambiente “ostile”.

Flowey ci accoglie e ci prepara al gioco, con il suo KILL OR BE KILLED, ci instilla la convinzione che anche Undertale sarà come tutti i videogiochi, come la “vita vera”, homo homini lupus. Tutto questo non è casuale, Toby Fox vuole che il giocatore/persona reale oltre lo schermo trovi un ambiente conosciuto. Dobbiamo avvertire gli stessi impulsi, i medesimi dubbi: il mondo di Undertale deve approssimarsi a quello reale, senza filtri, senza edulcorazioni. Il prerequisito del procedimento catartico consiste nell’approssimazione del contesto di finzione a quello reale.

E la prima conseguenza di questo procedimento consiste nel dubitare di Toriel. Ho già parlato del significato della battaglia contro la “madre” (perché sì, Fox spinge a nullificare il rapporto materno); quello che mi preme sottolineare ora è come il giocatore possa arrivare a ragionare in termini negativi nei confronti della regina proprio per le condizioni poste da Fox con l’incontro con Flowey e con il mindset connaturato nel giocatore e, soprattutto, nell’uomo.

Flowey ci ha dato il “pretesto” per non credere fino in fondo alla buona fede di Toriel, la quale, come già detto, funge da tutorial non solo da un punto di vista ludico ma prima di tutto etico. Quanto siamo disposti a estraniarci dalle abitudini inveterate con cui giudichiamo il reale? Quanto siamo propensi a cedere una parte delle nostre prerogative, dei nostri vantaggi, dei nostri timori, per aprirci al prossimo?

Il timore per il diverso, l’abbarbicarsi intorno uno status quo pre-costituito, una condizione di pregiudizio che ammanta la nostra visione del mondo: Undertale parla all’uomo contemporaneo in modo molto più incisivo di quanto possa credersi.

E Toby Fox fa di tutto per sottolineare, con i mezzi propri del videogioco, quanto sia proficuo cedere alla semplificazione del reale, e dunque al violento disinteresse. Eliminando il problema (cioè, uccidendo l’ostacolo) aumenta il Level of Violence, quindi si diventa più forti e capaci di sconfiggere nemici più potenti; ma è risparmiando (e, dunque, comprendendo l’ostacolo) che si diventa più “ricchi” — come prosaicamente simboleggiato dal fatto che il grosso del danaro, in Undertale, lo si ricavi proprio dallo spare dei mostri.

La grande lezione di Undertale si realizza laddove il giocatore comprende che la realtà va affrontata senza scorciatoie, consapevoli della presenza dell’altro, un altro che si percepisce come identico a noi nonostante le differenze. Ed è in questo modo che acquisisce la sua più pregnante fisionomia il concetto di determinazione: è mediante questa che possiamo sconfiggere esseri incomparabilmente superiori a noi. Ma non sfruttandone la forza o l’annichilimento, bensì con abnegazione, dialogo, sacrificio, apertura.

Undertale ci regala molti esempi di questo atteggiamento dell’animo. Possiamo pensare ai 25 spare necessari per non uccidere Toriel, possiamo alludere al concetto di caricamento e alla perseveranza richiesta per “vincere un ostacolo”, possiamo pensare alla fatica e, perché no, al tedio che esige la comprensione di certi personaggi, possiamo rifarci alla fuga necessaria per risparmiare Undyne.

Siamo disposti ad aiutare chi prima era disposto a porre fine alla nostra vita?

L’opera di Fox rifugge qualsiasi facile riduzione, tipica del videogioco, e ci mette di fronte un mondo che, per quanto strambo e irrealistico, è molto più vicino a noi di quanto si possa pensare.

Ed è lungo questo percorso che si realizza quella catarsi che in Undertale principia sin dal primo momento. L’imbracciare o meno quella determinazione, ma anche il decidere come utilizzarla: sono gli espedienti attraverso i quali si realizza il processo di responsabilizzazione del giocatore, e da ultimo dell’uomo.

“You think are above consequences?”

Ecco perché la Genocide Run è uno degli esperimenti videoludici più importanti di sempre: mette come poche altre esperienze interattive il giocatore di fronte alle proprie responsabilità, facendo percepire allo stesso, sulla propria pelle, le conseguenze di una determinazione di segno opposto.

“Posso, dunque devo”.

Queste splendide parole di Sans, durante la sua bossfight, segnano perfettamente le “deviazioni” in senso oggettivistico verso cui può dirigersi la determinazione. La stessa mutuata dal giocatore per portare a termine la Genocide (cosa, se non la determinazione, ha permesso al giocatore di vincere e uccidere Undyne e Sans?), la stessa utilizzata da Asriel per dominare il mondo di Undertale.

Alcune questioni in Undertale non possono che rievocare nella memoria importanti pagine di Hannah Arendt, in primis quelle de “La banalità del male”. Come ricorda anche Alessio La Greca: “Più uccidi, più diventa facile distaccarsi. Più ti distacchi, meno provi dolore. E avrai meno difficoltà a fare del male agli altri.”

Fox, attraverso la Genocide, ci permette di esperire con le forme del videogioco gli esiti distruttivi di una determinazione disinteressata. Ma, senza alcun paternalismo, non punisce il giocatore, bensì lo lascia attonito di fronte alle conseguenze che esso stesso ha tenacemente cagionato. Undertale non vuole propinare lezioni morali, non conduce per mano in un’esposizione didascalica e manichea. Il giocatore deve fare i conti con se stesso: è nel suo foro interno che si deve consumare la vera battaglia.

“Questo è il fine ultimo di Toby Fox: permettere al videogiocatori di giudicare se stessi, come persone e come giocatori, tramite la propria storia. I videogiocatori sono cattivi per natura, disposti a tutto per ottenere quello che vogliono? Uccidere essere digitali senza remore è un segno di mancanza di empatia? Ad eccezione di Undertale, che offre una piacevole ricompensa, quanti giocatori sarebbero disposti ad affrontare un altro videogioco in maniera pacifica senza ottenerne qualcosa in cambio? Fox non offre risposte definitive a queste domande, ciascuna persona potrà trovare la propria dentro di se.” — Mattia Portunato

You think are above consequences?” ci chiede Chara, qualora cercassimo di ricreare il mondo che abbiamo appena distrutto. No, non lo siamo, e l’anima che dobbiamo cedere per riavere indietro quel mondo è lì a sottolineare come tutto ciò che si faccia abbia ripercussioni. Il vento ululante nel buio infinito post erase accompagna i sensi di colpa che “si aggrappano sulla nostra schiena”. La catarsi è completa.

“You are filled with determination”

Del resto, Toby Fox rimette completamente in capo al giocatore la decisione di seguitare o meno a “curarsi” di questi personaggi che abbiamo incontrato in questa “guida”: la determinazione è attributo strettamente personale dell’utente che, hic et nunc, sta giocando Undertale. Allora, personalissime sono le conseguenze che in quel mondo di Undertale capitano. La responsabilità dei loro destini è propria del giocatore nella misura in cui il giocatore, pur comprendendone i caratteri, decide delle loro esistenze, con un colpo di spugna o un lavorio faticoso ma necessario. Ma ormai dovrebbe esser chiaro, la critica al videogiocatore e al suo approccio “nichilista” è solo il primo gradino.

Parallelamente, il discorso foxiano viene traslato sulla persona del giocatore. Nella vita di tutti i giorni, quanto siamo disposti a superare la naturale ostilità che ci separa dal prossimo e quanto, piuttosto, siamo propensi a fare breccia in quelle “mura dell’animo” che ci separano gli uni dagli altri? Non è molto più facile per tutti noi trincerarci dietro le “nostre buone ragioni” e attaccare chi ci circonda in tutti i modi in cui la società moderna lo transige, spaziando da un quotidiano gesto di maleducazione, passando per l’indifferenza, fino all’insulto via social?

“Tutte le creature che abitano il mondo sotterraneo sono infatti dei falliti, esseri con dei sogni, dei desideri e delle speranze che non riescono a realizzare. Ad esempio sarà possibile incontrare mostri segretamente innamorati del protagonista ma incapaci di esprimere le proprie emozioni, fantasmi afflitti da una depressione esistenziale o addirittura comici falliti il cui unico sogno è far ridere il prossimo. Il Pacifismo di Undertale si può riassumere in questo: riuscire a comprendere i sogni e le speranze di esseri diversi da noi, dei falliti incapaci di reagire e, tramite la propria determinazione, aiutarli a rialzarsi.” — Mattia Portunato

L’abbiamo detto, “uccidere il nemico” è molto più semplice. Rabbuiati dalla connaturata incomprensibilità dell’altro, siamo propensi a porre al centro del nostro orizzonte d’azione la nostra individualità e a “de-personalizzare” l’ambiente che ci circonda: gli altri sono meri attributi della nostra persona, pertanto alla nostra mercé. È quello a cui era arrivato Asriel, come abbiamo visto. Avvicinarsi all’altro, patirne le conseguenze, difenderlo dagli ammanchi… il processo di comprensione è lento e spesso doloroso. Molto più semplice è ridurre la complessità del reale.

Ma Undertale ci insegna il valore della determinazione e il valore delle “piccole cose”, che ci avvicinano a una meta più ambita. Questo è il significato recondito delle frasi che compaiono nei save point. A riempirci di determinazione, ogni volta, non sono i grandi avvenimenti, bensì quegli apparentemente insignificanti gesti, quelle azioni routinarie, quella vita che si consuma in un battito di ciglia e che rimane spesso inosservata: Toby Fox invita ad aprire gli occhi su un mondo che, talvolta in maniera invisibile, porta avanti una battaglia silenziosa con una grazia eroica, e tutti noi dovremmo trarre ispirazione da ciò per combattere la “nostra guerra”.

“Sono i piccoli gesti di ciascuno di noi a rendere il mondo un posto migliore e che il riuscire a mantenere una mente aperta, capire gli altri, e accettare che esistono altri punti di vista ci permette di comprendere meglio il mondo nel quale viviamo e come trasformarlo.” — Mattia Portunato.

Ecco allora che sì, è faticoso “risparmiare” Toriel, è innaturale forse crederle… ma Toriel è come noi, è stata una bambina con gioie e speranze, ha affetti che le vogliono bene, coltiva progetti di vita. Ed è nostro compito e nostra responsabilità, in quanto facenti tutti parte di una stessa comunità senziente che non ha scelto di venire a esistenza, aprirci a lei, un piccolo passo alla volta. Questo è il senso migliore della determinazione foxiana.

In fondo è questa la reale eredità di questo enorme esponente dell’arte videoludica. Undertale ci ha resi un po’ più attenti alle parole, spesso rimaste inascoltate, ai gesti, spesso ignorati, ai silenzi, spesso fraintesi. Volgere, ogni giorno, il nostro cuore verso di esse è uno dei gesti di ribellione più mirabili che si possano compiere.

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