Cosa ne penso dei videogiochi? È complicato

Quando sono stato invitato sui lidi del rinnovato sito di Frequenza Critica, con la proposta di scrivere la mia personale opinione sull’industria e sul presente dei videogiochi, avevo decine di idee che mi frullavano in testa. D’altronde come si possono riassumere tutte le sfaccettature di un mercato così eterogeneo, sempre in bilico tra prodotto di consumo, bene industriale e arte creativa? Ecco perché ho deciso di lasciare certi aspetti a chi, non mi vergogno a dirlo, è ben più preparato di me sul fronte critico e accademico.

La mia mente è allora andata sulla parte più tangibile dell’industria, perché le storie sullo sviluppo o la carriera di certe figure mi hanno sempre affascinato: da Iwata a Warren Spector, passando per Ken Levine e Hideo Kojima. Anche qui però troppa scelta, impossibile da racchiudere in un pezzo a misura di ospite.

Una cosa che ho notato è che, per forza di cose, la nostra attenzione punta sempre ai “creativi da palcoscenico”, ai designer e autori che lasciano la propria firma su una produzione, capaci di ottenere spesso grande risalto mediatico. In questi casi si tende a dimenticare tutti quelli che hanno contribuito a rendere quel gioco memorabile: giusto per farvi un esempio, sappiamo tutti chi sia Josef Fares; in tanti hanno un ricordo di Brothers, A Way Out o It Takes Two, ma in pochi saprebbero dire almeno cinque nomi dei membri del team Hazelight Studio (io stesso non ne sarei capace). Lo stesso Fares ha dichiarato più volte che il rapporto con i suoi “sottoposti” è un costante tiro alla fune tra la sua immaginazione e l’effettiva realizzazione di una meccanica.

Dimentichiamo con troppa facilità che il videogioco è frutto di un lavoro collettivo, e guardiamo con altrettanta ingenuità solo a chi guida tutto. Ho quindi pensato che avrei potuto discutere del manifesto diffuso da Polygon in merito ai primi “sindacati” di sviluppatori (Union) che si stanno organizzando oltreoceano; si tratta però di un argomento spinoso, di cui sappiamo ancora poco e che, a mio avviso, non risolve i principali problemi dell’industria: il tempo e il denaro.

So che potrebbe apparire poco poetico o perfino gretto, ma alcune recenti letture che ho consumato, come per esempio Press Reset di Jason Schreier, mi hanno chiarito che le sfide dell’industria sono quelle di qualsiasi altro mercato. Certo, sui portali leggiamo dei successi, dei grandi incassi e di un settore che non conosce un reale tracollo dal lontano 1983 e dal cadavere di E.T. che riemerge dal deserto. Eppure c’è da riconoscere che il mercato, oggi, sembra muoversi su un sottile filo da cui chiunque potrebbe cadere, anche l’azienda più strutturata.

Sul tempo, neanche fosse il destino, arriva un pensiero gettato come un amo proprio da Jason Schreier, uno dei pochi (se non l’unico) dei giornalisti d’inchiesta del medium. Il reporter di Bloomberg, scrive sui social, che “il ciclo di produzione dei videogiochi è diventato così lungo che, se uno studio ad alto budget iniziasse a lavorare a un nuovo progetto oggi stesso, lo pubblicherebbe con tutta probabilità su PlayStation 6”.

Il messaggio di Schreier nasconde una riflessione a mio avviso preziosa, solo all’apparenza banale e ingenua: fare giochi richiede parecchio tempo, e durante questo periodo di incubazione c’è un’enorme serie di rischi che potrebbe presentarsi in qualsiasi momento: annunci comunicati nel momento o nel luogo sbagliato, problemi nello sviluppo che comportano rinvii e ulteriori costi (umani, oltre che finanziari), shitstorm dell’utenza mondiale che, talvolta, sembra un’enorme polveriera pronta a scoppiare alla minima scintilla. I pericoli sono tanti, e per questo tante aziende si muovono con i piedi di piombo, forse anche troppo.

Non nascondo che, da consumatore, avverto una stagnazione quasi pericolosa nel mercato dei tripla A. Basta masticare un po’ i meccanismi del mercato per sapere che, all’aumentare del capitale investito dai publisher, il rischio è semplicemente qualcosa da evitare il più possibile. Un approccio che viene confermato non solo dalla percezione personale di chi vi scrive, ma anche dai dati. Basti vedere il canonico anno in numeri sul 2022 di GamesIndustry.biz per farsene un’idea più chiara; tra le principali aziende del settore, da Sony a Nintendo, passando per Ubisoft e Take-Two, quest’anno sono state pubblicate otto nuove IP a fronte di quarantuno sequel (o episodi di serie già sul mercato).

Tornare su proprietà intellettuali che hanno registrato successi commerciali porta enormi benefici agli studi di sviluppo e ai publisher: sul fronte pratico si riutilizzano asset, engine, e altri elementi; sul fronte finanziario si possono fare previsioni più a fuoco su investimenti e ricavi, riducendo proprio l’elemento rischio citato poc’anzi. Così, però, rischiamo un appiattimento creativo che potrebbe avere i suoi effetti nel lungo termine.

Il videogioco è infatti un medium che si auto-influenza costantemente. Una meccanica può essere ripresa, modificata, e implementata in un’esperienza differente di un altro team di sviluppo: Resident Evil 4 introduceva per esempio la telecamera su spalla (o in “seconda persona”), per favorire le fasi di shooting e migliorare la mira del giocatore; oggi si tratta praticamente di un elemento imprescindibile di un enorme numero di avventure.

La capacità di alzare l’asticella, sul fronte ludico o creativo, richiede tuttavia la necessità di osare, di puntare anche solo per poco a qualcosa di diverso da tutto il resto. Richiede, in poche parole, di assumersi un rischio, di considerare il fallimento come una possibilità concreta. Ma chi spenderebbe milioni e anni di sviluppo per vedere un progetto fallire? Probabilmente nessuno, a meno che non si trovino nuove forme di cooperazione e fruizione del gioco.

La capacita di alzare l’asticella richiede tuttavia la necessità di osare, e dunque di assumersi un rischio

Pur senza voler in nessuno modo alimentare la console war, vedo troppo spesso Sony spingere i propri studi su prodotti dal “successo sicuro”, ossia action adventure open world caratterizzati da una narrativa cinematografica (le eccezioni, ne converrete, sono rare). Microsoft ha trovato invece una propria dimensione con il Game Pass, e se un servizio in abbonamento è la prima tessera del domino per avere titoli come Pentiment, allora sottoscrivetemi a qualsiasi cosa passi per il convento (pardon, l’abbazia). Ma se volessimo vedere le cose da un punto di vista differente?

Microsoft apparirebbe allora come un colosso capace di acquisizioni multimilionarie in grado di stravolgere gli effetti del mercato, rallentate solo dalle lungaggini burocratiche. In un momento in cui si stilano liste su “quali esclusive sono le più attese del 2023”, Spencer spinge invece sul concetto di ecosistema: non importa che sia una console o un PC, un cellulare un tablet, l’importante è che tu sia abbonato e parte del sistema. Sony, dal suo canto, porta avanti la medesima strategia vista in altre generazioni: esclusive memorabili, disponibili solo su una console. Certo, oggi perfino i PlayStation Studios approdano su PC, ma lo scotto da pagare è un’attesa di qualche anno, giusto il tempo per rinvigorire il ciclo vitale di una produzione che si stava “spegnendo”. Ecco, anche la console war assume aspetti diversi a seconda del punto di vista da cui la si osserva.

videogiochi

Mi accorgo solo ora che ho divagato enormemente da quello che doveva essere un pensiero personale sull’industria dei videogiochi al giorno d’oggi, eppure sono talmente tanti gli spunti che si fa fatica a puntarne solo uno e scendere nei dettagli. Abbiamo per esempio discusso principalmente di titoli tripla A, e molti potrebbero pensare che il mercato indipendente sia il fronte a cui guardare maggiormente se si cerca la creatività. Un pensiero giusto, ma anche questo settore non può evitare gli stessi problemi di tempo e denaro che colpiscono le realtà più grandi.

Pensate a uno sviluppatore che ha un’idea di un gioco e la pubblica, in mancanza di un publisher, su Kickstarter, raccogliendo i fondi necessari alla realizzazione del progetto. In quell’esatto momento partirebbe una clessidra invisibile per il nostro “indie guy”, che presto o tardi si renderà conto di dover completare tutto prima che il denaro finisca. Essere realmente indipendente, come nel caso del crowdfunding, significa non avere le spalle coperte da un publisher quando lo sviluppo richiede tre mesi in più per essere terminato. Significa, come nel caso del creatore di Terraria o del team dietro Shovel Knight, passare anni a sacrificarsi per qualcosa.

Ecco, se oggi guardo al videogioco con la mia lente personale, vedo soprattutto il sacrificio di una moltitudine di persone: programmatori che, come nel caso Irrational Games, sono stati licenziati da 2K perché Ken Levine aveva deciso di dedicarsi al suo progetto indipendente, e senza di lui la serie non sarebbe andata avanti (questa la sentenza del publisher); vedo il sacrificio di freelance da ogni parte dello stivale che pubblicano una recensione pagata due soldi sognando di scrivere per vivere; vedo il sacrificio di creativi che devono allontanarsi da casa per inseguire un’industria diffusa a macchia di leopardo. Vedo noi, seduti a giocare, dimenticare spesso a chi dobbiamo tutto questo.

Alla fine vedo soprattutto che non ho trovato un singolo argomento da snocciolare con la dovuta perizia di dettagli, però penso che questo discorso possa a suo modo funzionare in un portale come Frequenza Critica, che vuole soprattutto stimolare la discussione. In questo bizzarro soliloquio, seppur sconnesso e a tratti troppo veemente, di spunti ce ne sono parecchi. Quello che mi auguro, e ci auguro, è che il medium continui a offrirne in abbondanza.

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  • Gabriele Carollo

    Devo aver intenerito i ragazzi di Frequenza Critica, perché hanno pensato di avermi come ospite di tanto in tanto. In realtà sto pianificando la conquista dell'internet, un pezzo con cadenza semestrale alla volta. Se cercate una disamina accademica su qualcosa, avete sonoramente sbagliato persona, ma se volete discutere del perché Streets of Rage 2 sia immortale avete trovato l'uomo giusto.

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