BioShock Infinite: tra rivoluzione e centrismo illuminato

Avviso ai lettori: l’articolo che segue contiene numerosi spoiler su BioShock Infinite, soprattutto nella sua seconda parte.

Nel luglio del 2013 inizia a fare la sua apparizione sui social l’hashtag #BlackLivesMatter, in risposta all’assoluzione del poliziotto che l’anno prima aveva ucciso il diciassettene nero Trayvon Martin. L’hashtag si trasforma in movimento in seguito ad altri eventi tragici dell’anno seguente, e cioè le due uccisioni di Michael Brown e di Eric Garner, sempre da parte di agenti delle forze dell’ordine; eventi che porteranno ad accese proteste nella città di Ferguson. Passa qualche anno, costellati da altri eventi simili come per esempio la morte di Breonna Taylor, e Black Lives Matter torna alla ribalta internazionale nell’estate del 2020: stavolta l’evento scatenante è l’uccisione di George Floyd da parte di un agente di polizia. Le proteste che ebbero luogo in quei giorni d’estate, che ebbero risalto a livello globale e che non mancarono di riflettersi anche sull’industria videoludica, misero in evidenza tutta la frustrazione di una comunità che sentiva il peso dell’oppressione sistemica, e che vedeva puntualmente ignorate le sue richieste di giustizia sociale. Se da un lato la maggioranza di queste proteste avviene in chiave pacifica – il che non ha impedito alla polizia americana di rispondere brutalmente a queste istanze – dall’altro ci sono anche stati casi di protesta più violenta, con incendi e danneggiamenti.

Il 2013, e per la precisione il mese di marzo, è anche l’anno che vede la pubblicazione di BioShock Infinite, terzo capitolo della serie e secondo in mano al creatore Ken Levine. Naturalmente, Infinite non è direttamente collegato agli eventi di cui ho parlato nel paragrafo introduttivo; non fosse altro per questioni puramente cronologiche. Ma allo stesso tempo fra la questione americana e gli eventi di cui Booker ed Elizabeth saranno testimoni nel corso delle loro vicissitudini fra le strade di Columbia non mancano punti di collegamento: anche se non è il suo tema principale, la questione razziale e lo scontro fra i Fondatori di Comstock e la Vox Populi di Fitzroy sono elementi prevalenti all’interno della trama. E seppur con un certo ritardo sul venticinquesimo compleanno della serie, forse la scusa è ancora buona per tornare a parlarne.

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BioShock, e questo immagino sia chiaro a tutti, ha sempre avuto forti temi politici. Il primo capitolo della serie si apre con un discorso che è entrato negli annali del videogioco: Andrew Ryan, l’ideatore della magnifica città sottomarina di Rapture, l’ha creata come alternativa alle idee di società di Washington, del Vaticano e di Mosca, facendone un inno al libertarismo e al randianesimo. Una società dove “lo scienziato non avrebbe dovuto sottostare ai limiti della bieca moralità, dove il grande non avrebbe dovuto essere incatenato dal piccolo”. Una società che, al momento del nostro arrivo, è un completo fallimento: l’intera città è in condizioni pessime e la quasi totalità delle persone che incontriamo sono ormai fuori di senno, rese folli e trasfigurate dalla dipendenza dall’ADAM.

Non è sorprendente, dunque, che anche in BioShock Infinite il creatore Ken Levine abbia voluto inserire temi politici facilmente ricollegabili al mondo reale. E così come BioShock non perdeva tempo nel mettere in chiaro cosa ne era stato del sogno di Andrew Ryan, anche Infinite ci mette subito di fronte al lato più oscuro di Columbia. Al momento del nostro arrivo, la città fantastica – stavolta in mezzo alle nuvole – è su un punto alto della sua parabola: ad accoglierci troviamo strutture imponenti e ben curate, e le strade della città sono popolate di persone che dialogano tranquille del più e del meno. Alcuni di loro parlano con disprezzo della popolazione di colore, con la stessa casualità con cui parlerebbero delle vesti che hanno comprato al mercato. Pochi passi e sentiamo per la prima volta il nome Vox Populi: un gruppo di pericolosi agitatori che, intuiamo noi giocatori, evidentemente non hanno molto a cuore la discriminazione a cui sono quotidianamente sottoposti. Poco dopo Booker DeWitt, nostro avatar parlante, si imbatte in una fiera: anche qui i Vox Populi sono presenti, ma come grotteschi bersagli di cartone che ci viene chiesto di impallinare per vincere un premio. E il momento cardine di questa fase introduttiva del gioco, quello in cui Booker viene scoperto come il Falso Pastore della profezia, vede proprio il nostro protagonista trovarsi di fronte a una scelta: essere o meno il primo a scagliare una palla addosso a una coppia accusata di promiscuità razziale.

Il razzismo insito in Columbia non si ferma a queste prime fasi, naturalmente: di esempi ce ne sono a dozzine, ma mi limiterò a citare il più eclatante. Nel suo tentativo di raggiungere Monument Island, Booker si trova ad attraversare la sede della Confraternita dei Corvi. Nella sala da pranzo possiamo trovare un dipinto che rappresenta l’assassinio di Abraham Lincoln, il presidente americano che sancì la fine dello schiavismo, e che in altre occasioni all’interno del gioco viene chiamato semplicemente “l’apostata”. In questo quadro, Lincoln è rappresentato come un demone con tanto di corna, mentre John Wilkes Booth, l’uomo che gli sparò, è circondato da luce divina. Sempre a John Wilkes Booth è dedicata l’enorme e imponente statua che possiamo trovare nell’atrio. Non solo: nelle stanze di questa villa capita frequentemente di trovarsi di fronte stemmi su cui campeggia la scritta “Protecting Our Race”, e i membri di livello più alto di questa setta indossano cappucci a punta che indubbiamente richiamano l’estetica del Ku Klux Klan. Insomma, i riferimenti non sono esattamente sottili, casomai il contrario: il razzismo di Columbia è esplicito e Irrational Games si è assicurata che tutti avessero ben chiaro questo aspetto della città fra le nuvole.

L’UOMO AL COMANDO

BioShock Infinite non scende nei dettagli a riguardo della gerarchia che vige all’interno di Columbia, ma una cosa è certa: a capo di tutto c’è la carismatica figura del Profeta, Zachary Hale Comstock. Negli anni precedenti al 1912, cioè quand’è ambientato il gioco, il futuro Profeta si distingue per la prima volta per le sue azioni nel corso della “battaglia” di Wounded Knee (1890), durante la quale, secondo la descrizione che possiamo trovare nella Sala degli Eroi, “Comstock guida la carica, conquistando la vittoria per gli Stati Uniti. Le sue azioni gli meritano il titolo di Eroe di Wounded Knee”. La battaglia, naturalmente, non è una pagina particolarmente gloriosa della storia americana, dato che vide la morte di più di 200 donne e bambini della tribù Lakota, ma lo diventa sicuramente nell’ottica ideologica che abbiamo presentato finora. Lo stesso vale per l’intervento nella ribellione dei Boxer (1901), che vede Comstock condurre Columbia fino in Cina al fine di intervenire nel conflitto in corso e sedare nel sangue la rivolta.

Non è difficile vedere in Zachary Hale Comstock qualche tratto del dittatore totalitario del ventesimo secolo

Non è difficile vedere in Zachary Hale Comstock qualche tratto del dittatore totalitario del ventesimo secolo. La sua frequente presenza nell’estetica cittadina, la devozione che nutrono nei suoi confronti i cittadini di Columbia, l’esaltazione che ne offrono i cinegiornali, come ad esempio quando ne lodano le virtù profetiche per aver predetto che dopo la tempesta sarebbe arrivato il bel tempo; per noi che siamo italiani, non è poi così impensabile ritrovarsi a pensare a una figura come Mussolini. E in effetti, se andiamo a vedere la definizione del fascismo che ne dà Emilio Gentile in Fascismo. Storia e interpretazione qualche punto di collegamento fra la società di Columbia e quella italiana nel periodo del Ventennio non è difficile da trovare. Anche Zachary Hale Comstock, per esempio, è un capo “investito di sacralità carismatica”, e “arbitro supremo e indiscusso nei conflitti fra i potentati del regime”. È indubbio che Columbia cerchi “la fusione dell’individuo e delle masse nell’unità organica e mistica della nazione”, e come abbiamo già chiarito anch’essa adotta “misure di discriminazione e di persecuzione contro coloro che sono considerati al di fuori di questa comunità, perché nemici del regime o perché appartenenti a razze considerate inferiori o comunque pericolose per l’integrità della nazione” (pensiamo a come vengono rappresentati i Vox Populi). C’è sicuramente un apparato di polizia (i Fondatori) che reprime dissenso ed opposizione, così come l’organizzazione della sua economia “mira a realizzare, secondo principi tecnocratici e solidaristici, la collaborazione dei ceti produttori sotto il controllo del regime”, naturalmente “preservando la proprietà privata e la divisione delle classi”, come messo bene in luce da tutto il segmento ambientato a Finkton, dai cui altoparlanti possiamo sentire Jeremiah Fink spiegare ai suoi operai come la loro posizione subordinata faccia parte dell’ordine naturale delle cose. Infine, c’è anche “una politica estera ispirata alla ricerca della potenza e della grandezza nazionale” (pensiamo all’intervento nella ribellione dei Boxer, e alla successiva secessione dagli Stati Uniti che cercano di imbrigliare Columbia), che è assolutamente “in vista della creazione di una nuova civilità”.

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Libro e moschetto…

Allo stesso tempo, però, ci sono anche importanti differenze. Chiamare Columbia un fascismo fra le nuvole sarebbe, se magari non errato (al netto di un secolo di dibattito sull’argomento, la risposta alla domanda “cos’è il fascismo?” è tutt’altro che scontata), di sicuro molto semplicistico. Questa società non ha il suo mito fondativo nell’esperienza delle trincee della prima guerra mondiale e nel partito-milizia, ma nella nascita degli Stati Uniti. Così come Washington, Jefferson e Franklin hanno compiuto il coraggioso atto di ribellarsi alla tirannia del re inglese sancendo dunque la libertà del popolo americano di seguire la sua strada, così Comstock diventa un nuovo Padre Fondatore, che riunisce in sé i tre simboli dei suoi illustri predecessori (la spada, la chiave e la pergamena). C’è un profondo senso di eccezionalismo americano e di destino manifesto all’interno di Columbia, che fin da subito ci viene presentata come “un’altra arca per un’altra epoca”, destinata a traghettare i suoi fedeli verso la nuova società che sorgerà dopo che “il seme del profeta” avrà “annegato nel fuoco le montagne degli uomini.” Un riferimento all’arca di Noè e al diluvio universale che è tutt’altro che buttato lì: l’immaginario cristiano è intrecciato indissolubilmente con la ritualità e l’estetica che Ken Levine ha deciso di adottare per la sua creazione. L’ammissione alla città richiede un passaggio obbligato, e cioè l’assoluzione dai nostri peccati attraverso un nuovo battesimo. L’idea stessa di Columbia, secondo il suo mito, ha la sua genesi in seguito alla visita che Comstock avrebbe ricevuto da parte di un arcangelo. E anche la nascita di Elizabeth assume i tratti della concezione miracolosa: ci viene infatti raccontato che la gravidanza di Lady Comstock sarebbe durata appena sette giorni (la realtà, come scopriremo, è ben diversa). Questa fusione fra oppressione delle minoranze e credo cristiano, per quanto possa forse sembrare paradossale se si considerano i dettami più fondamentali alla base di questa religione, è in realtà tutt’altro che implausibile e anzi anche in questo caso possiamo vederne testimonianze nel mondo reale; basti pensare, ad esempio, al radicalismo evangelico degli Stati Uniti.

IL VOX POPULI

Comstock però non è l’unica forza che agisce in quel di Columbia: c’è anche chi si oppone a lui, e cioè il già citato movimento noto come Vox Populi. Gli appartenenti a questi gruppo sono, com’è facile aspettarsi, principalmente gente di colore e di origine irlandese. Se includere quest’ultima nazionalità può sembrare un po’ strano (c’è perfino un cinematografo intitolato “il problema irlandese”, che li ritrae come ubriaconi nullafacenti), ricordiamoci che i figli dell’Irlanda non sono sempre stati considerati parte della razza bianca, sopratutto se pensiamo che per gli Americani “bianco” è per lungo tempo stato sinonimo di “White Anglo-Saxon Protestant” (bianchi protestanti discendenti dai primi colonizzatori britannici); una categorizzazione che, per esempio, ha visto anche gli italiani emigrati negli Stati Uniti a cavallo fra Otto e Novecento essere classificati come “meno bianchi” e, dunque, frequentemente vittime di discriminazione.

Al di là di questa parentesi, ideologicamente il Vox Populi non è così ben definito. Sono chiaramente antirazzisti, e odiano il sistema di sfruttamento messo in piedi da Jeremiah Fink, che lottano per sradicare e abbattere. Nel gioco, la propaganda li definisce “anarchici”, che storicamente è stato il termine più utilizzato per indicare tutti coloro che ce l’avevano con il sistema in atto al momento, anche al di là della loro appartenenza politica. L’uso prevalente del colore rosso nella loro simbologia (Elizabeth ce lo fa pure notare, nelle fasi finali dell’avventura), così come il fatto che in una canzone Daisy Fitzroy venga definita “la ragazza che ha spezzato le catene”, oltre che all’anarchia – i cui colori tradizionali sono rosso e nero – non può che far pensare al comunismo e al socialismo, anche se i due termini non vengono mai utilizzati nel gioco; ricordiamoci che è pur sempre un gioco orientato al pubblico americano, ormai abituato a considerare qualunque cosa ricordi anche solo vagamente quelle due correnti politiche alla stregua dell’anticristo (a proposito di pubblico americano: se non l’avete mai vista, andate a guardarvi la box art di BioShock Infinite e in quelle due parole troverete la risposta al perché non ci sia traccia di Elizabeth). In ogni caso, lo specifico orientamento politico dei Vox Populi non è così importante: ciò che conta è che sono coloro che si oppongono all’oppressione di Comstock. Ed è qualcosa che hanno in comune con noi giocatori, no?

In realtà il rapporto fra Booker e i Vox Populi non è così semplice. Il primo incontro con Daisy Fitzroy vedrà il nostro protagonista finire scaraventato ben poco delicatamente fuori dal dirigibile di cui è riuscito ad appropriarsi e che meditava di utilizzare per fuggire da Columbia assieme a Elizabeth. La combattente però ci fa una promessa: se riusciremo a portarle le armi di cui ha bisogno per lottare contro gli oppressori, lei ci restituirà il dirigibile. Una promessa di cui non è certo facile fidarsi, ma d’altronde non c’è altra scelta. Da lì, la trama inizia a pigiare sull’acceleratore. Scopriamo ben presto che Elizabeth non è in grado solo di aprire squarci verso altri posti, ma anche verso altre linee temporali; e il duo si troverà costretto a compiere questo salto nell’ignoto pur di completare la missione assegnata da Fitzroy. Il secondo di questi salti li porterà verso un universo alternativo dove le cose sono andate parecchio diversamente rispetto a quanto da noi vissuto fino a quel momento. Trovatosi privo di direzione dopo aver scoperto che Elizabeth non si trova più a Monument Island, il Booker di questa linea temporale ha stretto alleanza con il suo ex compagno d’armi Cornelius Slade – noi invece abbiamo affrontato lui e i suoi uomini nella Sala degli Eroi – e con Daisy Fitzroy, combattendo in prima linea a fianco dei Vox Populi e dando la sua vita per la causa.

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Trovarsi di fronte un manifesto che commemora la nostra dipartita non dev’essere facile. E infatti per Booker non lo è…

Inoltre, in questa linea temporale la ribellione dei Vox Populi non è più solo un piano: è realtà. Nel momento in cui attraversiamo il portale, le forze bardate di rosso stanno prendendo d’assalto il commissariato di Finkton. Le strade del quartiere sono decorate da cadaveri dei Fondatori, e nel momento in cui arriviamo si sta per organizzare l’attacco agli uffici di Jeremiah Fink, il tirannico capo d’industria. A questa azione prenderemo parte direttamente: a fianco dei Vox Populi, che inneggiano al nome di Booker, abbatteremo un dirigibile dei Fondatori e sfonderemo i cancelli della residenza di Fink, fino ad arrivare al suo ufficio. Qui, però, le cose prendono una piega diversa. Daisy Fiztroy ci contatta. Ci fa sapere che il suo Booker era un eroe, morto per la causa. Noi però siamo molto vivi: e questo significa che siamo o un fantasma, o un impostore; in entrambi i casi, un problema da eliminare. Da quel punto in poi, tutti i Vox Populi che incontreremo ci saranno ostili.

A pochi minuti di distanza, Daisy Fitzroy si tingerà di un’ombra ancora più oscura. Quando finalmente la incontriamo di persona, la ribelle spara a Jeremiah Fink, prendendo in ostaggio suo figlio e preparandosi ad ucciderlo. A salvarlo ci penserà Elizabeth, pugnalandola alle spalle con un paio di forbici. Questa svolta è particolarmente significativa. Per tutta la prima parte del gioco, Columbia ci viene presentata come una società oppressiva. I Fondatori di Comstock, e i loro alleati, vengono sovente dipinti come crudeli e intrisi di razzismo. Verrebbe dunque da pensare che la seconda parte del gioco ci porti ad allearci con i Vox Populi, che a questo si oppongono, ma non è così. Nelle fasi finali, questi ultimi saranno spesso e volentieri lì a ostacolarci la strada, armati fino a denti. Per le vie di Emporia, il quartiere di lusso della città, vedremo gli effetti della loro ribellione, con case date alle fiamme e civili morti per strada. C’è perfino una scena pensata per essere toccante, nella quale alcuni residenti del ricco quartiere di Emporia si affollano per cercare posto su una nave volante dei Fondatori, ormai troppo carica per poter trasportare altra gente verso la salvezza e costretta ad andarsene. E se non fosse stato per il provvidenziale intervento di Elizabeth, Daisy Fitzroy si sarebbe macchiata di un crimine che chiunque troverebbe riprovevole: l’uccisione di un bambino.

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Arriverà una ragazza, e se ne andrà una donna.

Così come molti altri aspetti di BioShock Infinite, anche questo atto ha un parallelo nel mondo reale. Gli esempi in realtà non mancano, ma quello più famoso – e legato almeno in parte da affinità ideologica a ciò di cui abbiamo parlato finora – riguarda il destino della famiglia dei Romanov, gli zar di Russia, che dopo la rivoluzione d’Ottobre del 1917 fu sterminata, bambini inclusi, dalle forze bolsceviche. Il distacco che ci dona la lontananza temporale ci permette di riflettere sul perché di questa terribile decisione: finché anche solo uno dei Romanov fosse rimasto in vita, i controrivoluzionari avrebbero avuto un simbolo a cui appoggiarsi nei loro tentativi di restaurazione; eliminare alla radice il problema non è solo una scelta dettata dalla pura sete di vendetta verso un sistema giudicato tirannico, oppressivo e irrecuperabile, ma un atto strategico volto a privare il nemico di una importante fonte di legittimazione.

In BioShock Infinite, però, le cose funzionano un po’ diversamente. Nel DLC Burial at Sea, scopriamo qualcosa di molto importante a proposito della motivazione dietro al gesto di Daisy Fitzroy. Ci troviamo infatti ad assistere a un dialogo fra di lei e i gemelli Lutece, figure chiave nello svolgimenti degli eventi, che anche qui ci mettono del loro. Convincono infatti Fitzroy della necessità di minacciare il ragazzino, così da assicurarsi che Elizabeth “arrivi una ragazza, e se ne vada una donna”. Un atto fondamentale, spiegano, per assicurare che la tirannia di Comstock abbia fine. “Sta a te decidere cosa conta di più: la tua parte nella recita, o la recita stessa”, ammoniscono i gemelli.

Questa scena cambia la luce di cui viene dipinta la figura di Daisy Fitzroy, non più un’estremista votata alla vendetta e alla violenza, ma una rivoluzionaria così dedita alla lotta contro l’oppressione da essere disposta a sacrificare la sua vita pur di assicurarsi che il regime tirannico conosca la sua fine. Difficile dire se Ken Levine avesse già in mente questo passaggio al momento della stesura di BioShock Infinite, o se sia un’elaborazione sviluppata in seguito, nei dodici mesi che passano prima della pubblicazione di Burial at Sea Parte 2. Perché ha senso porsi questa domanda? Perché questo nuovo dettaglio della storia di Fitzroy può dare l’impressione di essere una sorta di chiarimento, o forse di una scusa. Ma per cosa?

I PIATTI DELLA BILANCIA

Come detto sopra, nelle fasi finali del gioco i Vox Populi sono nostri nemici; addirittura, l’ultima sparatoria prima di arrivare alle sequenze narrative di chiusura ci vedrà affrontare diverse ondate di rivoluzionari, accompagnati dalla loro versione del Patriota Motorizzato, la temibile macchina da guerra delle forze armate di Columbia. Li vediamo inoltre devastare la città sulle nuvole, imbrattarne le mura, incendiarne le abitazioni e i negozi, obbligare alla fuga la popolazione civile, quando non addirittura ucciderla per le strade. Qualcuno potrebbe trovarsi a pensare che, alla fine, Vox Populi e Fondatori non siano poi tanto diversi: appena giunti al potere, non esitano ad approfittarne. Ma è importante non dimenticare le condizioni di partenza: prima della ribellione, i Vox Populi e le loro famiglie – in larga parte appartenenti a minoranze, ricordiamolo – sono stati sfruttati, lasciati a vivere nella povertà e nell’indigenza, e in condizioni sanitarie non esattamente invidiabili. Chi sta dall’altra, invece, sulla base di questo sfruttamento si è arricchito e ha prosperato. Il simbolo più evidente di tutto questo è Jeremiah Fink e la colossale statua dorata che possiamo trovare all’ingresso della sua fabbrica, ma ciò non significa che il resto dell’alta società di Columbia non abbia avuto da beneficiare dallo sfruttamento nelle minoranze; anzi, di questo vediamo un esempio evidente nella Baia delle Corazzate, dove il bagno riservato a camerieri e tuttofare – che sono naturalmente di colore – è in condizioni pessime, mentre quello per la clientela bianca risplende come una sala da ballo. La violenza dei Fondatori, volta a opprimere i deboli, non è lo stesso della violenza dei Vox Populi, volta a scardinare gli oppressori.

Alla luce di queste considerazioni, penso valga la pena ricordare un’intervista che Ken Levine diede a Rolling Stone nel 2016 (non più accessibile sul sito ufficiale, ma che possiamo recuperare grazie ad archive.org). L’intervistatore invita Levine a dire la sua a proposito del dibattito sorto intorno alla rappresentazione dei Vox Populi, e di Fitzroy in particolare. Questa la risposta:

BioShock 1 parla degli ebrei. Io sono ebreo. Andrew Ryan, Sander Cohen, Tenenbaum, sono tutti ebrei. Suchong è coreano. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Corea è stata sottoposta alla brutale occupazione del Giappone. E lui è un sopravvissuto. Sono tutti sopravvissuti all’oppressione, e non ne escono come eroi. L’oppressione li ha trasformati in oppressori. È questo l’aspetto più crudele dell’oppressione. Se guardi ad Andrew Ryan e a Daisy Fitzroy, non sono poi così lontani.

Forse la gente voleva che scrivessi di un eroe che riesce ad alzarsi al di sopra di tutto questo. Elizabeth è il personaggio che ho creato che si sacrifica per spezzare il ciclo. Ma credo che la maggior parte della gente venga distrutta dall’oppressione. Potrei raccontare una fiaba di persone che ne escono migliori. Ma per quanto riguarda la mia esperienza, come studente di storia, è raro che accada. Se fai finta che ci siano molti lieti fini per queste storie, in un certo senso dipingi l’oppressione come migliore di quello che è.”

Poco più sotto, nel rispondere a una domanda correlata, Ken Levine chiude così l’argomento:

Spero che se qualcuno finirà per imparare qualcosa da BioShock, sia che l’oppressione è un circolo vizioso, e che l’ideologia può sporcarsi molto in fretta non appena entra in gioco il mondo reale.”

Detto francamente, non è un discorso che trovo convincente. Levine cita la storia, ma la storia ci insegna che al mondo esiste chi riesce a ribellarsi all’oppressione senza per questo diventare un oppressore a sua volta; visto che sopra ho parlato del fascismo, mi sembra giusto ricordare anche coloro che a questo si opposero, ma gli antifascisti italiani (quelli veri come Salvemini, Rossi, Lussu, Rosselli, Pertini e tanti altri, non quelli di comodo, scopertisi tali dopo l’otto settembre 1943) non furono certo un unicum nella storia del mondo. Casomai è la rappresentazione di BioShock, quella dove ogni oppresso diventa un oppressore, a risultare strana: la risposta cita Elizabeth come esempio virtuoso, ma non dimentichiamoci che quando Booker fa un’escursione nel futuro quella che si trova di fronte è una realtà dove mesi, anni di tortura hanno reso la giovane una degna erede di Zachary Hale Comstock, pronta a scatenare la furia di Columbia sul mondo al di sotto delle nuvole.

È pur vero, però, che l’ideologia è una cosa, e la sua applicazione nel mondo reale un’altra. Ma questa sembra una scusa di comodo, un modo di sporcare le acque, di fare una falsa equiparazione fra cose che uguali non sono. È qualcosa di cui abbiamo già parlato: Andrew Ryan verrà anche da un background di oppressione, ma è pur sempre un imprenditore le cui risorse e i cui contatti sono stati tali da permettere la creazione di un’intera città subacquea, di cui lui non diventa solo progettista ma volto prima (ricordiamoci che è il suo bronzeo faccione quello che ci troviamo di fronte una volta entrati nel faro) e tiranno poi. È assurdo equipararlo a Daisy Fitzroy, la serva che lotta per la libertà di quelli come lei.

E anche qui c’è un parallelo con il mondo reale. Ricordate il paragrafo iniziale, dove parlavo di Black Lives Matter? Nell’estate del 2021, in seguito all’uccisione di George Floyd da parte del poliziotto Derek Chauvin, le proteste presero di nuovo il via, e, come già detto in apertura, ci furono anche risposte violente. Non mancò, in quell’occasione, chi deprecò questi gesti violenti. Chi disse che i negozi devastati o le stazioni di polizia date alle fiamme screditavano la protesta in atto, come se fosse dimostrazione di moralità superiore mettere sui due piatti della bilancia qualche vetrata sfondata da un lato, e la costante oppressione in cui vivono le minoranze americane ad opera delle forze di polizia, e che non si limita certo ai casi di cui sentiamo parlare nei telegiornali nostrani, e decidere che la bilancia sia in perfetto equilibrio. Giocando a BioShock Infinite, l’impressione è che la storia di Ken Levine punti proprio in una direzione simile: i Fondatori sono razzisti, ma anche i Vox Populi alla fine non sono certo degli angeli. D’altronde, ci sono due personaggi secondari che fanno proprio questo discorso: nelle prime fasi della sua avventura, Booker entra in una casa. Su un muro, troviamo un manifesto della “Società degli amici del negro di Columbia”, e sentiamo una coppia che discute. “I Vox Populi non hanno tutti i torti, ma devono essere proprio così violenti?”, si chiede uno dei due.

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  • Marco "Brom" Bortoluzzi

    Vive in mezzo ai monti del Trentino, brontola un sacco, però alla fine non è cattivo, sul serio. Basta che non parliate male di Borderlands in sua presenza.

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