È stato, ed è tuttora, un periodo abbastanza elettrico per il mondo dei videogiochi nel suo insieme e soprattutto per chi ne parla. L’uscita di Hogwarts Legacy con l’annessa situazione legata al pensiero di J.K. Rowling e l’arrivo di Atomic Heart, nel bel mezzo del conflitto fra Russia e Ucraina, hanno fatto discutere animatamente pubblico e addetti ai lavori.
Non voglio, con questo articolo, entrare nel merito della questione; mi sono già espresso in altre sedi riguardo il boicottaggio dei giochi e la maniera che reputo corretta per affrontare la questione, e nemmeno voglio trattare il voto di 1/10 che è stato dato da Wired al titolo ispirato alla saga di Harry Potter.
Uno dei temi di cui sento parlare più spesso è quello relativo alla separazione fra opera e autore che rianima la solita diatriba su cosa è o non è una recensione e che cosa significa fare critica. È un tema generale e come tale posso trattarlo in questo articolo pur ritenendo che possa essere utile per comprendere e analizzare al meglio il panaroma videoludico attuale e tutto ciò che gli orbita attorno.
La domanda fondamentale, titolo di questo pezzo è:
È giusto separare l’opera dall’autore?
Almeno per quanto riguarda il giudizio critico di valore a un’opera, la mia risposta è chiarmente sì! Dirò di più, per me è fondamentale. Lasciate che vi spieghi perché.
Innanzitutto bisogna chiarire che cos’è una recensione e qual è il compito del critico. Di questo ho già parlato sempre qui su Frequenza Critica, ma riprendiamo il discorso. Una recensione, e fondamentalmente l’attività di critica vera e propria, è l’atto di fornire un giudizio di valore su un’opera. Tutto il lavoro di analisi preliminare è propedeutico all’attività del recensore ma non è propriamente critica.
Il punto nodale su cui si discute, però, è proprio il significato del termine “valore” a cui si dovrebbe dare un giudizio. C’è chi sostiene che conterrebbe tutti gli elementi tecnici del gioco, ma anche la propria esperienza personale, il messaggio dell’autore, così come tutto il contorno sociale, culturale, storico e politico che circonda l’opera prima, durante e dopo la sua uscita per il pubblico.
Nei prossimi paragrafi cercherò di confutare punto per punto queste posizioni in favore di quella che ritengo essere la verità dell’opera, con la convinzione che una trattazione più accademica gioverebbe senz’altro al discorso ma non è possibile né utile in questa sede.

OGGETTIVO E SOGGETTIVO
È presente nell’opinione comune un grande fraintendimento relativo ai termini di “soggettivo” e “oggettivo” con la conseguenza che spesso si esprimono delle posizioni che poco hanno a che vedere con la reale applicazione di questi due concetti. Si tende a rifiutare l’idea di oggettività in quanto espressione di un pensiero fisso, assoluto e immutabile che si cercherebbe di imporre al proprio interlocutore senza che questo sfoci o derivi da un sano dialogo. È vero che c’è il rischio di trovarsi di fronte qualcuno che in nome dell’oggettività cerca di forzare l’accettazione di una propria idea scavalcando l’altro, ma questo dipende più dalla persona in sé che dallo schieramento delle proprie idee e succede anche, e in maniera più subdola, quando l’idea di fondo è più improntata al relativismo.
Definiamo quindi questi due concetti in modo da essere più chiari possibile:
- OGGETTIVO: Qualcosa che non dipende nel suo essere e nel suo modo di persistere dal pensiero attivo del soggetto. Dunque è qualcosa che è in un modo, o più modi, senza che il soggetto possa modificarlo attivamente con il suo pensiero. Per “pensiero attivo” si intende l’idea per cui un oggetto sia modificabile semplicemente dal pensiero umano. Se vediamo un oggetto di forma quadrata e pensiamo che sia triangolare esso non diventa triangolare, in quanto è oggettivo. Per le opere d’arte vale lo stesso concetto: nonostante siano prodotto dell’uomo (come altri oggetti) esse sono, nella loro essenza e sussistenza, indipendenti dal pensiero del soggetto e in un modo, o insieme di modi, che dipende solo da se stesse. In questo senso sono dotate di un proprio valore (o intorno di valore, ma su questo concetto tornerò in futuro), tale che esiste un logos, o discorso profondo, che ne rappresenti l’essenza e ne giudichi il valore.
- SOGGETTIVO: Qualcosa che dipende nel suo essere e nel suo modo di persistere dal pensiero attivo del soggetto. Se ci pensiamo davvero, sono poche le cose che possiamo definire effettivamente “soggettive”. Perfino le emozioni, che rientrano in questa categoria, meritano comunque un ulteriore approfondimento che attuerò in un’altra sede. Se ci riferiamo al concetto di “pensiero attivo” è evidente come la maggior parte della realtà e di ciò che ci circonda non è davvero influenzato in questo senso dal pensare umano. I rapporti fra le persone sono strettamente soggettivi perché dipendono da ciò che i soggetti pensano e credono per sussistere ed esistere in un certo modo. Il grado di amicizia e l’esistenza stessa di questo tipo di rapporto dipende solo dal modo in cui le persone coinvolte giudicano quel rapporto per se stesse. Dunque, soggettivo, è qualcosa che il soggetto può modificare attraverso il proprio pensiero, e non come se, tornando all’esempio precedente, vedessi un uomo biondo e muscoloso e pensandolo magro e castano esso potesse diventare tale. Qualunque interpretazione possa essere data, da parte di un soggetto pensante, a un’opera d’arte non la rende in quel modo, non la modifica, quindi il suo essere e il suo valore sono propri e la validità di un’interpretazione è data solo dal suo essere aderente o meno a quello che è presente, in senso oggettivo, nell’opera.
Il fraintendimento si attua proprio dal momento in cui si considera un giudizio o un’interpretazione di un soggetto come “soggettiva” quando in realtà è oggettiva perché dipende dall’oggetto di riferimento.
Il pensiero soggettivista, espresso fin dall’antichità dalle parole di Protagora “l’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono”, può in realtà essere definito, in senso più ampio, come “relativista”, con l’idea per cui il valore e l’accettabilità di un’idea o di un concetto, dipende solo dal soggetto e dai suoi criteri di utilità, bisogno ecc.
Tenendo presente quanto esposto finora appare evidente come, già solo considerando la distinzione fra soggettivo e oggettivo, si possa sentire l’esigenza di separare il giudizio e le considerazioni intorno all’opera da quelle riguardo il suo autore. L’opera è un oggetto separato da chi lo ha creato e possiede delle specificità e caratteristiche che sono proprie e non dipendono (se non come causa materiale) dalla mano o cervello che l’ha realizzata. Anche perché molto spesso i giudizi che vengono attribuiti all’autore riguardano il suo pensiero dal punto di vista politico e in generale etico/morale (utilizzo entrambi i termini secondo la distinzione greco/latina) e il suo posizionamento secondo una certa idea di storia e cultura. Tuttavia, ancor di più in un orizzonte di idee relativista, effettuare dei giudizi verso il creatore di un’opera tentando di delegittimare in questo modo il frutto stesso del suo lavoro appare problematico e nei prossimi paragrafi vedremo perché.
RELATIVISMO CULTURALE, POLITICO, STORICO
Il relativismo culturale è un’idea, molto in voga al momento, per la quale non bisogna giudicare le altre culture e civiltà secondo il proprio (dove per proprio si intende quello della propria “cultura” di nascita) sistema di valori. A primo impatto sembra un bel pensiero, pacifista, tollerante e atto a preservare con apertura mentale la visione globale e inclusiva per la quale molto spesso ci si batte. Ma se ci fermiamo a ragionare notiamo che, al netto di quelle differenze negli usi e costumi sociali (come modi di vestire, festività, religione nei limiti del personale, prodotti tipici alimentari ecc.) certe ideologie producono comportamenti che non possono essere rifiutati solo sulla base del “per me no” ma devono essere valutati e rifiutati in un orizzonte di giustizia in senso stresso e in assoluto. Pensiamo, ad esempio, all’infibulazione, alle bambine concubine o anche, in senso assoluto, alla pedofilia. Non possono essere questioni relative a una cultura diversa dalla nostra e di conseguenza rispettabili.
Chiaramente, tutti condanniamo questo tipo di situazioni ma quello che voglio esprimere in questo paragrafo è l’orizzonte di pensiero con il quale vanno condannate. Criticarle secondo un’ideologia relativista significa rifiutarle non in quanto sbagliate in sé, in assoluto e universalmente, ma semplicemente allontanarle perché non di proprio gradimento ma non si vieta, sul piano di legittimazione che esse possano rappresentare la realtà se mutano le condizioni dal punto di vista politico o sociale. Lo stesso discorso lo si può applicare alle dinamiche storico-politiche: se non si critica il nazismo in quanto sbagliato in sé nulla vieta, dal punto di vista intellettuale, che mutate le condizioni sociali e politiche attuali e sulla spinta di una improbabile (ma non impossibile) adesione popolare, un fenomeno simile possa ricomparire ed essere tollerato se non incitato. Questo perché se non criticate come sbagliate in quanto tale certe dinamiche diventano legittimate per qualunque tipo di situazione che sul piano reale le possa accettare.
BATTAGLIE GIUSTE CONTRO LE COSE SBAGLIATE
A questo punto abbiamo visto come qualunque attività Critica per adempiere adeguatamente al proprio obiettivo debba essere condotta in un orizzonte di idee che abbraccia l’oggettività della sua materia. Tuttavia questo non significa che il dibattito civile e propositivo, la discussione feconda e lo scambio di idee non possano esistere. Al contrario sono promosse nell’ottica di un discorso profondo comune che ricerchi quelle verità presenti in tutti i campi, da quello artistico a quello morale. È per questo che non c’è nulla di male nell’intraprendere certe battaglie per quelle che si ritengono essere verità e atti di giustizia. Il problema si pone quando la battaglia reale va a toccare anche le opere d’arte, oggettive e separate da tutti i contesti, con una critica è inerente ad aspetti che nulla hanno a che vedere con l’opera in sé. Perché valutare un’opera sulla base del suo impatto storico? Dipende dall’opera in quanto tale o dall’utilizzo che ne ha fatto il pubblico? Perché valutare un’opera sulla base delle sue conseguenze politico-economiche? Dipendono da essa in quanto tale o dal suo uso in campo sociale?

Le vendite di Hogwarts Legacy vanno a incrementare il patrimonio della Rowling che lo può utilizzare per le sue battaglie che una parte del pubblico critica. Ognuno è liberissimo di giocare, vedere, comprare ed esperire ciò che vuole per i motivi che ritiene validi (nell’ottica che la libertà individuale va rispettata non in quanto portatrice di verità soggettive ma in quanto libera ricerca di verità oggettive ed espressione delle proprie idee), ma tutto questo non ha nulla a che vedere con il valore delle opere in quanto tali. In alcun modo. Anche laddove volessimo rintracciare delle interpretazioni dell’opera sulla base della vita e delle idee dell’autore esse dovrebbero comunque fare i conti con la realtà e verità dell’opera, vale a dire che devono essere aderenti a quello che é l’opera e non riferirsi all’autore.
L’Arte deve essere libera, tanto per quanto riguardo la Critica che deve esprimere un giudizio di valore sull’opera in quanto tale e tanto riguardo la produzione di certe opere che diventano propaganda di idee, mode, usi, costumi, valori prima ancora di essere opere d’arte.
I PALADINI DELLA GIUSTIZIA
In conclusione questo articolo ha lo scopo di adempiere a due obiettivi:
- Mostrare come, se si vuole giudicare qualsiasi cosa e a maggior ragione idee, pensieri e culture bisogna farlo in un sistema di riferimento oggettivo, per cui le cose sono in un modo ed esiste un’idea di giustizia in sé alla quale ci si ispira. Altrimenti, come abbiamo visto, non c’è nessuna critica reale, nessuna presa di posizione di fronte a qualcosa di sbagliato, perché se il giusto e lo sbagliato sono relativi in qualunque momento è possibile che un qualunque sistema di valori diverso da quello attuale possa essere imposto e accettato (banalmente senza nemmeno il bisogno che sia “imposto” forzatamente).
- Mostrare come, in virtù e al netto del punto 1, non si possa giudicare un’opera in sé attribuendole colpe e meriti storici, culturali, politici o di qualsiasi altro tipo che non riguardano il suo contenuto ma elementi esterni che vanno sì giudicati in senso oggettivo ma separandoli da quello che è il messaggio, il senso e il significato dell’opera stessa.
Si fa una grande confusione nel tentativo, lodevolissimo, di essere i paladini della giustizia. Forse per troppo tempo questo settore, come anche quello del cinema e della arti in genere, ha accettato passivamente una dimensione di “intrattenimento” che in quanto Arte le sta strettissima e che ora vuole nobilitare. Il rischio però è quello di creare un grande calderone in cui si mischiano gli aspetti storici, politici e culturali esterni all’opera con il suo reale contenuto oggettivo e la povera creazione finisce per prendersi colpe e meriti che non sono suoi. Questo è il risultato di una giustizia sommaria che forse fa sentire a posto con la coscienza, almeno per un po’, ma che non è spinta da alcun ideale alto e non fa bene all’opera d’arte videoludica.
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