Age of Empires II: tanti imperi, non altrettanti voci

Come i nostri lettori più attenti ricorderanno, qualche giorno fa avevo scritto un articolo dedicato al doppiaggio di Dawn of War 2, strategico in tempo reale che ha da offrire un parco di unità con personalità al limite dell’assurdo, fino quasi a sfociare nel pacchiano; ma anche quando lo fanno, il risultato riesce comunque a essere memorabile. E le scelte compiute da Relic Entertainment nel campo del doppiaggio si adattano perfettamente all’universo in cui è ambientato lo strategico.

Quando si parla di strategici in tempo reale, però, è praticamente impossibile non parlare di Age of Empires II. Non solo per il suo valore storico — uscito nell’epoca d’oro del genere, divenne rapidamente uno dei titoli più amati e giocati — ma anche per quello attuale: grazie alla HD Edition prima e alla Definitive Edition poi, questo titolo è ancora oggi uno degli RTS più giocati (Steamcharts segna 17000 giocatori di media, tutt’altro che pochi), ha un apparato competitivo caratterizzato da tornei a cadenza praticamente settimanale e una nuova espansione in arrivo. Mica male, per un gioco con più di venti anni sulle spalle.

Age of Empires II
I Siciliani, introdotti con l’espansione Lords of the West, parlano sostanzialmente dialetto siculo.

Age of Empires II è però anche un gioco parecchio diverso da Dawn of War 2. Laddove in quest’ultimo ognuna delle varie fazioni ha unità diverse, nello strategico di Microsoft le ben 37 civilità pescano quasi esclusivamente dallo stesso pool di unità: il lanciere spagnolo è sostanzialmente identico a quello saraceno, che è a sua volta identico a quello giapponese e così via. Differente è anche l’approccio economico. Nello strategico di Relic, l’accento viene posto sulla conservazione delle unità create, per tutto l’arco di una partita se possibile; approccio accentuato dal fatto che l’acquisizione delle risorse è inscindibilmente legata al controllo della mappa, ed è evidente che avere più unità a disposizione rende questo proposito molto più semplice.

Age of Empires II funziona diversamente. Il controllo della mappa ha una sua importanza, anche se in chiave diversa: le risorse vanno estratte da unità specifiche e possibilmente protette espandendo la nostra base. Ma la cosa che più ci interessa riguarda la produzione di unità. In Dawn of War 2, nel corso di una partita produrremo mediamente una decina di squadre e unità singole in totale. Forse anche di meno, se la partita è breve. Per una partita di Age of Empires II però, anche una semplice 1v1, le unità prodotte si contano sulle centinaia. La maggior parte sono spesso popolani, unità il cui ruolo principale è economico e di costruzione degli edifici; ma nelle fasi più avanzate della partita, quelle in cui è perfettamente normale avere molteplici strutture per l’addestramento di unità, anche le unità militari vengono sfornate a decine. E a decine moriranno, perché Age of Empires II è un gioco di risorse, e anche il nostro esercito lo è: perdere unità militari non è un trauma, è una cosa che succede regolarmente anche al più esperto giocatore: l’importante però è spenderle saggiamente, così dal creare al nostro avversario un danno maggiore rispetto al costo delle unità perdute.

Age of Empires II
Selezionare le navi restitituirà rumore di onde e di corde che si torcono. Niente sea shanties, purtroppo.

Certo, questo non vale per tutte le unità allo stesso modo. Preservare i nostri popolani è importante: perderne troppi potrebbe debilitare gravemente la nostra economia e compromettere le nostre speranza di vittoria. Anche loro sono comunque risorse: quando si attua la tattica del tower rush, che ruota proprio intorno all’uso offensivo dei popolani, non è impensabile che a un certo punto potremo perderli; l’importante, però, è che il danno causato al nostro avversario sia maggiore. In un contesto del genere, una caratterizzazione delle singole unità come quella di Dawn of War 2 non avrebbe alcun senso. Sono pedine sul campo di battaglia, come non manca di ricordarci la fantastica (per l’epoca) introduzione di Age of Kings. Non abbiamo motivo di affezionarci a loro. Dobbiamo spenderle saggiamente, certo, ma anche essere pronti a vederle morire nel nome della nostra vittoria.

In soldoni, questo si traduce in unità che tendono a ripetere una serie limitata di risposte contenstuali, solitamente molto semplici: un paio di brevi risposte per l’ordine di attaccare, per quello di muoversi, una specifica per la raccolta di ciascuna risorsa, e via così. Piccola parentesi: curiosamente, le unità a cavallo non hanno nessuna risposta verbale, e selezionarle o dare loro ordini produrrà semplicemente sbuffi del cavallo o suono di zoccoli al trotto. Forse una scelta compiuta per aiutare subito a capire che tipo di unità si sta controllando; d’altronde, anche le unità d’assiedo rispondono alle nostre istruzioni con suoni di lignei macchinari in movimento. Tutte, tranne gli arieti: quelli, a quanto pare, rispondono come fossero normali unità di fanteria.

La particolarità di Age of Empires II, però, è come ognuna delle varie civilità non sia dotata di un traduttore universale che porta magicamente tutti i suoi appartenenti a parlare inglese: ciascuna di loro si esprime nella propria lingua. Non è una caratteristica esclusiva di questo titolo, ovviamente: anche altri strategici (mi vengono in mente, per esempio, Men of War e Wargame) fanno sì che le varie unità rispondano nella lingua che rispecchia la loro nazionalità. Age of Empires II però fa anche un’interessante opera a livello storico, perché ovviamente le lingue parlate nel medioevo non sono le stesse parlate ai giorni nostri, senza contare poi che nella Definitive Edition sono presenti anche civilità meno note a un pubblico americano ed europeo, come ad esempio Etiopi, Maliani e Birmani.

Age of Empires II, dunque, non avrà l’impressionante volume di linee registrate che può invece contare Dawn of War 2. È una scelta che ben si adatta al gameplay del gioco, nel quale l’economia è l’aspetto deciviso per valutare chi vince e chi perde, a volte anche più delle scelte tattiche sul campo di battaglia. Questo non significa che il doppiaggio manchi di una sua personalità, anche se questa va associata alla specifica civilità e non alla singola unità che andremo a schierare sul campo di battaglia. La guerra di Ensemble Studios si vince con i grandi numeri, e nei grandi numeri non c’è spazio per l’individualità.

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  • Marco "Brom" Bortoluzzi

    Vive in mezzo ai monti del Trentino, brontola un sacco, però alla fine non è cattivo, sul serio. Basta che non parliate male di Borderlands in sua presenza.

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