Final Fantasy XVI e il fuoco della palingenesi

Questo articolo presenta spoiler sul finale di Final Fantasy XVI. È fortemente consigliato aver completato il gioco prima di continuare a leggere.

Non ho mai fatto mistero della mia avversione nei confronti di alcune produzioni giapponesi, in particolare verso i JRPG, d’altronde non è nemmeno la prima volta che esordisco con una frase simile. Tuttavia Final Fantasy XVI mi ha sin da subito incuriosito, probabilmente per via del suo essere molto più vicino – in vari ambiti – ai canoni occidentali piuttosto che a quelli del Sol Levante. Un’impressione positiva poi confermata dalla demo che ha preceduto l’uscita del gioco e che mi ha convinto ad acquistarlo.

Tuttavia in questo articolo non ho intenzione di parlare della qualità del gioco in senso stretto, semmai di quelle che sono le mie considerazioni sulla sua componente narrativa. Sarebbe per me molto facile descrivere le chiare influenze che hanno avuto alcune opere letterarie contemporanee sul team di Hiroshi Takai, Kazutoyo Maehiro e Naoki Yoshida. Potrei parlare a lungo di quanto il ciclo di romanzi delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R.R. Martin sia citato nel videogioco, spesso in maniera piuttosto esplicita, ma sarebbe a mio avviso una lettura abbastanza superficiale di un’opera sfaccettata com’è Final Fantasy XVI. E poi, parliamoci chiaro, non vi direi nulla di nuovo.

Il titolo di una missione di Final Fantasy XVI: Fire and Ice
Le citazioni ai romanzi di George R.R. Martin si sprecano.

Invece vorrei parlare di come una volta raggiunti i titoli di coda sia rimasto incuriosito da alcune tematiche trattate nel gioco, ma anche dalle modalità con cui viene portato avanti l’intreccio narrativo. Devo fare un’altra doverosa premessa, però: la mia formazione non è umanistica ma giuridico-economica, pertanto quanto vado a scrivere di seguito è frutto di una ricerca personale avvenuta nelle scorse settimane, non avendo mai studiato alcunché di filosofia. Metto le mani avanti? Un po’ sì, ma voglio prima di tutto mettere in chiaro che quella che state leggendo è una mia libera interpretazione, una teoria che vuole fungere da semplice spunto di discussione.

Ducunt volentem fatam, nolentem trahunt

Si può dire che l’ambientazione di Final Fantasy XVI sia tutto sommato attinente al genere grimdark, dove a un tono maturo della narrazione si affiancano un mondo crudele e la rappresentazione di uno status quo indesiderabile, al limite del distopico. Ecco, difficilmente qualcuno vorrebbe vivere in quel mondo, questo perché la fantasia immaginata da Kazutoyo Maehiro raffigura un pianeta morente, afflitto da una piaga che sta lentamente consumando ogni cosa.

Ritratto di Clive Rosfield, protagonista di Final Fantasy XVI
Il nome deriva dal marchio sulla guancia.

Una terra, quella di Valisthea, costantemente in guerra nella quale una parte consistente della popolazione, cioè quella in grado di incanalare l’etere e dunque utilizzare la magia, è braccata, soggiogata e sfruttata. Il conflitto sociale tra i cosiddetti marchiati, cioè gli schiavi, e il resto della popolazione è alla base della trama, rappresentando lo strato superficiale del comparto narrativo. Lo stesso protagonista Clive Rosfield, dopo una serie di eventi che si svolgono nelle battute iniziali, nonostante le sue nobili origini, diviene uno di questi schiavi e si ritrova suo malgrado costretto a servire tra i ranghi dell’esercito del Sacro Impero di Sambreque, coscritto in un’unità speciale che dà la caccia ai dominanti. Il suo fato appare dunque ineluttabile, tant’è che lo stesso Clive dopo oltre un decennio di schiavitù sembra essersi rassegnato a una vita al servizio di Sambreque. Ammesso che possa effettivamente chiamarsi vita.

Il rifiuto di un destino già scritto è quindi il secondo tema fondamentale di Final Fantasy XVI, probabilmente l’aspetto più importante del gioco che si sviluppa su due piani paralleli. Sul livello inferiore – che d’ora in poi identificherò come piano terreno – abbiamo Clive che sposa la crociata di Cid, quest’ultimo impegnato a liberare i marchiati e a permettere agli ex schiavi di “morire alle loro condizioni” (ricordate queste parole perché sul tale concetto tornerò un po’ più avanti), tuttavia la narrazione introduce un livello superiore del racconto che riprende il concetto della schiavitù elevandolo su un piano divino. Ultima, entità paragonabile a un dio che riveste il ruolo di principale antagonista, ha creato l’umanità affinché potesse servirlo nella creazione di un nuovo mondo. L’uomo è per Ultima null’altro che uno strumento per raggiungere un fine, tant’è che i suoi servitori sono soltanto dei gusci vuoti che obbediscono agli ordini. Da qui il parallelismo con la schiavitù dei marchiati e quella dell’intera umanità.

Un gruppo di persone prega al cospetto di un cristallo
I cristalli sono idolatrati da alcuni come frammenti divini.

Clive e i suoi compagni inizialmente si pongono l’obiettivo di spezzare le catene che vincolano i marchiati ai loro padroni, ma si ritrovano a far fronte con il crudele progetto di Ultima e provano così a distruggere anche quel rapporto di sudditanza per dare all’umanità tutta un futuro libero dal giogo del dio. Il piano terreno si interseca così con quello divino nella misura in cui Clive, e di riflesso l’umanità intera, prende coscienza del suo ruolo e decide di riscrivere il suo destino.

Mythos e Logos

Ben presto, però, Clive scopre di essere lo strumento principale tramite cui Ultima punta ad acquisire il potere necessario a creare un nuovo mondo in cui non c’è posto per l’uomo. Il protagonista di Final Fantasy XVI viene spesso chiamato Mythos dai servitori della divinità, ma cosa significa questo termine? È una parola di origine greca che può essere tradotta con leggenda, o più comunemente mito, cioè un qualcosa che trascende ciò che è dimostrabile dai fatti. Si può dunque ipotizzare che Clive Rosfield sia una figura leggendaria, fuori dal comune, ed effettivamente è così dal momento che non solo è l’unica persona al mondo in grado di assorbire il potere degli altri dominanti, ma è anche l’incarnazione di un secondo Eikon del fuoco: Ifrit. Suo fratello Joshua è il dominante della Fenice, quello che è sempre stato considerato l’unico Eikon del fuoco nella terra di Valisthea, pertanto Clive rappresenta un’anomalia.

Clive assorbe il potere della fenice
Alla fine Clive diventa un tutt’uno con la Fenice.

Man mano che l’avventura procede, però, un altro termine viene associato alla figura di Clive. È lo stesso Ultima che identifica il protagonista con il nome di Logos, anche in questo caso una parola di origine greca che significa ragione.

Per Platone, il primo pensatore che si ponga consapevolmente il problema del rapporto tra la facoltà mitopoietica dell’anima e quella propriamente generatrice di verità e di conoscenza, il mythos sta al logos come l’opinione alla scienza, come l’incertezza del sensibile alla certezza del razionale.

Dizionario di filosofia Treccani

Ecco quindi che Clive subisce un’evoluzione: da semplice strumento, una creatura mitologica priva di volontà il cui scopo è quello di servire la divinità per poi essere scartata, diventa un essere senziente con una volontà propria, un uomo dotato di ragione che si ribella al disegno divino. Secondo la corrente filosofica dello stoicismo, inoltre, il logos rappresenta uno dei quattro elementi che compongono il mondo: spirito, acqua, terra e fuoco. Indovinate quale di questi quattro viene identificato con quel termine? Secondo la fisica stoica, il logos è il fuoco che racchiude in sé le ragioni seminali. A mio avviso il team di sviluppo ha preso più di qualche spunto da questa dottrina filosofica dal momento che l’intero atto conclusivo di Final Fantasy XVI sembra una rivisitazione della teoria palingenetica, secondo cui l’universo viene consumato nel fuoco per poi rinascere in un ciclo infinito. Il fuoco, e di riflesso il logos, ha quindi sia una funzione distruttiva che generatrice nel momento in cui causa la fine di un ciclo e la conseguente origine di una nuova era.

Dialogo di una secondaria di Final Fantasy XVI
Alcune quest secondarie approfondiscono la tematica filosofica della morte.

Origine è anche il nome del luogo dove si svolge il confronto/scontro finale tra Clive e Ultima. Il ritorno all’origine è il fine ultimo del piano millenario ordito dalla divinità: il sacrificio di Valisthea e dell’umanità per permettere a Ultima di perdurare in un nuovo mondo. È una questione di sopravvivenza che passa attraverso il ritorno dell’universo al suo stato primigenio, un altro concetto che la scuola stoica identifica con l’apocatastasi (restaurazione).

Clive però, diventato logos e quindi consapevole del suo ruolo, decide di respingere il suo destino e affrontare Ultima in uno spettacolare combattimento finale. È solo dopo aver abbattuto il dio e averne assorbito il suo potere che si realizza la palingenesi, ma non quella che avrebbe voluto Ultima.

Clive si sacrifica per salvare Valisthea
La palingenesi può avere inizio.

Ricordate quando più su ho scritto che gli schiavi avrebbero deciso di morire alle loro condizioni? Ora libero da qualsiasi vincolo, Clive sceglie di sacrificarsi per dare una chance di sopravvivenza all’umanità e a Valisthea. Avviluppando Origine nelle fiamme, distruttrici e generatrici, Clive cancella il vecchio mondo eliminando la magia, sradicando le sofferenze dei marchiati nella speranza che ciò cancelli, o perlomeno metta un freno alla piaga che si è abbattuta su Valisthea. Queste sono le condizioni secondo cui Clive è disposto a morire dopo aver realizzato che il suo corpo non avrebbe potuto sostenere tutto quel potere. Per questo decide di sacrificarsi nell’ultimo atto della sua vita, proprio come hanno fatto molti filosofi stoici che hanno optato per l’extrema ratio del suicidio.

Scritta su sfondo nero: a farewell to fate
La scritta che compare all’inizio dei titoli di coda è autoesplicativa.

Una decisione, quella del protagonista, che sembra aver dato i suoi frutti. Nella scena dopo i titoli di coda di Final Fantasy XVI, infatti, vediamo due fratelli che giocano in un mondo privo di magia, dove le gesta di Clive Rosfield e dei suoi compagni sono diventate leggendarie, tanto che ormai nessuno crede più che un mondo in cui vivessero marchiati e dominanti potesse essere reale. È così che Clive e le sue avventure sono tornati a essere mythos.

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  • Daniele “Alteridan" Dolce

    Mi piace scrivere di ciò che mi passa per la testa, prevalentemente di videogiochi. Ho una vera e propria passione per la fotografia virtuale.

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