Frequenza Critica racconta: Resident Evil — Parte 3

Nella seconda parte ho aperto una parentesi per parlare di uno degli spin off meglio riusciti tra i vari Resident Evil col sottotitolo improbabile. In questa terza e ultima parte la parentesi in questione riguarda Resident Evil: Revelations, originariamente uscito su Nintendo 3DS e poi convertito in seguito su molte altre piattaforme in alta definizione. Revelations è considerato come una sorta di ritorno alle origini della saga, definizione che in un certo senso è coerente con il blando ritmo e il backtracking esagerato di certi episodi appartenenti alla vecchia scuola, ma i rimandi si fermano lì. Il gioco offre una serie di corridoi più o meno lineari ambientati in una nave cargo sperduta nell’oceano, con dei nemici poco vari a riempire i viaggi in andata e indietro. Il forte backtracking e il level design sottotono — senza manco il ritmo e il sistema di combattimento di un Resident Evil 5 a tenere insieme il tutto — fanno sì che Revelations sia inutilmente diluito, anche se la trama è sorprendentemente interessante e ci sono notevoli rimandi agli altri capitoli. Capcom ha anche sviluppato un seguito strutturato meglio e ho intenzione di discuterne in un futuro articolo. Ma adesso devo parlare del vero ritorno alle origini.

Resident Evil 7: Biohazard

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Come rifiutare l’invito di una famigliola così accogliente?

Definisco il settimo capitolo come il vero ritorno alle origini perché questo episodio, il primo sviluppato appositamente per la generazione appena conclusa, è sostanzialmente il primo Resident Evil con una rinfrescata e una mano di vernice. Messa da parte la fanatica azione dei tre titoli precedenti, Resident Evil 7 riporta il gameplay nell’ottica di un horror esplorativo, intervallato da combattimenti più lenti e metodici, porte chiuse da sbloccare previo il reperimento di chiavi o la risoluzione di enigmi e una magione come ambientazione. Il protagonista è il nuovo arrivato Ethan Winters, trovatosi suo malgrado nel territorio della famiglia Baker in cerca di sua moglie Mia e rimastro intrappolato all’interno della loro casa senza possibilità di fuga. Quello che segue è il solito mix di risposte da trovare, speranze presto distrutte e situazioni sempre più malate, alternando l’azione in diverse locazioni della proprietà ed espandendo le vicende con i vari documenti sparsi in giro.

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Jack è troppo impegnato col lavoro, quindi Ethan si è offerto di disinfestare la casa.

A livello concettuale il titolo è pensato comunque per le generazioni moderne: i momenti esplosivi non mancano e orientarsi non è troppo complicato, grazie anche alle esaustive mappe messe a disposizione, ma non cerca neanche di accompagnare il giocatore come visto nei Resident Evil immediatamente precedenti. Sono pure presenti degli enigmi decenti e trappole davvero ben congegnate, anche se scordatevi quei momenti di blocco totale tipici dei capitoli old-school: per capire cosa fare basta sempre una breve analisi degli ambienti e una certa cautela nel muoversi. Diciamo che la difficoltà maggiore è arrivare effettivamente vivi a destinazione, in quanto gli ostacoli più presenti saranno i nemici. A tal proposito, Resident Evil 7 non spicca né per varietà di abomini da affrontare, né per dei combattimenti particolarmente esaltanti, anzi: esattamente come nelle origini della saga, l’unico modo per fare danni corpo a corpo è un lento coltellino da sopravvivenza e tenere la distanza coi nemici tra un colpo di pistola e l’altro è la chiave per vincere gli scontri.

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Tutto questo è congegnato in funzione di un titolo dal sapore assolutamente vecchia scuola, ma senza quelle rogne tipiche delle generazioni andate: la telecamera è in prima persona, ci si muove come in qualsiasi altro sparatutto, sono permessi costanti checkpoint e salvataggi illimitati e la gestione dell’inventario è fluida e priva di intoppi. Il risultato è un vero tributo a quello che è stato Resident Evil, impostato in modo tale da essere perfettamente fruibile anche oggi senza dover rinunciare assolutamente a nulla dell’esperienza originale. La stessa linea di pensiero ha portato Capcom a sviluppare i nuovi remake.

Resident Evil 2 Remake

Resident Evil 
Il novellino diventato élite è ritornato a essere un novellino.

Il remake del primo episodio è stato un lavoro svolto dignitosamente: rinfresca l’aspetto tecnico per portarlo a uno standard più recente senza stravolgere nulla della struttura originale, mantenendone i pregi e i difetti di conseguenza. Alcune modifiche al modello di partenza ci sono, e sono pensate principalmente per i giocatori veterani in modo da coglierli alla sprovvista, ma per il resto l’esperienza di gioco è grossomodo la stessa. Il remake di Resident Evil 2, forte del nuovo motore grafico, decide di cambiare le cose e riporta la prospettiva dietro alla spalla di Leon, offrendo una riedizione dell’originale sotto una diversa prospettiva e con tutta una serie di ammodernamenti. Ne è uscito un titolo che è in grado di strappare più di un sorriso ai fan, i quali avranno modo di rivedere la stazione di polizia di Raccoon City tirata a lucido (si fa per dire), ma che permette anche a chi non ha mai avuto modo di giocare Resident Evil 2 di ottenere un’esperienza perfettamente fruibile e curata nei minimi dettagli. Il level design è lo stesso dell’originale e da esso deriva un’esplorazione basata su un backtracking ben pensato, che stimola il giocatore a sfruttare il suo senso dell’orientamento.

Resident Evil 
Ambienti bui e claustrofobici sono tornati a essere il pane quotidiano di Resident Evil.

La gestione oculata delle risorse riprende a essere uno dei punti cardine del gameplay: in questa iterazione troviamo i coltelli nel ruolo di oggetti multiuso. Si rompono in combattimento dopo diversi utilizzi, oppure possono essere sacrificati per liberarsi dalla presa di un nemico, ma alcuni lucchetti dovranno essere aperti forzandoli con un coltello. Unita alla cronica scarsità di munizioni della prima metà di gioco, la gestione dei coltelli è quello che serve per considerare attentamente se sia il caso di combattere o piuttosto evitare e procedere oltre senza sprecare risorse, esattamente come avveniva nei primi Resident Evil. Gli zombie impiegano tanto ad andare giù e c’è sempre la possibilità che si possano rialzare dopo qualche momento, e naturalmente non posso non citare il ritorno del Tyrant come entità ostinata sempre pronta a perseguitarci nel corso dell’avventura.

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Il lavoro di rifacimento è davvero notevole, in particolar modo nella resa del sistema di luci e ombre.

Questo tipo di remake, quello che conserva con rispetto lo spirito e la struttura dell’originale senza apportare modifiche troppo drastiche, è un esempio da manuale su come debba essere svolto un lavoro di rifacimento. E infatti, Capcom ha pensato bene di spremere la mucca e pubblicare il remake del terzo Resident Evil dopo poco tempo, imparando nel frattempo assolutamente nulla.

Resident Evil 3 Remake

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Sguardo di disapprovazione.

Nominato senza sottotitolo “Nemesis” per distinguerlo dall’originale, il remake di Resident Evil 3 è stato affidato a un team di sviluppo diverso da quello precedente, e il risultato si vede. Resident Evil 3 ha scelto la via più comoda, riciclando molti contenuti dall’ultimo titolo e apportando quelle modifiche drastiche di cui citavo poc’anzi, cosa che ha rotto il bilanciamento nell’esplorazione e gestione delle risorse raggiunto da Resident Evil 2. Ora Jill ha sempre un coltello indistruttibile a disposizione, che sembra figo fino a quando non ci si accorge che non è possibile liberarsi dalla presa di un nemico senza prendere danni, ma non solo: il suo utilizzo come strumento di offesa è estremamente limitato e situazionale. Si, esiste la possibilità di schivare, ma come nell’originale il suo utilizzo è tutt’altro che intuitivo ed efficace. Sia chiaro, non è che Resident Evil 3 sia un titolo brutto da giocare, ma il remake precedente aveva ottenuto uno splendido bilanciamento delle meccaniche di gioco, che qui non è stato mantenuto.

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Si, ci sono comunque un sacco di schifezze nel gioco, e questo è bene.

Quello che è veramente offensivo è il lavoro di rifacimento vero e proprio, perché se da un lato troviamo un Nemesis che porta in campo nuovi attacchi e un design davvero accattivante, dall’altro la struttura del Resident Evil 3 originale è stata rivista in negativo. Il level design di certe sezioni è stato reso più semplice e lineare, e come se non bastasse intere sezioni di gioco sono state rimosse — ad esempio il parco e la torre dell’orologio — e con esse alcuni filmati e boss. In sostanza, in netta contrapposizione a quanto svolto col remake di Resident Evil 2, il titolo manca di mordente: non è abbastanza fedele per vincere l’effetto nostalgia e chi invece è nuovo alle vicende di Resident Evil 3 troverà un titolo non per forza carente, ma sicuramente non allo stesso livello. Capcom, fai di meglio la prossima volta, e magari il multiplayer online lasciamolo perdere.


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E ora cosa ci riserva la saga? Resident Evil Village è un seguito diretto alle vicende di Ethan Winters, il quale sembra avere molti rimandi a Resident Evil 4: a partire dal villaggio scelto come ambientazione che tanto ricorda gli assedi dei Ganados, per arrivare alla figura enigmatica del mercante onnipresente nel corso delle ambientazioni, l’impressione è che vogliano ricalcare la stessa impronta stilistica. Non a caso, Capcom ha da poco annunciato una versione VR per Resident Evil 4, dopo la quale è lecito aspettarsi un remake (si spera) al livello di Resident Evil 2. Di sicuro il franchise può ancora avere molto altro da dire grazie e, come uno zombie che continua a rialzarsi, è sempre pronto a tornare in gioco.

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