Frequenza Critica racconta: Resident Evil — Parte 2

Nella prima parte di questo speciale abbiamo velocemente ripercorso la fase classica dei Resident Evil, quelli basati sulle inquadrature fisse e i fondali disegnati, ma prima di passare all’era 3D permettetemi di aprire una piccola parentesi.

Resident Evil

Resident Evil Code: Veronica è uno spin off originariamente uscito su Dreamcast che si può considerare l’ultimo dei classici, nonché il primo che passa totalmente alla tridimensionalità pur mantenendo le schermate statiche. Spin off per modo di dire, in quanto inizialmente concepito come seguito alle vicende di Resident Evil 2 e con Claire come protagonista. Ad ogni modo Code: Veronica è stato un system seller per il Dreamcast e non senza motivo: è facilmente il più lungo della serie originale, con un level design ancora più intricato che in passato e una sfida più impegnativa rispetto a quanto proposto nel secondo capitolo, nonché un titolo capace di spremere ai limiti le potenzialità della console di SEGA. Se vi siete recentemente avvicinati al brand e volete provare uno degli spin off più riusciti — a differenza dei fetenti Dead Aim, Survivor e Operation Raccoon City — trovate Code: Veronica X su quasi tutte le piattaforme odierne. Ma ora direi di ritornare sul filone principale, con l’episodio che più sconvolse il settore.

Resident Evil 4

Resident Evil
L’assedio nel villaggio è uno dei momenti più brillanti del titolo, e si incontra nei primi dieci minuti.

Resident Evil 4 è considerato oggi uno dei videogiochi, se non il videogioco, che ha introdotto il mondo a quello che sarà poi lo stile dei vari Gears of War, Dead Space, Vanquish e tutto il filone dei giochi d’azione in terza persona con la telecamera puntata dietro la spalla del protagonista. Il cambio di prospettiva in 3D ha inevitabilmente portato la direzione della serie verso uno stile più caciarone e veloce che in passato, in più ha reso evidente quella narrativa scanzonata di serie B che ha sempre caratterizzato la serie. A cominciare dalle battutine tanto fuori posto quanto divertenti che irriteranno fortemente un glaciale Leon, per poi proseguire con un Ramon Salazar sempre pronto a bucare lo schermo a ogni sua apparizione, la trama generale ci vede recuperare la figlia del presidente degli Stati Uniti (?) rapita da un culto fanatico sperduto in un anonimo villaggio spagnolo. Questa premessa da Leon best friends forever col presidente a salvare la principessa Peach è tutto ciò che serve per vendermi il biglietto in prima fila, ed effettivamente i miei dubbi se mai possa prendere sul serio tutto questo sono stati spazzati via nel momento in cui, molto presto nell’avventura, Leon commenta il cadavere di una donna inchiodata al muro notando che in questo villaggio decrepito esiste la parità di genere. Squisito.

Resident Evil
Un tipico sabato sera prima della pandemia, quando ancora si poteva far festa nei locali.

Il gameplay, come ben sappiamo, è quello di uno sparatutto dal ritmo sotto i tacchi e un particolare accento sull’esplorazione. Abbandonata la struttura a compartimenti in cui ci si ritrova a rigirarsi continuamente attorno, Resident Evil 4 preferisce una progressione più lineare in cui si avanza nelle ambientazioni massacrando chiunque si ponga di fronte, seppure spesso e volentieri il level design riesce a creare situazioni molto interessanti. Intendiamoci, non stiamo parlando di corridoi dritti, anzi: è necessario guardarsi bene in giro in cerca di risorse da raccogliere, denaro e oggetti preziosi, in modo tale da gestire l’equipaggiamento di Leon e potenziare le armi a disposizione. L’impronta dei capitoli originali c’è, in quanto il gioco abbonda di porte chiuse e bivi da esplorare, ma è palese dove bisogna andare per proseguire e gli enigmi sono a prova di cretino. Ma quello che ha fatto più discutere i fan è stato il rinnovato sistema di combattimento.

Resident Evil
Un colpo in faccia e il tizio incappucciato di nero si lamenterà dal dolore, aprendo l’occasione per colpire tutti e tre con un unico calcio rotante.

I controlli sono pressoché gli stessi che in passato, compresa la limitazione di restare immobili mentre si mira, ma il mirino ovviamente non è più automatico: precisione e riflessi pronti sono le caratteristiche base su cui si fondano le sparatorie, perché in base a dove vengono colpiti i nemici è possibile stordirli. Avvicinandosi al nemico stordito è anche possibile effettuare un potente colpo corpo a corpo, utile per fare più danni di una fucilata e per respingere lui e tutti i suoi compari vicini. Gestire lo spazio a disposizione, sapere quando fermarsi a sparare e riuscire a riposizionarsi sono le classiche caratteristiche del modo di combattere di Resident Evil e l’aggiunta del sistema corpo a corpo contestuale ha permesso di imprimere grinta alle fasi più concitate; in particolar modo, i boss restano di alto livello come al solito e il gioco propone una variegata gamma di trappole e nemici da affrontare.

Resident Evil
LEOOOOOON! HEEEEEEEEEEEEEELP!

I pregi sono stati contrapposti anche da una serie di problemi non da poco. Una parte consistente della campagna è una escort mission, dovendosi portare appresso Ashley nella speranza di non infilarle un proiettile per errore o vederla farsi bellamente rapire portandoci così al game over. Il ritmo è una dannata altalena visto che bisogna fermarsi in continuazione a rompere casse e raccogliere munizioni, e non parliamo della gestione dell’inventario a caselle che neanche The Witcher. L’introduzione al mondo dei quick time eventi da parte di Resident Evil 4 è qualcosa di criminale, così come è criminale come poi tutti gli altri sviluppatori abbiano seguito a ruota con la stessa brillante idea. Insomma, non tutti i momenti sono riuscitissimi e bisogna sopportare l’obsoleto sistema di controllo (mai sistemato davvero nel corso delle varie conversioni) prima di iniziare ad apprezzare davvero questo nuovo lato del brand. Tant’è che i capitoli successivi sono stati ancora più divisivi.

Resident Evil 5

Resident Evil
Resident Evil 5 non ha paura della diversità, i nemici adesso sono anche persone di colore!

In realtà non è che ci sia molto da dire sul quinto episodio principale della serie, più che altro perché si limita a semplificare Resident Evil 4 eliminando del tutto gli enigmi da scuola materna, riducendo il numero di oggetti da raccogliere e rendendo l’azione ancora più diretta e lineare. In sostanza, si procede dritti nei panni di un palestratissimo Chris Redfield oppure in quelli della nuova leva Sheva Alomar, sterminando mezza Africa infettata dal nuovo virus Uroborus della Tricell, affiancati da un redivivo Albert Wesker in grande spolvero. Non posso davvero non amare ogni filmato in cui lui appare, col suo volto squadrato, gli occhiali scuri anche di notte e quell’aria da smargiasso che si prende un missile in faccia (spoiler?).

Resident Evil
Si, ma mettilo del collirio ogni tanto.

Non che la semplicità sia per forza un male, sia chiaro. Il ritmo è sostenuto, tornando così ai livelli di RE2, e l’espanso sistema di combattimento permette di effettuare tutta una serie di nuove mosse e combinazioni disponibili col compagno. Inoltre, a differenza di RE4, il compagno gestito dall’IA (o da una seconda persona nel caso si voglia giocare in cooperativa) ha effettivamente le stesse abilità del giocatore e si degna di dare una mano nel corso dell’avventura. Si, l’IA non è perfetta, ma ho spesso trovato le lamentele al riguardo fin troppo eccessive: basta darle una pistola, lasciarle le munizioni appropriate e dirle di restare indietro per coprirci le spalle. Per il resto i combattimenti scorrono che è un piacere e anche la trama ha sorprendentemente dei buoni spunti, aldilà di certe scene eccessive che non possono mancare in un qualsiasi Resident Evil.

Resident Evil
E chi ha detto che una mostruosità deforme non può indossare un bell’abito elegante?

D’altro canto, è innegabile che il fattore atmosfera sia inevitabilmente calato in funzione di uno stile più da polpettone cinematografico, frutto di un periodo storico del settore in cui ogni produzione di alto profilo doveva presentare un’esperienza da blockbuster estremamente lineare e senza cervello. Il risultato è un gioco sicuramente meno riuscito che in passato se ragioniamo in termini tradizionalisti, ma che ho comunque avuto modo di apprezzare in luce delle sue qualità prettamente ludiche. Così come, in netta controtendenza ai più, ho fissato il prossimo capitolo nei miei guilty pleasure.

Resident Evil 6

Resident Evil

Sì, ok, Resident Evil 6 è oggettivamente un gioco mediocre, a essere gentili. La telecamera segue in ritardo i controlli, che in questa iterazione della saga sono ancora più macchinosi che in passato, la gestione dell’inventario è tutt’oggi un mistero, l’horror è andato a farsi benedire e diverse scene sembrano provenire direttamente da Battlefield. Qualcosa è andato storto in fase di pianificazione perché Resident Evil 6 non sembra avere una reale coerenza stilistica, anche a causa dell’aver suddiviso il gioco in tre campagne distinte (quattro se contiamo la mini-avventura di Ada) che si incrociano in determinati momenti.

Resident Evil
A differenza dei due titoli precedenti, il compagno non può morire: meglio dal punto di vista del gameplay, ma la sua presenza è ora meno influente.

L’episodio di Leon e Helena è quello più atmosferico: toni cupi, vicoli abbandonati e zombie a non finire da prendere a calci in faccia, ed è anche quello con un intreccio narrativo davvero niente male — sostanzialmente il più simile a quanto già visto nel corso della serie. La campagna di Chris e Piers è niente di più di un’americanata di stampo militare, si svolge anche sotto la luce come in Resident Evil 5 e non ha uno straccio di level design, ma il ritmo serrato la fa scorrere rapidamente e l’ultima parte riesce addirittura a diventare interessante. La storia di Jake e Sherry (quest’ultima ormai cresciuta rispetto alle avventure in Resident Evil 2) ricicla con l’Ustanak l’idea di un nemico persistente come Nemesis ed è quella che mette meglio in risalto i nemici che si evolvono in base a dove vengono colpiti e l’espanso sistema di combattimento melee di RE4 e RE5. Alla meglio possiamo dire che Resident Evil 6 si lascia giocare, ma non è esattamente un capolavoro per definizione tecnica e anche pad alla mano.

Resident Evil
Notare il davvero poco appropriato calcio alto di Sherry a destra dell’Ustanak.

Eppure, non l’ho schifato in assoluto come la maggior parte dell’utenza; al contrario, la folle opera di Capcom è un tributo a tutto il trash della saga condensato in un’unica epica avventura da venti (claudicanti) ore. Insomma, Resident Evil 6 è una cascata di fan-service all’ennesima potenza intervallata da numerosi boss, i quali mantengono la tensione e l’adrenalina alle stelle come da tradizione. Le buone idee ci sono, ma è evidente che il processo di sviluppo non sia stato esattamente dei migliori e lo dimostrano le numerose grane che affliggono il gioco.

Nonostante tutto, una volta fatta l’abitudine ai controlli e venuti a patti col fatto che Resident Evil 6 è un titolo profondamente diverso dai predecessori, la saga è arrivata a concludere la maggior parte dei nodi narrativi in maniera più che degna. Nel corso della terza e ultima parte di questo articolo passeremo alla generazione seguente con il fresco colpo di spugna che Capcom ha dato alla saga, ripartendo da zero per concepire Resident Evil 7.

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