Una storia…
Attenzione, cari lettori. È noto che questo gioco ha uno dei capitoli finali più controversi di sempre e ovviamente nel pezzo ne andrò a parlare. Considerate quindi la presenza di spoiler pesanti su Final Fantasy VII Remake, sull’originale e in una circostanza, anche su Final Fantasy VIII.
Nello scorso articolo accennavo a come, in fin dei conti, le nuove ambientazioni introdotte da Final Fantasy VII Remake abbiano poco valore ludico. Purtroppo mi ritrovo a dire lo stesso del loro contributo narrativo. Pochi dei nuovi contenuti aggiungono organicamente materiale alla storia e quelli che compaiono verso la conclusione sono… come minimo stravaganti. È evidente che l’intento degli sviluppatori era provocare un enorme effetto sorpresa così da far discutere gli appassionati nel tempo che intercorre tra un’uscita e l’altra, intenzione pure comprensibile. Però io sono anche un appassionato di narrativa in quanto disciplina artistica e se un giorno pubblicassi una storia e all’indomani dell’uscita vedessi decine di video su youtube titolati “ending explained”, avrei il dubbio che forse non ho passato bene alcuni messaggi.

Una storia più sovraesposta
Una delle croci e delizie di dover riempire minutaggio in una storia originariamente pensata per essere più compatta è ovviamente l’opportunità di approfondire ogni singolo aspetto del world building. Come vivono le persone in quel mondo, cosa fanno, mostrare i loro sistemi spirituali e politici, di che cosa hanno paura, parlare di forza, debolezza, obiettivi e avversità di ciascun personaggio. Il rischio è però di cadere nella trappola narrativa del “tell, don’t show”, della ridondanza. Di confermare al fruitore un sospetto già parzialmente rivelato o peggio, di spiegargli più volte quello che comunque ha già capito. Un ottimo esempio di questa situazione è il capitolo alla casa di Jessie, che ho trovato un’aggiunta bellissima, ma non esente da questa ombra della sovraesposizione. La scena si apre con Jessie che ci dice di essere appena entrati nel distretto dei lavoratori della Shinra, dove gli impiegati di grado medio vengono collocati con le loro famiglie. L’architettura è più organizzata rispetto ai bassifondi, le strade più pulite, l’atmosfera più calda. È sera e la giornata volge al termine tra una buona cena e tutti gli hobby leggeri del caso prima di andare a dormire. Vediamo finalmente come vivono le persone al di sopra del “piatto”, quelle che vedono il cielo. Arriviamo infine a casa di Jessie che ci spiega perché siamo venuti qui.

Sorvoliamo su quanto sia surreale che una eco-attivista disposta a ricorrere alle armi abbia bisogno di mandare un mercenario a prendere il tesserino del padre mentre lei sta mangiando una pizza con gli amici a 2 stanze di distanza, è una scusa come un altra per mostrarci (mostrarci, non dirci) la situazione. Sono ok con il pretesto. C’è silenzio, il padre è comatoso, il macchinario al quale è collegato e il resto della stanza ci raccontano la storia. Una storia di sogni infranti, di motivazioni profonde, di una vita di successo sacrificata in nome di una causa che Jessie non poteva più ignorare. Usciamo dalla casa per procedere con il piano per il quale serviva il tesserino e Wedge e Biggs ci spiegano in modo didascalico quello che la stanza già diceva. L’incidente sul lavoro del padre, la scelta di vita di Jessie, la disciplina della planetologia (forse l’unico elemento nuovo della conversazione, che anticipa il tema di Cosmo Canyon).
C’è questa tendenza nei dialoghi a dover spiegare tutto, a non lasciare nessun dubbio su cosa sta succedendo
Quest’ultimo elemento è interessante e inizia a costruire su un argomento che certamente verrà approfondito in seguito, ma il resto del dialogo è il tanto che diventa troppo. Molti dei nuovi dialoghi di Final Fantasy VII Remake sono finalizzati a non lasciare nessun dubbio su quanto sta avvenendo, a non lasciare nessuna sfumatura di grigio o intenzioni nascoste sui personaggi. La posizione che occupano nella storia dev’essere sempre il più evidente possibile (tranne nel finale, ma ci arriveremo). Un lavoro di quantità che finisce per fare il giro e impoverire l’opera, a renderla ovvia.
Questo ci porta a…
Una storia più diluita
Qui spezzo una lancia: ho avuto dei momenti in cui ho adorato avere più tempo tra un momento climax e l’altro. Poter vagare con calma nel settore 7 nei paraggi del 7th Heaven bar ascoltando le conversazioni, o nel settore di Aerith, dove tutti la conoscono, è stato bellissimo. Sono luoghi profondamente interconnessi a singoli personaggi e in quanti tali, ci permettono di conoscerli un po’ di più attraverso il non detto. Un lavoro di mutua collaborazione narrativa tra il personaggio e il luogo che abita e con un pregresso di questa qualità sono curioso di visitare Nibelheim, Cosmo Canyon, Rocket Town.

Ci sono altri contenuti che però ho trovato inutili. Roche ha il senso di mostrare che ci sono altri Soldier in circolazione, ma di per sé non aggiunge altro alla vicenda. Leslie… qui dobbiamo proprio parlarne: ho accennato nello scorso articolo che il mio disincanto con Final Fantasy VII Remake è iniziato poco dopo la prima visita al Wall Market. Questo perché proprio lì ho iniziato a percepire il brodo allungato: abbiamo la nozione che il settore 7 sta per essere annientato. Un imprecisato numero di persone è a rischio di vita, così come i diretti contatti e amici di Barret e Tifa. Due protagonisti su quattro, in quel momento, hanno tutto da perdere. E il remake mi piazza proprio qui, senza alcun collegamento con l’evento precedente e successivo, un’intera storyline secondaria non saltabile in quella che originariamente era soltanto una schermata con scontri occasionali e un semplice puzzle. Ma perché? Non ha senso che Tifa sia così concentrata in una vicenda di fantasmi mentre c’è l’altra situazione in corso, è un improvviso salto fuori dal personaggio che davvero non ho capito. La quest in sé è pure bella, toccante, aiuta a comprendere alcune prospettive di Aerith ed è tra quelle che effettivamente aggiungono contenuto, ma la sua collocazione temporale è curiosa. Avrebbe funzionato meglio in un momento precedente, quando ancora stiamo scoprendo il mondo.
Posso invece solo fare i complimenti al capitolo successivo, dove appunto abbiamo più tempo per provare il panico e l’adrenalina della situazione. La promessa che facciamo con Cloud ai compagni dell’Avalanche morenti. E infine il fallimento. Nel gioco originale il crollo del settore è un momento atroce. I nostri protagonisti hanno fallito, hanno perso tutto e come se non bastasse hanno anche il dubbio di essere stati in parte responsabili della catastrofe. E non c’è nessuno ad assolverli. Il giocatore è da solo con loro finché non compare un piccolo raggio di luce più avanti.

Tuttavia anche qui Final Fantasy VII Remake fa un cambiamento di contesto importante: alcuni abitanti del settore 7 sono riusciti a scappare in tempo e li reincontriamo poco tempo dopo la fuga. Le figure più importanti del distretto sono lì pronte a riceverci e a darci l’utile informazione che ci consentirà di procedere. La storia ci ha lasciato nel buio solo per pochi minuti, non c’è nemmeno il tempo di processare il senso di solitudine, di essere sul fondo, che la vicenda ci rimette subito in piedi. Un’interpretazione più morbida rispetto al devastante silenzio che l’originale infliggeva.
Un altro incremento è invece la presenza di Don Corneo, tanto che a quel punto incontriamo il suo ex braccio destro che ci porta in una quest nelle fogne (per la seconda volta) e a una boss fight (che abbiamo già affrontato) non particolarmente interessanti. Difficile davvero non vederlo come un capitolo puramente riempitivo, ma se non altro Leslie è un nuovo personaggio più presente di Roche e la vicenda ci comunica che facilmente lo rivedremo ancora.
Detto ciò, ho in generale l’impressione che la nuova storia abbia paura a toccare per davvero il tema della morte, sfumatura della quale parleremo più tardi. Perché a proposito di avere più personaggi in scena, abbiamo…
Una storia con più Sephiroth
Nello scorso articolo mi auguravo che l’attesa per il prossimo capitolo di Final Fantasy VII Remake non diventasse noia. Purtroppo su un aspetto in particolare posso invece già esclamare qualcosa: Sephiroth mi ha annoiato e da qui in poi spero di vederlo il meno possibile. Penso che la sua costante presenza lo abbia distrutto sia nei riguardi dell’originale sia considerandolo come un nuovo antagonista. Sommando tutti gli incontri che lo coinvolgono, distribuiti nell’arco dei vari capitoli, arriviamo a un’ora abbondante, quando nell’originale in questa porzione della storia erano 0. La giustificazione più comune che ho letto online è che “ormai tutti sanno chi è Sephiroth, non aveva più senso giocare sul mistero”. Ecco, per quanto mi sforzi non riesco a trovare il collegamento tra la prima parte della frase e la seconda. Quando un personaggio diventa cultura pop allora non ha più senso reinterpretarlo dandogli la stessa collocazione nella storia? Facciamo un adattamento di 1984 dove saltiamo tutto il secondo atto, che tanto si sa dove Winston andrà a parare? Un remake di Lord of the Rings dove Boromir sopravvive, così, per sorprendere l’utente? O perché non un Devil May Cry dove Dante e Vergil sono figli di un angelo anziché di un’umana? Oh, aspettate un momento…

La narrativa non funziona così, un buon scrittore e un buon fruitore di storie di questo millennio sanno benissimo che tutte le storie sono già state raccontate. Non conta molto sapere o no il colpo di scena ai fini del godimento di una vicenda. Certo, ci perdiamo l’effetto sorpresa, ma volete dirmi che non c’è quel film, libro o gioco dal quale siete passati decine di volte e malgrado ne conosciate ogni virgola è sempre nel cuore? Il potere di un classico è quello di resistere nel tempo continuando a coinvolgere lettori di differenti generazioni, non di fare sorprese.
La collocazione narrativa di Sephiroth era quel cattivo che era “dietro la testa dei personaggi”, distante, imperscrutabile, incomprensibile, eppure presente, legato ai nostri protagonisti da un filo che non era possibile trovare in un primo momento. Abbiamo un primo assaggio delle sue capacità quando dopo esserci fatti un mazzo importante per raggiungere i piani alti della Shinra, troviamo una scia di corpi, il laboratorio a soqquadro e la sua spada infilata nella schiena del presidente. Colui che fino a quel momento era il prototipo dell’arcicattivo senza scrupoli, senza alcun riguardo. Il malvagio despota senza redenzione, l’avversario più diretto di Cloud e compagni. Uscito di scena così, off screen, senza gloria. La sicurezza di poter addossare tutti i mali del mondo a un individuo con un nome, cognome e una posizione chiari cedono il passo all’ignoto, a una minaccia invisibile tutta da elaborare.
Da lì in poi, evento dopo evento, veniamo a scoprire dettagli in più sul leggendario soldato dal mantello nero creduto morto per anni. Abbiamo una ulteriore conferma delle sue capacità quando, dopo aver fatto una deviazione forzata per catturare un chocobo in modo da poter battere in velocità un serpente di dimensioni dinosauro, scopriamo che qualcun altro ha invece tagliato corto.

Questo confermava ulteriormente la distanza di potere che separava Sephiroth dal nostro gruppo. Ora questa scena non sarà riproducibile perché, beh, di cosa mai potrebbero aver paura i personaggi dopo aver sconfitto fisicamente un’entità così indecifrabile come il destino? E da guerrieri temprati quali sono, che ne é del mistero di un antagonista, dopo che lo si è già combattuto? Si, lo so che ci potrebbero essere varianti, che non era il ” vero” Sephiroth (che in una storia già così convoluta peggiora soltanto il problema) ma andiamo al nocciolo: lo hanno visto combattere. Hanno preso le misure di cosa è in grado di fare.
Penso che questa scelta abbia autosabotato molti eventi futuri, sia della storyline originale, sia che si voglia andare in territori inesplorati. Ma qual è l’evento così dirompente al quale mi riferisco?
Una storia più convoluta
Eccoci qui: il capitolo 18, l’ultimo capitolo del gioco. Quello di cui si parlerà a lungo. Quello di cui non riesco a darmi spiegazione. La cifra artistica cambia completamente, i personaggi fanno azioni mai fatte prima, portali di oscurità, portali di luce, universi alternativi, boss spugna che raggiungono il totale di 6 (!) boss fight una dietro l’altra da quando abbiamo affrontato l’ultimo dungeon esplorativo. Sarei uscito sfiancato da questa sequenza persino se mi fosse piaciuta. Dopo una nuova boss fight con una variante di Jenova, il duello contro Rufus e il suo cucciolone, lo scontro con il tank e infine la fuga in moto con il Motorball alle nostre calcagna, l’escalation finale già c’era e fino a quel punto era potente mantenendo il gusto artistico dell’originale.


Eppure è stato aggiunto questo capitolo nel quale il registro artistico cambia completamente avvicinandosi a un Kingdom Hearts, con altri 2 boss (3 se contiamo Bahamut separatamente. Sì, c’è anche lui) estenuanti in una situazione che vuole essere un Advent Children giocabile. Esatto, nella prima parte di Final Fantasy VII Remake già affrontiamo Sephiroth in un contesto di pezzi di edifici fluttuanti, forza di gravità che se ne va a farsi benedire, Cloud che taglia pezzi di edifici e la traccia di One Winged Angel in sottofondo. Perché? Non lo so raga, ho provato a vederlo da più punti di vista, ma l’unico che mi dà un qualche senso è vederla come…
Una storia con più metanarrazione
L’interpretazione nella quale trovo nel capitolo finale un qualche merito artistico è quella di non considerarlo parte della trama, né parte di una struttura videoludica, ma di vederlo come l’epifania di quanto è stato costantemente suggerito nel corso dei vari capitoli: agli autori le briglie del remake stavano strette. E il capitolo 18 è il momento in cui parlano direttamente ai videogiocatori spiegando il loro fardello. Chiedono ai giocatori di liberarli da queste briglie e come gesto simbolico, di combattere i fantasmi che fino a quel momento hanno protetto la trama originale, impedendo ad alcune situazioni di avvenire, facilitando altre, persino riportando in vita personaggi uccisi che non dovevano morire lì.
Il capitolo 18 è il momento in cui gli sviluppatori parlano direttamente ai giocatori, chiedendo loro di liberarli dalle briglie che li stringono, di combattere i fantasmi che hanno protetto la storia originale
La personalità dei nostri beniamini viene sospesa, le battute sono così fuori personaggio da poter essere interscambiabili tra di loro, la loro reazione a quanto succede non ha senso all’interno della storia. Aerith agisce come se fosse consapevole degli eventi dell’originale, capacità che sembra in grado di poter trasferire ad altri. Gli altri la seguono senza obiettare, persino chi non ha la più pallida idea di chi sia Sephiroth a quel punto. I temi centrali della storia vengono sospesi in favore di questa stravaganza in cui i personaggi sono assolutamente convinti di voler cambiare un futuro che neanche conoscono, solo perché Aerith gli dice così.

Il concetto di avere un remake/sequel che riconosce gli eventi dell’originale è anche interessante, pure se non è la prima volta che succede. Pathologic 2 è lì a fare esattamente questo, seppur in modo più discreto e rispettoso del tono già stabilito.
Se parliamo invece di quarta parete, di rivolgersi direttamente al giocatore, il mondo dell’intrattenimento è pieno di esperimenti in tal senso. Quello che è insolito è trovarli in un remake di una trama così chiusa e lineare come lo era quella di FFVII e in questa forma così fuori contesto. Quando forse proprio all’interno della saga ci sarebbe stato un altro capitolo più propenso a usare archetipi narrativi come varchi e timeline alternative. Ma tant’é, qui abbiamo…
Una storia più distante dai temi dell’originale
Questo è un altro cambiamento che sembra abbastanza irreversibile, dopo le conferme del DLC. I temi del gioco originale rientrano fondamentalmente in 2 filoni: la salvaguardia del pianeta e l’accettazione. Accettazione del sè, di non essere onnipotenti, di non poter salvare tutti, ma soprattutto, accettazione e il successivo rialzarsi dopo una perdita. Ogni membro giocabile del cast della storia originale ha come fatal flaw (quella che in a narrativa identifica la debolezza principale di un personaggio, la ferita aperta) il senso di colpa, quella di aver fallito a proteggere qualcosa o qualcuno e la storia andava a toccare ciascuno di loro, offrendogli l’opportunità di redenzione. Ora, sebbene tutto possa ancora capitare nei successivi capitoli, dobbiamo accettare il fatto che Final Fantasy VII Remake porta molte ambiguità sul trattare il tema della morte, così presente nell’originale. Mi sembra non solo che abbia paura a parlarne, ma anzi, che abbia precisa volontà di non far avvenire delle morti chiave importanti per lo sviluppo della vicenda. Se eventi come compressioni temporali o modifiche alla timeline diventano possibili, se la versione che abbiamo dei personaggi non è l’unica, il concetto di perdita non ha più significato. Per Barret cambia moltissimo che qualcuno (tutti?) della gang di Avalanche siano ancora vivi. Per Cloud cambia tutto se Zack è ancora vivo. Verrebbe meno tutta la storyline della sua memoria frammentata che permeava l’intera storia originale, il dover recuperare cosa accadde davvero quel giorno, per non parlare del paradosso di avere in giro due Buster Sword simultaneamente. Che ne sarà di Aerith è un totale mistero, a questo punto.

Conclusioni
Per impacchettare un po’ i miei pensieri, ormai credo che sia chiaro che non avrei fatto quasi niente di tutto questo. Avrei fatto un remake il più conservativo possibile, forse addirittura tenendo il combattimento a turni (magari rendendolo un po’ più dinamico e spettacolare, sulla linea di Lost Odissey, ma senza alterarne l’essenza). Ma se proprio bisognava operare cambiamenti diciamo, traumatici, ok, fatelo. Non sarebbe certo il primo remake a deviare dal materiale d’origine e ad avere comunque meriti. Fatelo senza dirlo, senza scusarvi, senza investire così tante risorse per fare un capitolo metanarrativo che non c’è modo di collocare in modo sensato nella storia. Che qualcosa sarebbe stato diverso era ormai evidente; si sarebbe potuto chiudere il gioco all’autostrada, dopo un climax che ha comunque contemplato 4 boss ben diversificati uno dietro l’altro e sia quel che sia con i sequel. Invece abbiamo giocato anche la parte in cui prendiamo a pugni la metaforica rappresentazione del fan lamentone che voleva tutto uguale, accettando la conferma che da qui in poi tutto potrebbe invece essere diverso.

E a me va bene. Ho passato tutte le fasi di lutto e accettazione che non avrò il remake che volevo e arrivati a questo punto non voglio che la storia ritorni sui propri passi, sarebbe comunque narrativamente impossibile. Il gioco originale mi rimarrà nel cuore e considererò questo progetto tutta un’altra cosa con un bizzarro caso di omonimia. D’altro canto però sono anche curioso di scoprire a cosa è servito tutto questo. Voglio vedere perché è stato necessario, quale storia ha avuto bisogno di alterare così tanto e perché aveva bisogno proprio di questo mondo e questi personaggi.
Non resta che aspettare le risposte, che potrebbero arrivare entro quest’anno.
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