Anna: il legno, la sposa e il mito — Pt. 1

Avviso al lettore: questo articolo contiene spoiler sulle trame di Anna e di L’ultima sposa di Palmira.

Introduzione ad Anna

Qualche anno fa, nel panorama italiano, è comparso un interessante caso di riuso delle antiche favole e leggende. Si tratta di Anna, un videogioco punta e clicca di Dreampainters ambientato in una segheria valdostana, fra Champoluc e Périasc. In cerca di una location atipica per la loro avventura in prima persona, gli sviluppatori di Dreampainters hanno optato per un luogo reale, in una località italiana, e hanno studiato accuratamente le leggende locali, utilizzandole come fonte d’ispirazione. L’elemento magico e soprannaturale (oltre che orrorifico) di Anna deriva proprio dalla tradizione orale valdostana. Pur essendo un prodotto atipico, il loro videogioco ha riscosso un discreto successo e ne è stata realizzata anche una Extended Edition con maggiori contenuti e approfondimenti.

All’inizio della partita ci si trova calati nei panni del protagonista, al suo improvviso risveglio davanti alla segheria che molte volte ha sognato. Non si conosce nient’altro, di questo avatar del giocatore, a eccezione di alcuni suoi confusi pensieri, fra cui «Anna… amore mio». Entrando nella segheria si abbandona l’idilliaco paesaggio alpino, illuminato dalla luce del sole, per immergersi in un ambiente cupo e tetro. Sono visibili le tracce di alcuni delitti sanguinari, probabilmente compiuti dal sabotier che lavorava nella segheria. Gli omicidi sembrano collegati a un antico culto locale, risalente a un’ancestrale religione matriarcale e giunto fino al presente, dopo essersi impregnato di elementi cristiani: l’antica divinità-strega Anna viene infatti confusa con una santa, e i due culti si sovrappongono (Su reali contaminazioni fra simili figure si veda R. Scotti, Dal santo allo sciamano. Uomini di Dio, uomini selvaggi e guaritori, Ananke, 2005).

L’indagine è ben presto accompagnata da percezioni allucinatorie, oniriche o forse appartenenti a una realtà magica. L’edificio si popola di inquietanti manichini lignei che mimano gesti del passato, mentre grandi occhi li spiano dalle pareti. Il giocatore può decidere di abbandonare il luogo, preservando il protagonista dalla follia, oppure condurre l’esplorazione fino in fondo, scoprendo così la verità: il protagonista stesso è un assassino, che ha ucciso moglie e figli per poter stare da solo con una statua di Anna, celata in una caverna sotterranea che egli stesso definisce ventre. Raggiunta la statua, una frana blocca l’ingresso della grotta, ponendo fine al gioco e lasciando il protagonista finalmente solo — per l’eternità — con la sua dea.

L’importanza del legno

Il legno è un elemento centrale di Anna, presente lungo tutto il corso della storia. La vicenda è ambientata nella bottega di un sabotier, al centro di un bosco, in un edificio di pietra e legna. Gran parte delle apparizioni riguardano manichini lignei e creature di radici, che rivivono gesti del passato congelandoli in inquietanti pose. Un albero con un grande occhio veglia sull’altare di Anna, in cui una grolla lignea incastonata fra le radici riceve la luce lunare attraverso una botola anch’essa di legno. Nella caverna sotterranea, degli oranti manichini si prostrano in direzione di un ampio tronco, probabilmente collegato agli altri piani dell’abitazione. Infine il protagonista riceve e utilizza le tre maschere di legno del culto.

Anna

Proprio alla luce del valore del legno è possibile avviare un parallelismo tematologico con il romanzo L’ultima sposa di Palmira, di Giuseppe Lupo (Marsilio, 2011, ma le citazioni che seguiranno vengono dall’edizione del 2013). Il suo libro prende origine da una vicenda reale, ossia il terremoto in Irpinia del 1980. Ma nonostante la nota dell’autore rammenti che «buona parte del romanzo è frutto di verità» (p. 171), l’autore non ha voluto seguire l’iperrealismo, facendo risaltare una serie di elementi magici disseminati lungo tutta la storia di Palmira. A raccontare queste magiche storie del passato è mastro Gerusalemme, falegname di professione, intento a fabbricare il mobilio per Rosa Consilio, ultima sposa di Palmira.

Vito Gerusalemme, nelle prime pagine del romanzo, viene definito come «una quercia d’uomo, […] l’unico che disobbedisce all’ordine di abbandonare Palmira pur di fabbricare mobili nella sua bottega» (Ivi, p. 10). Definire il falegname “una quercia d’uomo” non solo sottolinea la sua forza anche in età avanzata, ma è anche un primo e chiaro collegamento fra la sua persona e il suo compito di preservare il passato attraverso il legno. L’immagine infine apre, fin da subito, le porte verso altri piani simbolici. In un suo saggio Jung scrive che «l’albero è una sorta di metamorfosi dell’uomo: da un lato esso nasce dall’Uomo primigenio e dall’altro diviene esso stesso uomo» (C.G. Jung, L’albero filosofico, trad. di L. Baruffi e I. Bernardini, Bollati Boringhieri, 2012, p. 116.) e poco più avanti aggiunge «poiché l’Opus raffigurato dall’albero è un mistero di “vita, morte e rinascita”, anche l’albero assume questo significato, al quale si aggiunge l’attributo della “sapienza”» (Ivi, pp. 117–118). Mastro Gerusalemme è colto proprio nel transito fra “vita, morte e rinascita” di Palmira: il paese subisce una metamorfosi profonda, con il terremoto, uscendo dal mondo magico ed entrando nelle cartine geografiche. Sono i pannelli lignei del falegname a raccontare la Palmira antica, così che possa essere traghettata nella ‘nuova’ città per tramite della sua ultima sposa. Il suo narrare per intagli possiede anche la “sapienza” dei sogni, che sanno arrivare persino “oltre la scienza” («Ma la scienza non arriva dove arrivano i sogni, avrei dovuto rispondergli», scrive Lupo, p. 121). Eppure alla fine tutto il mobilio verrà bruciato in un grande rogo, a eccezione di una culla, come se anche nella scomparsa del passato la nuova vita rimane.

Anna
L’albero della vita — C.G.Jung

Tornando ad Anna la metamorfosi dell’uomo, che Jung riprese dalla tradizione alchemica e mitica, diviene addirittura realtà concreta. Il protagonista stesso, in uno dei finali possibili, si trasforma in un manichino di legno, abbandonato a piangere vicino alla stufa, il che lascia supporre che anche gli altri fantocci un tempo fossero persone reali. Così come Pinocchio divenne un bambino vero per le sue buone azioni, così il protagonista di Anna si tramuta in legno per la sua hybris. Il protagonista potrebbe fuggire, ma spinto dal suo desiderio di conoscenza è possibile che prosegua senza aver ragionato a fondo sul suo passato, venendo così punito. Così come la dottoressa Pettalunga compie una ricostruzione del passato di Palmira con le parole di mastro Gerusalemme, così il protagonista di Anna indaga sul passato, in due piani differenti. Da un lato le sue vicende personali, dall’altro un mito che risale alla notte dei tempi, fino all’età del rame e forse ancora più in là. L’amnesia l’ha colpito, e lui ha dimenticato tutto, o quasi. Dice infatti all’inizio del gioco: «speravo di averti dimenticata per sempre». Ma così non è, il ricordo di Anna lo insegue ancora nei suoi sogni, fin quando ritorna alla segheria per indagare sul suo passato. Dal passato giunge la rinascita, ma quest’ultima viene poi continuamente negata, fin dalla simbologia utilizzata, peraltro anch’essa ricollegabile al romanzo di Giuseppe Lupo. Da un seme nasce una sorta di bambino-radice — laddove nel romanzo il figlio di Viviana Pettalunga dice: «Da quel chicco di grano sono nato io. Per non perderlo, mia madre lo aveva ingoiato dopo essere salita in treno» (p. 168) — , ma subito viene ‘ucciso’ con un coltello sacrificale, e dal legno zampilla sangue. I capelli di un neonato vengono bruciati insieme alle foglie del bambino-radice, e nel finale si vedono due culle fra le fiamme — unico mobilio a salvarsi dal rogo finale nel romanzo di Lupo — mentre due piccoli manichini, i figli del protagonista, giacciono inerti sotto la statua della dea.

La metamorfosi tramite il legno è dunque rintracciabile in entrambe le opere, ma con sguardi opposti. L’ultima sposa di Palmira vede un recupero del passato proiettato al futuro, e infatti alla fine del romanzo è la rinascita a essere presente, sia nella nuova vita sia nella nuova Palmira. Al contrario in Anna il passato viene recuperato sacrificando (anche letteralmente) il futuro, con il protagonista che arriva a uccidere i suoi figli pur di stare accanto a una statua di Anna, divinità ancestrale, e anche dopo averla dimenticata torna a cercarla, sacrificando il suo futuro per ritrovarsi murato vivo fra le ombre del suo passato.

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  • Francesco Toniolo

    Docente universitario. Insegna all'Università Cattolica di Milano, alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, alla Scuola Internazionale Comics di Firenze e non solo. Si occupa principalmente di videogiochi. Ha pubblicato numerosi articoli accademici, saggi, manuali e contributi divulgativi.

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