Even the Ocean: Yin e Yang fatto gioco

Proseguendo quanto iniziato con Anodyne, continuiamo l’analisi della produzione del team indipendente Analgesic Productions. Il soggetto di oggi è il loro secondo titolo pubblicato, Even the Ocean. Ci accompagna anche stavolta la musica del buon Melos.

Il cambio di formula rispetto al precedente Zelda-like è drastico: parliamo di un platformer 2D in tutto e per tutto, con livelli rigidamente separati e lineari. Una piccola libertà esplorativa resta presente giusto nella mappa che connette queste sessioni, che pare presa in prestito dall’over-world di un JRPG. La particolarità di Even the Ocean sta nell’idea che nel suo mondo le energie di luce e oscurità insite in ogni cosa sono facilmente manipolabili e trasferibili: finché si mantiene l’equilibrio tutto appare come ce lo aspetteremmo nella realtà, ma possono anche crearsi delle sacche a dominanza di luce o oscurità che influenzeranno di conseguenza morfologia, oggetti ed esseri viventi locali. Nel caso della protagonista che andremo a controllare, Aliph, avremo sempre a schermo il rapporto di luce e ombra nel suo corpo (rappresentate rispettivamente in verde e viola nella barra in basso), pronto a variare toccando germogli, superfici e laser carichi di una delle due disseminati per i livelli. Perdere completamente una componente significa game over.

Livello di Even the Ocean

Come si intuisce il gameplay non si basa quindi sull’evitare ogni ostacolo, ma sul bilanciare con quanti elementi di ciascun colore entrare in contatto. Un espediente interessante che dona un’identità caratteristica al platforming, da un lato permissivo nel concederci varie occasioni di recuperare la risorsa in esaurimento, una specie di sistema a punti vita ricaricabili; dall’altro pone vincoli su cui ragionare di fronte alle sequenze, per alternare correttamente luce e oscurità lungo il percorso e non esserne sopraffatti. Il tutto trova ulteriore profondità nell’influenza che un’energia sbilanciata ha sull’avatar: se si è prevalentemente carichi di luce, Aliph potrà compiere salti molto più alti del normale, mentre una tendenza verso l’oscurità aumenta la velocità di corsa. Bonus che faranno gola al giocatore, spinto quindi alla scelta tra il proseguire in sicurezza mantenendosi in equilibrio o sfruttare appositamente lo sbilanciamento ma col rischio di morire al primo errore.

Più che evitare gli ostacoli, è importante riuscire a mantenere l’equilibrio alternando correttamente luce e oscurità

Questi legami tra la luce e l’altezza, e il complementare tra l’oscurità e l’orizzontalità, non si limitano al gameplay ma sono anche le forze che plasmano gli scenari di Even the Ocean. Da semplici funghi verdi brillanti che crescono in maniera affusolata e più alti del normale, si arriva a imbattersi in enormi strutture viola che sporgono perpendicolari ad un crepaccio, in grado di ospitare un’intera città. Neppure le opere dell’uomo sfuggono a questa logica, in quanto gli scompensi di energia possono avere anche origine artificiale. Appare coerente quindi vedere la grande metropoli di questo mondo, Whiteforge City, raffinare e raccogliere l’energia luminosa sparsa per il mondo tramite apposite centrali quasi fosse della pseudo-elettricità, e proprio per questo ritrovarsi con un quartiere alto (in tutti i sensi) bianco e splendente proiettato verso il cielo. Di riflesso, è circondato da dei bassifondi in ombra, che si allargano tutt’attorno in casupole dall’aspetto malconcio, senza palazzi; quasi una baraccopoli.

Già solo quest’immagine ci dice molto sui temi toccati da Even the Ocean: la sete senza fondo di risorse naturali dell’umanità moderna, le enormi disparità sociali esistenti, chi sta in alto che si auto-ammanta in una luce positiva. Attraverso l’umile Aliph infatti verremo incaricati di riparare le centrali energetiche sparse per il continente, e difenderle poi da enormi esseri che vogliono distruggerle, degli spiriti guardiani rappresentanti le calamità naturali pronte a far pagare il conto all’avidità e insensibilità umana. Anche qui, il parallelo con la crisi climatica è piuttosto evidente.

Vista di Whiteforgecity in Even the Ocean

Se gli spunti e le idee di Even the Ocean sono promettenti, purtroppo la realizzazione finale non riesce a render loro giustizia. Anche se le meccaniche di gioco e l’ambientazione condividono le stesse regole, non si percepisce mai una vera comunione tra le due parti. I livelli platform restano sfide assai decontestualizzate e chiuse in istanze nettamente separate dagli stacchi narrativi, e anche tutto il discorso sui pericoli e le ingiustizie di un mondo che ha perso i suoi equilibri non sembra valere in piccolo anche per Aliph, che viaggia tra laser & co manipolando le energie senza alcun dilemma morale associato o effetto sull’area circostante. Anche accettando una scollatura un po’ marcata tra le parti (problema che in fondo colpisce parecchi videogiochi) e analizzandole separatamente, non è che il quadro migliori granché.

Il gameplay platform ha ottime intuizioni come descritto, ma per gran parte del gioco sembra quasi non aver ben chiaro come sfruttarle, proponendo un level design estremamente blando e che non offre quasi nessun spunto. Solo verso la conclusione finalmente ingrana, incrementando la complessità e offrendo sezioni di puzzle-platforming gradevoli, ma che ancora paradossalmente trascurano proprio la meccanica distintiva del gioco: i bonus legati a un’energia sbilanciata. Caratteristiche che una volta introdotte scrivono praticamente da sole le interazioni possibili, come trappole a tempo da schivare con la velocità aumentata o dislivelli troppo elevati da approcciare coi salti potenziati. Tutto è invece affrontabile anche col moveset base, finendo per rendere gli altri approcci poco incisivi. Anche volendo spremere il massimo dal gameplay, magari con la modalità time attack disponibile, i salti potenziati non vengono mai in aiuto per “rompere” qualche livello accorciando il percorso previsto: una speedrun si basa solo sul muoversi orizzontalmente più rapidi possibile, rendendo il tutto più piatto di quanto meriterebbe.

Anche per quanto riguarda la narrazione Even the Ocean non brilla: la scrittura dei dialoghi è traballante e poco convincente, mentre i messaggi di fondo sono tutti molto sbattuti in faccia con scarsa eleganza fin da subito, con poco da aggiungere alla premessa proseguendo nel gioco. Solo in qualche momento d’intimità dei protagonisti si ritrova quel guizzo creativo che tanto ho apprezzato in Anodyne, quando gli Analgesic non si perdono in una denuncia esplicita e ballerina ma si concentrano sull’intimità e la sfera personale e sentimentale.

Dramma in Even the Ocean

Un elemento interessante sta nella scelta di come concludere la storia di Aliph (se non volete sapere, saltate al prossimo paragrafo): dopo essere stata convinta a distruggere gli spiriti guardiani, si scopre che non erano loro la vera spada di Damocle a pendere sull’umanità, anzi tramite le loro azioni stavano tentando di ripristinare un equilibrio che avrebbe permesso al mondo di salvarsi. Impedendogli di fermare gli impianti di Whiteforge City, creando ancora più squilibrio nel farlo, il giudizio universale è ora davvero alle porte sottoforma di un’enorme tsunami che spazzerà via ogni cosa sul pianeta. Aliph apre gli occhi e tenta quindi eroicamente un salvataggio disperato, riuscendo a sabotare gli impianti, a contrastare le disparità della città, dopo un climax di gameplay prima della vittoria come siamo abituati a vedere. Ma stavolta, tutto questo non basta: ormai il danno è fatto e il mondo per come lo conosce è segnato. Non può che osservare impotente l’onda in arrivo. L’unica cosa che può fare è affidare la lezione che ha imparato alle generazioni future, a un nuovo ciclo che nascerà dalle ceneri come già accaduto, pregandoli di non ripetere gli stessi errori. È peculiare vedere in un videogioco, di solito spazio riservato al divertimento e alla fantasia positiva, un tale pessimismo. Qui invece la fa da padrona la rassegnazione dei giovani di oggi di fronte alla consapevolezza di vivere in un mondo che con ogni probabilità si avvia verso sconvolgimenti enormi, senza che ci sia più tempo per rimediare.

Guardiano dell'acqua Even the Ocean

Even the Ocean non mi ha convinto in diversi suoi aspetti, seppur tenti di essere un gioco tutt’altro che banale e quindi valga comunque la pena parlarne. Ad ogni modo, non preoccupatevi: Anodyne non era un’eccezione fortunata e col successivo gioco degli Analgesic Production si torna a livelli veramente notevoli a tutto tondo. Ci vediamo prossimamente con Anodyne 2.

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