La seconda parte riguarderà titoli che, lo dico fin da subito, hanno in comune una lamentela generale: l’innovazione è pari a zero. Sì, nel corso dei capitoli ci sono state modifiche e aggiunte al sistema di gioco introdotto da Far Cry 3, ma nella maggior parte dei casi la solfa è sempre la stessa. Non è un male a priori, ripetere un’attività di buona qualità non dovrebbe rappresentare un problema di per sé, ma quando la ripetizione va fuori controllo la pur buona ossatura del gameplay inizia a puzzare di chiuso. Si tratta certamente di un modello economico solido per Ubisoft, ma la sindrome del troppo stroppia si fa certamente sentire nel momento in cui posso avviare un Assassin’s Creed, un Far Cry o un Watch Dogs e avere la stessa identica lista di cose da fare.
Far Cry 4

Nonostante la premessa in alto, il quarto capitolo della serie è personalmente il mio preferito, e quello che ritengo meglio riuscito nella generazione moderna. Far Cry 4 prende tutto quello che c’è di buono dal precedente episodio, diversifica meglio le ambientazioni e prova a dare spessore narrativo attraverso l’ambivalenza delle due fazioni con cui il protagonista Ajay Ghale si ritroverà a collaborare. Provare non vuol dire riuscire, e infatti la narrazione di Far Cry 4 commette lo stesso errore del precedente episodio nel non portare da nessuna parte.
Mi spiego meglio: tra le varie questline secondarie incontriamo due turisti sballati intenti a provare qualsiasi allucinogeno nativo della regione. A ogni missione veniamo drogati, dobbiamo attraversare il solito livello sotto effetto di allucinazioni e filtri di Instagram e, piuttosto che prendere a schiaffi i due responsabili della fattanza non richiesta, siamo costretti a guardarli mentre bofonchiano due vaghe parole, per poi salutarli e prendere i punti esperienza e la skin per il fucile. Diverse missioni secondarie sono strutturate in una serie di compiti separati uniti con un filo narrativo indipendente dal resto, ma non c’è nessun particolare pay-off alla loro conclusione in termini di storia, aldilà delle ricompense ottenibili.

Persino la campagna principale soffre dell’impostazione open world alla Ubisoft che tanto è andata di moda nell’ultima generazione. La storia viene portata avanti dai filmati a ogni inizio e fine missione, mentre durante il gameplay stesso nella maggior parte dei casi si svolge tutto tramite le comunicazioni radio dei personaggi, un problema condiviso da tutto il resto della serie. Il risultato è che, sebbene il mondo di gioco sia vasto e aperto, nonché ricco di PNG e situazioni, tutto quello che è importante nella campagna è totalmente statico, con il classico effetto “vai a salvare il mondo mentre io, personaggio importante, resto dietro una scrivania ad aspettare”.

Un peccato, perché il cast è ben scritto e duante il gameplay le possibilità a disposizione sono tante: oltre ai metodi di Far Cry 3 per svuotare avamposti e sbarazzarsi dei nemici, il seguito aggiunge nuovi modi per devastare la mappa, implementando velivoli per gli spostamenti a mezz’aria, la possibilità di cavalcare elefanti e indirizzare la fauna ostile verso i nemici, nonché di richiamare PNG alleati per distrarre o dar manforte nei combattimenti. Far Cry 4 è un esempio di more of the same fatto bene: più armi a disposizione, più possibilità di personalizzazione, più opzioni che vanno a espandere una struttura già solida di base. D’altro canto, lo spettro della fotocopiatrice Ubisoft inizia a farsi vedere, tra la ricerca dei mille collezionabili di cui faremmo volentieri a meno e le attività secondarie ripetute allo sfinimento, elementi resi più sopportabili rispetto a Far Cry 3 anche grazie a una maggiore varietà di ambienti da esplorare.
Per inciso, trovo Pagan Min più intimidatorio di Vaas, che peraltro viene cacciato a calci a metà gioco. Per le lamentele c’è Discord.
Far Cry Primal

Con Primal è palese che Ubisoft volesse cercare di accantonare la fotocopiatrice almeno per lo spin-off di turno, il quale naturalmente non poteva mancare dopo il successo di Blood Dragon. Far Cry Primal è ambientato nella preistoria, durante un conflitto tra delle tribù che popolano una versione antica della mappa di Far Cry 4. Sì, ho detto che volevano accantonare la fotocopiatrice, ma la mappa è la stessa del precedente episodio numerato e le meccaniche di base sono grossomodo identiche. Il motivo per cui Ubisoft si è sentita tanto rivoluzionaria con Primal sta nella rimozione delle armi da fuoco (per ovvi motivi), caratteristica che porta i combattimenti a focalizzarsi sull’utilizzo di rudimentali archi da caccia, mazze e bastoni e sul controllo degli animali selvatici, spesso e volentieri la principale modalità di approccio.

Non sarebbe per forza un problema se il combattimento corpo a corpo fosse stato ricostruito per proporre qualcosa di adeguato in stile Zeno Clash, ma essendo lo stesso identico sistema di Far Cry 4 il risultato è poco più che funzionale, certamente non abbastanza per costruirci un intero gioco sopra. Togliere i fucili a un Far Cry è come servire solo insalate a una grigliata estiva, e le insalate di Primal provengono dall’angolino dimenticato del frigorifero. L’effetto more of the same è forte e serve a poco la giustificazione “budget” del titolo (che poi costava — e costa oggi — quaranta euro), laddove invece Blood Dragon aveva degli spunti narrativi simpatici per poter costruire qualcosa sulla struttura già esistente di Far Cry 3.

Per il resto non è che abbia molto altro da dire, anche per via della mia esperienza limitata col gioco. La trama propone ogni tanto qualcosa di carino e controllare gli animali è certamente l’aspetto più riuscito, ma Far Cry Primal fallisce nel lasciare un’impressione duratura. Opinione condivisa sia dai giocatori che da Ubisoft stessa, la quale ha fatto presto a spazzarlo sotto il tappeto per concentrare gli sforzi sul successivo capitolo principale.
Far Cry 5

Dato che Ubisoft non ha certamente connotazioni politiche nei suoi videogiochi e noi ci crediamo con tutto il cuore, è solo un caso che Far Cry 5 sia ambientato in un contesto che potremmo per certi versi definire familiare. Si ritorna alla modernità nella fittizia Hope County, una contea rurale americana sotto il controllo di un gruppo di fanatici religiosi, che l’hanno isolata dal resto della nazione. Spetta al protagonista, uno sceriffo selezionabile tra diversi personaggi, il compito di radunare la resistenza e armarla con un glorioso AR-15, sconfiggere la famiglia di Joseph Seed e riprendere i contatti col mondo esterno. Ogni riferimento ai sogni erotici della NRA è quindi puramente casuale e per nulla contestuale agli eventi avvenuti negli anni scorsi prima e durante le presidenziali americane.

Far Cry 5 non si smuove minimamente da quello a cui siamo stati abituati in passato. L’unica differenza sostanziale è che la campagna non è strutturata in una fila di missioni principali da completare, ma richiede la liberazione delle tre regioni in cui è suddivisa la mappa tramite il completamento dei compiti generati casualmente e delle missioni secondarie associate all’area di turno. A ogni regione corrisponde un membro della famiglia Seed, una volta liberate tutte sarà possibile affrontare Joseph nello scontro finale e concludere la campagna con un finale più o meno criticato da tutti. E poi si va a pescare.

C’è sorprendentemente meno varietà che in passato: Far Cry 4 proponeva ambientazioni più diversificate (fitte foreste, le rovine delle civiltà antiche del Kyrat, le pendici innevate dell’Himalaya, le zone urbane rurali, i templi cremisi delle allucinazioni mistiche…), laddove invece il seguito mostra solo foreste e baite sparse, con qualche fiume, un paio di bunker e poco altro. Poca varietà di ambienti corrisponde a un’esplorazione appiattita, con i soliti seimila collezionabili e gli eventi casuali che appaiono in giro a tentare di rendere un minimo interessante il vagare a caso. Gli approcci sono sempre gli stessi, anche se per qualche motivo il parco armi è diventato inutilmente ridondante: ci sono parecchi revolver e fucili assolutamente identici in termini di prestazioni, e anche le possibilità di personalizzazione sono state ridotte. Far Cry 5 soffre di pigrizia, non rischia e risulta complessivamente un passo indietro. Non significa necessariamente che giocarci sia uno spreco di tempo — ci ho passato comunque cinquanta ore forte del sempre solido gunplay — , ma resto dell’opinione che Far Cry 4 con ventimila lire lo fa meglio.
Far Cry New Dawn

Puntuale come il bilancio di fine anno fiscale, Ubisoft pubblica l’anno successivo lo spin-off a prezzo budget da affiancare al capitolo numerato riciclandone ambienti e asset. Cronologicamente ambientato a qualche anno di distanza dagli eventi di Far Cry 5, Hope County ha visto Mad Max durante una visita al reparto bambini del colorificio, ed è solo un caso che il gioco sia uscito nello stesso periodo di Rage 2, un altro sparatutto post-apocalittico open world che usa uno schema di colori sgargianti.

Far Cry New Dawn è esattamente come si presenta: una riproposizione delle meccaniche e delle attività di Far Cry 5 rivenduta a prezzo “budget” (quarantacinque euro). Il gioco è ovviamente la fiera del riciclo come ormai stabilito negli ultimi anni, ma il twist è la componente GDR di cui Ubisoft si è tanto innamorata in questi tempi. La difficoltà sale in base al livello dei nemici e delle missioni, bisogna completare gli avamposti per sbloccarne le versioni più impegnative, si ottengono equipaggiamento e risorse per far aumentare i numerini, le solite cose. Quello che è un loop già ridondante di suo diventa ancora più pronunciato nel momento in cui viene richiesto di ripetere attività completate per ottenere più materiali per il potenziamento della base. Anche in questo caso il solido gameplay di base riesce a risollevare un minimo le sorti di un capitolo sostanzialmente così inutile e ininfluente che anche le vendite non è che siano state stellari, venendo superato persino da Far Cry Primal.

Ecco spiegato perché non ho grandi aspettative per il sesto capitolo. Il marketing sembra tutto puntato verso la presenza di Giancarlo Esposito e del cane con le rotelle, ma dopo l’atipico primo episodio e un Far Cry 2 che aveva ancora bisogno di rodaggio, la saga viaggia su dei binari sicuri e accuratamente pianificati. Tutto questo a scapito di qualsiasi pretesa di creatività, dato che al settimo clone di Vaas ci vorrebbe qualcosa di più originale della digitalizzazione di un attore famoso. In Far Cry 6 so che potrò contare nelle sparatorie divertenti e nelle catartiche demolizioni, ma c’è bisogno di arieggiare la stanza e far uscire la puzza di chiuso.
Iscriviti alla nostra newsletter
Per aggiornamenti sulla nostra attività e consigli su contenuti di valore.
Niente spam, promesso!